Natura giuridica della Figc come organismo di diritto pubblico
(Nota a sentenza del TAR Lazio, sez. I, 13 aprile 2018, n. 4100)
Premessa
L’obiettivo di creazione di un mercato comune – tanto desiderato dai Padri fondatori dell’attuale Unione europea[1] – ha ispirato, come noto, i principi fondativi del vigente diritto unionale, che, sin dall’origine dei Trattati istitutivi della Comunità europea, affonda ogni proprio provvedimento nella precipua volontà di favorire un unico mercato interno che sia caratterizzato e contraddistinto dall’eliminazione di qualsivoglia ostacolo alla libera circolazione di persone, merci, servizi e di capitali.
Tre, in particolare, sono stati gli strumenti realizzativi del processo di integrazione che ha contraddistinto la creazione del mercato unico europeo[2]: a) in primis, ha rivestito portata dirimente la garanzia delle c.d. quattro libertà fondamentali dell’Unione, ovvero le libertà di circolazione di lavoratori, merci, servizi e capitali; b) in secondo luogo, ha incarnato un peso ‘decisivo’ il divieto per gli Stati membri di erogare nei confronti degli operatori economici aiuti finanziari che potessero distorcere il mercato comune; c) da ultimo – e con funzione strumentale rispetto ai primi due – la necessaria tutela e garanzia della concorrenza.
Quanto questi tre fondamentali principi normativi, sottesi ai Trattati europei, abbiano influenzato il diritto amministrativo interno meriterebbe una trattazione ad hoc, nonché oggetto di approfondimenti in separata sede; sia sufficiente, tuttavia, mettere in evidenza due significative, e preliminari, osservazioni: da un lato è incontrovertibile, ad oggi, che il diritto europeo abbia influenzato, con decisività, il modo stesso di definire per il legislatore nazionale che cosa sia la “pubblica amministrazione” e cosa no[3]; dall’altro lato – ed in maniera altrettanto pacifica – è evidente che, sin da quando il nostro Paese dovette adeguarsi ai parametri di Maastricht, il sistema di contabilità pubblica delle amministrazioni[4] sia stato pressoché “guidato” dalle regole contabili che l’Italia si è impegnata solennemente a perseguire a livello europeo e internazionale[5], oltre che – è significativo puntualizzare – a livello costituzionale interno; con la modificazione degli articoli 81, 97, 117[6] e 119 Cost., in forza dell’entrata in vigore della legge costituzionale del 20 aprile 2012, n. 1.
Quanto fin qui premesso fa da pendant per introdurre il peculiare ruolo di una figura ‘relativamente’ nuova per l’organizzazione amministrativa italiana, qual è oggi l’organismo di diritto pubblico, soprattutto affinché poter meglio comprendere la ricostruzione argomentativa che ha condotto il TAR Lazio – con la recente sentenza del 13 aprile 2018, n. 4100 – a sottoporre la figc – reduce, per altro, dalla cocente delusione per la mancata qualificazione al mondiale della nostra nazionale – al regime contemplato dal vigente D.lgs. 2016, n. 50 (Codice dei contratti pubblici) che, come noto, è stato proprio posto in essere a recepimento – pressoché fedele – del contenuto delle direttive europee 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE del 26 febbraio 2014, a loro volta confermative di quanto già precedentemente statuito con l’assetto normativo europeo disposto con le direttive n. 17 e 18 del 2004.
Sull’organismo di diritto pubblico
L’obiettivo di un mercato unico – unitamente al divieto per gli Stati membri di apprestare aiuti finanziari per le imprese operanti sul mercato e alla fondamentale garanzia del valore della concorrenza per gli operatori economici produttori di beni e servizi – è stato l’input decisivo affinché – salva l’imprescindibile distinzione tra la funzione amministrativa e il servizio[7] – si innescasse un processo in cui si è realizzata:« l’evoluzione del diritto pubblico dell’economia che […] ha visto una ritrazione dello Stato dall’intervento diretto nell’attività di impresa ed un connesso utilizzo di strumenti privatistici nell’erogazione dei servizi pubblici, [il che] ha imposto la necessità di un nuovo inquadramento giuridico dei soggetti di diritto sorti per effetto del fenomeno delle privatizzazioni. Questa trasformazione epocale dell’assetto proprietario e gestionale dell’esercizio dell’impresa pubblica ha reso necessaria una riconsiderazione delle categorie concettuali di riferimento»[8].
In termini di organizzazione delle amministrazioni pubbliche, la nozione di amministrazione italiana – la cui definizione sfugge, di per sé, ad una concezione unitaria[9] – è stata sempre più influenzata dall’utilizzo di strumenti privatistici, vuoi per l’esigenza – maturata anche alla luce delle pregresse esperienze negative – di esercitare attività imprenditoriali in modo efficiente ed efficace, vuoi perché con l’utilizzo di strumenti privatistici – in luogo dell’esercizio dei classici poteri autoritativi – si sarebbe favorito il miglior adeguamento possibile dell’organizzazione amministrativa italiana ai principi dell’ordinamento dell’Unione europea: che non ammette, in alcun modo, che norme nazionali conferiscano posizioni di privilegio o vantaggio alle amministrazioni esercenti attività concorrenziali.
Sennonché la selvaggia privatizzazione, da un lato, e la stessa ibridazione dei modelli di organizzazione amministrativa, dall’altro lato, hanno condotto, ad un certo punto, ad una ‘nuova’ situazione di incertezza, se non altro per il semplice fatto che non sempre risultasse chiaro quale dovesse essere il regime da applicare a determinati operatori del mercato.
Sotto questo profilo, l’organismo di diritto pubblico costituisce la più interessante risposta al fenomeno degli “smembramenti amministrativi”[10].
Al dilagare di apparati amministrativi di natura ibrida ed incerta, non riconducibili ai tradizionali schemi dell’organizzazione amministrativa italiana, la giurisprudenza europea ha infatti rinvenuto nell’organismo di diritto pubblico[11] la figura risolutiva affinché evitare che i principi europei e le regole dell’evidenza pubblica fossero, in quale modo, eluse.
È stato così che – con l’accantonamento dei criteri di stampo squisitamente formale e soggettivistico – si è pervenuti a coniare una figura di “amministrazione aggiudicatrice”[12] fondata su parametri di tipo ‘oggettivo’, in cui, cioè, l’analisi delle attività sostanzialmente esercitate sul mercato concorrenziale fosse effettuata sulla base di un paradigma funzionale, che avesse riguardo, essenzialmente, a tre profili: a) la soggettiva natura giuridica; b) le finalità di interesse generale perseguite dall’ente; c) l’esistenza di forme di finanziamento o di controllo sull’ente da parte dei pubblici poteri.
Invero – già in forza dei due noti leading cases del 1998[13] – la Corte di Giustizia – a poco tempo di distanza dall’emanazione delle direttive appalti degli anni ’90 – ha contribuito in maniera decisiva allo sviluppo di una interpretazione oggettivamente estensiva della nozione di organismo di diritto pubblico[14], in cui – vale a dire – i “bisogni di carattere generale” – geneticamente propri del requisito teleologico dell’organismo di diritto pubblico – fossero interpretati alla stregua di uno schema estremamente dilatato, all’interno del quale, cioè, poteva pure rinvenirsi la sotto-categoria dei “bisogni di carattere non industriale o commerciale”: la cui esistenza, per altro, non avrebbe in alcun modo precluso la riconducibilità alla natura di organismo di diritto pubblico, nemmeno qualora l’attività finalizzata al soddisfacimento di “bisogni di carattere non commerciale o industriale” avesse rivestito una posizione non prevalente – quand’anche addirittura del tutto minoritaria – sull’attività esercitata dall’ente.
A codesta interpretazione ‘estensiva’, poi, è stato anche significativamente precisato – sempre sulla scorta di quanto autorevolmente interpretato dalla Corte di Giustizia (ed è qui, si badi, il vero punto dirimente che fa da collante con i principi fondativi del diritto unionale) – che l’esistenza stessa di una effettiva concorrenza fra imprese private operanti sul mercato, da un lato, ed enti finanziati, o controllati, dallo Stato per il perseguimento di attività di interesse generale, dall’altro lato, non avrebbe, in alcun modo, escluso, affatto, la natura di questi ultimi come organismi di diritto pubblico, ma anzi – e al contrario – ne avrebbe avvalorato la relativa, e dovuta, configurabilità, stante la necessaria garanzia del valore fondamentale della concorrenza, nonché della stessa inammissibilità per il diritto europeo di interventi statali sul mercato.
In questi termini: « […] la nozione di o.d.p. si dilatava notevolmente, fino a comprendere qualsiasi società in mano pubblica che avesse tra i propri compiti, anche a titolo non esclusivo, quello di produrre servizi di interesse economico generale»[15].
Fatta salva, dunque, l’eccezione per il celebre caso che ha coinvolto la Fiera di Milano[16] – in cui, ad onor del vero, la Corte di Giustizia è sembrata imprimere una decisa correzione in senso restrittivo al suo primo orientamento – il trend della giurisprudenza europea – negli anni immediatamente successivi[17] ai primi leading cases – non ha fatto che confermare, e senza alcuna soluzione di continuità, il paradigma funzionale – interpretato alla stregua di uno schema di tipo oggettivo, estremamente dilatato – della figura dell’organismo di diritto pubblico.
Emblematiche, sul punto, le due successive e cruciali pronunce Truley[18] e Fernwärme Wien[19].
Con la sentenza Truley, specialmente, il Giudice europeo tenne significativamente a puntualizzare – e per la prima volta in maniera assolutamente esplicita – quale fosse la ratio iuris sottesa alla figura dell’organismo di diritto pubblico: consistente nella funzione di strumentalità rispetto l’obiettivo di liberalizzazione dei mercati e della loro stessa trasparenza, in ragione di cui si è spinto, coerentemente, la nozione di organismo di diritto pubblico verso una lettura che potesse “essere estensivamente intesa”[20], anche a fronte delle stringenti motivazioni di certezza del diritto europeo, nonché delle naturali esigenze di uniformità di regime tra gli Stati membri; il che, per altro, ha incentivato la Corte di Giustizia a rimarcare in maniera meticolosa e pleonastica – ad abundantiam – che la nozione dei “bisogni non industriali o commerciali” non potesse mai, ed in alcun modo, essere modificata o interpretata secondo la ‘discrezionalità’ dal legislatore nazionale, posto che, naturalmente, si trattasse di fattispecie rientrante sotto la competenza ratione materiae del diritto europeo.
Appare evidente, dunque, la ratio che ha condotto la prima giurisprudenza europea[21] a delineare la figura dell’organismo di diritto pubblico: rinvenibile, come per altro sostenuto da dottrina autorevole[22], non tanto nella volontà di ampliare le maglie dell’organizzazione dei soggetti pubblici, quanto, invece, nel proposito di circoscrivere e rendere il più certo possibile l’ambito di applicazione della disciplina delle procedure di evidenza pubblica, con l’irrinunciabile garanzia di uniformità di regime tra gli Stati membri dell’Unione.
In forza delle preziose soluzioni pretorie suggerite dagli interventi della giurisprudenza europea, la disciplina degli organismi di diritto pubblico ha poi trovato la propria naturale sedes materiae dapprima nelle direttive n. 17 e 18 del 2004 (recepite sul piano nazionale con il D.lgs. 2006, n. 163) e più di recente nelle direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE del 26 febbraio 2014, il cui contenuto è stato pressoché fedelmente riprodotto al vigente art. 3 del D.lgs. 2016, n. 50.
Sul piano interno giova evidenziare, per altro, come la giurisprudenza domestica si sia da anni allineata con l’interpretazione tipicamente estensiva, suggerita dalla Corte di Giustizia, dell’organismo di diritto pubblico: invero – già prima dell’entrata in vigore del previgente Codice dei contratti pubblici – la giurisprudenza amministrativa nazionale non ha rinvenuto particolari difficoltà nel ricondurre la natura di organismo di diritto pubblico ad enti soggettivamente connotati dalla forma privatistica[23]; posto che la mera forma non può, di per sé, essere idonea ad escludere la sostanziale ed oggettiva natura pubblicistica di un ente.
Ferma la sterminata giurisprudenza nazionale, e solo per dei più recenti e significativi esempi, appare utile e prezioso il menzionare le ultime pronunce che hanno riconosciuto la natura di organismo di diritto pubblico tanto alle fondazioni di natura privata[24] quanto alla stessa, e controversa, società Expo 2015[25].
Le conferme dalla recente sentenza del TAR Lazio, 13 aprile 2018, n. 4100
In un recente contenzioso amministrativo introdotto con ricorso volto ad ottenere l’annullamento degli atti di una procedura avviata dalla figc per l’affidamento di servizi di trasporto e facchinaggio, il TAR Lazio – con sentenza del 13 aprile 2018, n. 4100 – ha dichiarato infondata l’eccezione per difetto di giurisdizione sollevata dalla resistente Federazione sportiva nei confronti della domanda con cui la ricorrente società chiedeva, invece, che la figc venisse sottoposta, in via generale, ai principi delle procedure ad evidenza pubblica e, in particolare, al regime contemplato dal Codice degli Appalti: sul punto ha assunto un rilievo pregnante proprio la questione inerente la qualificabilità della figc come organismo di diritto pubblico, dirimente al fine di individuare l’esatto ambito di applicazione delle regole di evidenza pubblica.
Segnatamente – con l’esplicito richiamo all’art. 3, comma 1, lettera a) del D.lgs. 2016, n. 50 – è stato puntualizzato che nel novero delle “amministrazioni aggiudicatrici” rientrino – oltre alle amministrazioni dello Stato, agli enti pubblici territoriali e agli enti pubblici non economici – anche gli organismi di diritto pubblico, individuabili – secondo quanto prescritto alla lettera d) del summenzionato articolo 3 del D.lgs. 2016, n. 50 – come enti: 1) istituiti per soddisfare specificatamente esigenze di interesse generale, aventi carattere non industriale o commerciale; 2) dotati di personalità giuridica; 3) le cui attività siano controllate o finanziate, in modo maggioritario, dallo Stato, enti pubblici territoriali ed economici ovvero altri organismi di diritto pubblico; oppure ancora i cui organi di amministrazione, direzione o vigilanza siano costituiti da membri dei quali più della metà è designata dallo Stato, enti pubblici territoriali ed economici o altri organismi di diritto pubblico.
Ciò posto, il TAR – risalendo dalla disciplina contemplata dal D.lgs. 242/1999 – ha evidenziato i tratti distintivi delle federazioni sportive nazionali, giungendo fino a ricostruirne la natura di associazioni con personalità giuridica di diritto privato, perseguenti finalità prive di carattere di lucro, sebbene contraddistinte dall’indubbio rilievo pubblicistico connotante, per esempio, le funzioni amministrative relative alla ammissione e affiliazione di società, associazioni sportive e tesserati – ovvero alla revoca e modificazione dei relativi provvedimenti – nonché agli stessi compiti di controllo in merito al regolare svolgimento delle competizioni e dei campionati sportivi e alla delicata gestione delle concessioni dei contributi pubblici.
Nelle Federazioni sportive, insomma, è indubbio che la connotazione privatistica della forma associativa conviva con la stessa valenza pubblicistica delle attività esercitate per legge.
Da puntualizzarsi è che in forza dello Statuto del coni – esattamente di quanto disposto all’art. 20, comma 4 – le federazioni sportive siano tenute, comunque, a svolgere le proprie attività associative in armonia con le deliberazioni e gli indirizzi del cio e del coni, e che, soprattutto, nel sistema delle fonti dell’ordinamento sportivo le federazioni nazionali – sebbene dotate di autonomia tecnica, organizzativa e di gestione – siano sempre sottoposte alla vigilanza del Comitato Olimpico Nazionale Italiano.
In particolar modo, il TAR Lazio non ha potuto far a meno di osservare come – oltre ai già rilevanti compiti di vigilanza – il coni eserciti anche dei significativi poteri di controllo sulle federazioni, a cominciare dalla verifica dei requisiti per il riconoscimento della personalità giuridica, passando per l’approvazione annuale dei bilanci delle federazioni, sino alla stessa approvazione degli statuti di cui ogni singola federazione sportiva si dota.
Per queste ragioni il Giudice Amministrativo ha riconosciuto che – ferma restando l’autonomia attribuita dalla legge e dallo Statuto del coni – non può assolutamente disconoscersi che il controllo esercitato dal Comitato Olimpico sulla figc si concretizzi:« nella titolarità di poteri salienti nella vita e nell’attività […] della FIGC, a cominciare dal riconoscimento […] per continuare con l’approvazione dello statuto e del bilancio […] fino alla verifica complessiva in ordine allo svolgimento dell’attività di promozione sportiva in armonia con le deliberazioni e gli indirizzi del CIO e del CONI. Il complesso di tali poteri deve ritenersi integrante il contenuto della nozione comunitaria di controllo, recepita dal legislatore nazionale nel disciplinare la figura dell’organismo di diritto pubblico»[26].
In sostanza, il TAR Lazio, con la sentenza n. 4100/2018, ha ricostruito le peculiari caratteristiche genetiche della figc, quale forma associativa avente una personalità giuridica di diritto privato e perseguente rilevanti finalità di interesse generale, in rapporto alle quali vengono esercitate pregnanti funzioni amministrative di controllo da parte del coni: a ben riflettere, dunque, sussistono tutti i requisiti contemplati dal Codice degli Appalti per la configurabilità come organismo di diritto pubblico e, dunque, la consequenziale estensione della qualifica di amministrazione aggiudicatrice, sottoposta al regime delle stazioni appaltanti.
In senso confermativo, peraltro, il Collegio del TAR ha richiamato pure una delibera dell’Anac – n. 372 del 26 marzo 2016 – in cui l’Autorità anticorruzione è giunta alle medesime conclusioni.
Né, all’opposto, potrebbe aver un valore contrario – ha stigmatizzato il TAR – il fatto che la figc non sia inserita nell’elenco delle amministrazioni pubbliche redatto dall’istat: ciò in quanto – sebbene in forza delle regole fissate dal Sistema Europeo dei conti nazionali e regionali (SEC95) nella Federazione Italiana Giuoco Calcio sia assente il requisito afferente al finanziamento pubblico maggioritario – tale requisito sarebbe comunque irrilevante ai fini della qualificabilità come organismo di diritto pubblico, sussistendo l’alternativo presupposto del controllo esercitato dal coni (che è un ente pubblico non economico)[27].
Per completezza giova puntualizzare come il TAR Lazio abbia aggiunto – mortificando le eccezioni processuali sollevate dalla resistente figc – che, anche a prescindere dalla stessa riconducibilità della figc alla figura dell’organismo di diritto pubblico, una risalente e consolidata giurisprudenza amministrativa avesse, comunque, già affermato per dei casi analoghi la sussistenza della giurisdizione del Giudice Amministrativo e la sottoposizione alle regole di evidenza pubblica dell’attività contrattuale posta in essere dalla figc, con il richiamo specifico al caso verificatosi in merito:« “la licitazione privata con cui la figc sceglie il contraente di un contratto atipico di sponsorizzazione della squadra nazionale di calcio [che] non costituisce una fase della c.d. vita interna della Federazione ma rappresenta il momento in cui questa, come organo del Coni, disciplina interessi fondamentali, strettamente connessi con l’attività sportiva” (Cons. St., sez. VI, 10.10.2002, n. 5442); nel medesimo senso Cons. Stato, sez. VI, 10.9.2007, n. 4743, secondo cui “l’attività posta in essere da una federazione sportiva volta alla individuazione e scelta del contraente per un contratto avente ad oggetto l’assicurazione, a favore di tutti i tesserati, per la responsabilità civile e gli infortuni personali derivanti dallo svolgimento di un’attività sportiva, non costituisce una fase della c.d. vita interna della Federazione stessa, ma rappresenta il momento in cui questa, quale organo del C.O.N.I., provvede alla tutela dei suoi iscritti per i rischi ai quali questi sono esposti nell’esercizio dell’attività sportiva. …. In quanto finalizzata alla realizzazione di interessi fondamentali ed istituzionali dell’attività sportiva, la Federazione agisce, dunque, quale organo del C.O.N.I., ponendo in essere atti amministrativi (e non meramente privatistici), con la conseguenza che la giurisdizione sull’eventuale controversia nascente da tale situazione deve essere riconosciuta al Giudice Amministrativo”»[28].
In conclusione – anche in forza delle preziose ricostruzioni argomentative suggerite del TAR Lazio per inquadrare i peculiari tratti genetici associativi della Federazione italiana giuoco calcio – si deve riconoscere che ogni qualvolta la figc venga ad esercitare attività a valenza pubblicistica[29] essa non potrebbe che essere sottoposta al regime tipico delle regole, di matrice europea, dell’evidenza pubblica; contemplate, in modo puntuale, al vigente D.lgs. n. 50 del 18 aprile 2016.
Il che, preme evidenziare, trova applicazione per due fondamentali, e insuperabili, argomentazioni di diritto: in primis, per la generale riconducibilità della stessa figc alla peculiare figura amministrativa dell’organismo di diritto pubblico; in secondo luogo – ed anche nella denegata ipotesi, invero di carattere residuale, che non fosse qualificabile come un organismo di diritto pubblico – perché, in ogni caso – sulla scorta di una risalente giurisprudenza amministrativa domestica[30] (debitrice forse delle ‘tendenze’ adottate dalla Corte di Giustizia) – qualsiasi tipo di attività non costituente una fase della c.d. ‘vita interna’ alla Federazione realizza, già di per sé, il momento in cui la figc – quale federazione posta sotto la vigilanza ed il controllo del coni – provvede alla tutela degli interessi ‘generali’, fondamentali ed istituzionali dell’attività sportiva calcistica nazionale.
[1] Nell’ambito dell’ampia letteratura sul punto, appare prezioso il rinvio a U. Draetta, Elementi di Diritto dell’Unione europea. Parte istituzionale. Ordinamento e struttura dell’Unione Europea, Milano, 2009, p. 20.
[2] Per la sintesi dei principi costitutivi del mercato unico europeo, nonché per una preziosa ricostruzione delle vicende istituzionali (nonché costituzionali) dell’Unione Europea, R. Bin – G. Pitruzzella, Diritto Costituzionale, Torino, 2016, pp. 100-143.
[3] Utili, sul punto, gli approfondimenti in D. Urania Galetta (a cura di), Diritto Amministrativo nell’Unione Europea. Argomenti e materiali, Torino, 2014.
[4] Per una lucida ed aggiornata analisi tecnica della complessa materia di contabilità delle pubbliche amministrazioni, M. Fratini, Compendio di Contabilità Pubblica, Roma, 2017; si confronti, in particolar modo, l’approfondimento in tema di organismo di diritto pubblico, pp. 6-9.
[5] Non è casuale la distinzione tra impegni europei ed impegni internazionali: giova sottolineare, solo per un esempio, come il Trattato sulla stabilità, sul coordinamento e sulla governance dell’Unione europea – firmato il 2 marzo 2012 e la cui parte fondamentale è rinvenibile nel “patto di bilancio” (comunemente noto come Fiscal Compact) – costituisca un vero e proprio trattato internazionale stipulato al di fuori dei Trattati su cui è istituita l’Unione europea.
[6] Preziosa e significativa appare la ricostruzione giurisprudenziale sulle materie di legislazione esclusiva dello Stato di cui all’art. 117, c. 2, lett. e, Cost., sviluppato nel contributo di A. Sandulli, La concorrenza nei servizi pubblici e negli appalti: tra sentenze della Corte costituzionale. Report annuale 2011. Italia, in IUS PUBLICUM NETWORK REVIEW, aprile, 2011.
[7] Illuminante sul punto, S. Cassese (a cura di), Istituzioni di Diritto Amministrativo, Milano, 2012, pp. 25-27. In modo particolare appare utile puntualizzare come nel diritto amministrativo europeo la distinzione tra funzione e servizio sia fondamentale proprio per circoscrivere esattamente l’ambito applicativo della deroga disposta nei confronti della libera circolazione dei lavoratori, contemplata – con riguardo alle funzioni attinenti all’esercizio dei pubblici poteri e alla tutela degli interessi generali dello Stato o di enti pubblici – all’art. 45 T.F.U.E. Analogamente è sottratto alle norme europee di tutela della concorrenza – ex art. 101 ss. T.F.U.E. – l’esercizio di funzioni concernenti prerogative tipiche dei pubblici poteri; su quest’ultimo punto è emblematico il celebre caso Eurocontrol, Corte giust. UE 19 gennaio 1994, C-364.
[8]C. Deodato, Le società pubbliche. Il regime dei contratti, in www.giustamm.it.
[9] S. Cassese (a cura di), Istituzioni di Diritto Amministrativo, Milano, 2012, p. 3.
[10] B. Mameli, L’organismo di diritto pubblico. Profili sostanziali e processuali, Milano, 2003, p. 1.
[11] Per un approfondimento inerente i caratteri dell’organismo di diritto pubblico, nonché per una ricostruzione sulla sua evoluzione nella prima giurisprudenza comunitaria, G. La Rosa, L’Organismo di diritto pubblico. La non industrialità nella giurisprudenza, in Le Istituzioni del Federalismo, n. 2/2007, pp. 293-318.
[12] Il presupposto del conseguimento del sospirato recupero di una nozione unitaria della pubblica amministrazione – che, indirettamente, contribuisse anche a delineare nella maniera più certa possibile i contorni della stessa figura delle ‘amministrazioni aggiudicatrici’ – ha costituito la più inconscia risposta data dalla dottrina e dalla giurisprudenza per arginare il dilagante fenomeno degli ‘smembramenti amministrativi’, nonché il processo di strisciante ‘disgregazione’ dei classici modelli organizzativi dell’amministrazione italiana; sul punto appare emblematica l’autorevole interpretazione suggerita da chi ha definito: « un intento “risorgimentale” quello che anima l’autorevole e raffinata dottrina che attribuisce alla figura dell’organismo di diritto pubblico la somma funzione di nuovo paradigma della soggettività pubblica in grado, mediante l’applicazione di noti indici sintomatici, di discriminare il pubblico dal privato e di scorgere la “vera natura” dei soggetti […]», F. Merusi, La legalità amministrativa. Altri sentirei interrotti, Bologna, 2012, p. 52.
[13] Corte giust. UE 15 gennaio 1998, Mannesmann, C-44/96; Corte giust. UE 10 novembre 1998, BFI Holding, C-360/96.
[14] Sul punto è preziosa la ricostruzione presente in M. Libertini, Organismo di diritto pubblico, rischio d’impresa e concorrenza: una relazione ancora incerta, in Federalismi.it.
[15] M. Libertini, Organismo di diritto pubblico, rischio d’impresa e concorrenza: una relazione ancora incerta, in Federalismi.it, p. 8.
[16] Corte giust. UE 10 maggio 2001, Agorà c. Ente Autonomo Fiera Internazionale di Milano, C-223/99. In questo caso, precisamente, la Corte Europea – sebbene avesse tenuto a puntualizzare che l’Ente Fiera avesse esercitato fino a quel momento attività connotata dall’assenza di uno scopo di lucro (e in effetti solo successivamente l’Ente sarà trasformato in una s.p.a.) – focalizzò la propria analisi sul fatto che l’Ente avesse operato comunque secondo criteri di economicità tali da sopportare direttamente il rischio economico dell’attività: il che portava ad escludere, di per sé, qualsiasi forma di finanziamento o controllo da parte dei pubblici poteri.
[17] Corte giust. UE 3 ottobre 2000, University of Cambridge, C-380/98; Corte giust. UE 12 dicembre 2002, Universale – Bau Ag, C- 470/99.
[18] Corte giust. UE 27 febbraio 2003, Adolf Truley GmbH v. Bestattung Wien Gmbh, C-373/00.
[19] Corte giust. UE 10 aprile 2008, Fernwärme Wien, C-393/06. In questo caso, in particolar modo, la Corte si premurò di ribadire sostanzialmente la propria pregressa e consolidata giurisprudenza, ribadendo che, che esigenze di certezza del diritto legate all’uniformità di regime delle regole di evidenza pubblica, la qualificazione come organismo di diritto pubblico considerasse l’insieme delle attività svolte dall’ente, ben potendo rientrare sotto tale figura anche un ipotetico soggetto che svolgesse attività miste, ovvero in parte di interesse generale e in parte no.
[20] Corte giust. UE 27 febbraio 2003, Adolf Truley GmbH v. Bestattung Wien Gmbh, C-373/00, § 40.
[21] Non si può far a meno di approfondire il primo, e celebre, leading case, di cui alla pronuncia della Corte giust. UE 15 gennaio 1998, Mannesmann, C-44/96, in Racc., 1998, I-00073. In quell’occasione, più esattamente, la Corte – impegnata in un delicato caso inerente l’attività della tipografia di Stato austriaca – non esitò nel porre a base della propria decisione il valore preminente della ‘certezza del diritto europeo’: coniando un paradigma funzionale che facesse dipendere la qualifica di ‘organismo di diritto pubblico’ unicamente dal possesso di requisiti di carattere oggettivo, tra cui spiccava, in specie, (oltre, chiaramente, al possesso dei concorrenti requisiti della personalità giuridica e della sottoposizione all’influenza dei pubblici poteri) il soddisfacimento di bisogni di interesse generale aventi un carattere non industriale o commerciale, che – tra le fortissime critiche della dottrina – veniva assunto come requisito oggettivo di riferimento indipendentemente dalla predominanza, o meno, di tale attività sulle altre eventualmente svolte dall’organismo di diritto pubblico, con il sicuro pregio di estendere al massimo il regime della disciplina europea sulle regole di evidenza pubblica ma, anche, con l’indubbio pericoloso risvolto – fatto ben presente dalla dottrina più attenta – di ricadere in un nuovo soggettivismo legato alla verifica ‘caso per caso’ dello status giuridico di organismo di diritto pubblico; ex multis R. Garofoli, Organismo di diritto pubblico: allineamento tra Giudice comunitario e nazionale, in www.altalex.com; M.A. Sandulli, Impresa pubblica e regole di affidamento dei contratti, in Federalismi.it.
[22] M. Chiti, L’organismo di diritto pubblico e la nozione comunitaria di pubblica amministrazione, Bologna, 2000, p. 8.
[23] C.d.S., sent., sez. VI, 20 maggio 1995, n. 498. Per un autorevole commento, S. Cassese, Gli enti privatizzati come società di diritto speciale:il Consiglio di Stato scopre il diritto naturale, in Giorn. Dir. Amm., n. 12/1995, pp. 1134-1140
[24] C.d.S., sent., sez. VI, 3 giugno 2014, n. 2843.
[25] C.d.S., sent., sez. IV, 4 febbraio 2014, n. 552.
[26] TAR Lazio, 13 aprile 2018, n. 4100.
[27] Per degli approfondimenti sulla natura giuridica del coni, specie all’indomani del D.lgs. 23 luglio 1999, n. 242, G. Napolitano, La nuova disciplina dell’organizzazione sportiva italiana: prime considerazioni sul decreto legislativo 23 luglio 1999, n. 242, di “riordino” del C.O.N.I., in Riv. Dir. Sport., n. 3/1999, pp. 617-623; G. Napolitano, La riforma del Coni e delle federazioni sportive, in Giorn. dir. amm., n.1/2000, pp. 113-114; C. Franchini, Il riordino del Coni, in Giorn. dir. amm., n. 11/2003, pp. 1209-1214; più di recente G. Pastori, Il riordino del C.O.N.I. attuato con il d.lgs. 23 luglio 1999, n. 242, in Lineamenti di Diritto Sportivo, L. Cantamessa – G. M. Riccio – G. Sciancalepore (a cura di), Milano, 2008, pp. 89-93.
[28] TAR Lazio, 13 aprile 2018, n. 4100.
[29] Giova, per altro, puntualizzare come il TAR Lazio abbia significativamente precisato, con la sentenza in commento, che, ai fini della qualificazione come organismo di diritto pubblico della figc, il soddisfacimento di bisogni d’interesse generale, che siano privi di natura commerciale o industriale, non debba necessariamente rivestire carattere esclusivo delle attività poste in essere, essendo sufficiente che una parte dell’attività della figc presenti tali fondamentali qualità: la Federazione potrebbe, dunque, perseguire al contempo interessi di carattere commerciale e industriale, rimanendo in ogni caso qualificabile come organismo di diritto pubblico. Sul punto è stato pure fatto richiamo alla recente pronuncia della Corte giust. UE 5 ottobre 2017, n. 567.
[30] Ex multis, C.d.S., sent., sez. VI, 10 ottobre 2002, n. 5442; C.d.S., sent., sez. VI, 10 settembre 2007, n. 4743.
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