Salute, tra libertà d’impresa e tutela Inail: indennizzabile la malattia lavorativa “non tabellata”

La questione “occupazione” è argomento di quotidiana rilevanza, non soltanto in termini politici ma anche per tutti gli aspetti inerenti il benessere dell’individuo sia in ambito lavorativo che in quello socio-familiare, potremmo dire persino “antropologico”: la tutela della salute psico-fisica della persona assume, infatti, una precisa priorità nel “panorama” concreto della vita e ciò implica, dunque, una particolare presa di coscienza a tutti i livelli, a partire dalle Istituzioni e dalle imprese.
Il caso, esaminato dalla Corte di Cassazione Sezione Lavoro con ordinanza 05-03-2018 n. 5066, verte in ambito di lavoro subordinato privato e di integrità psico-fisica.
Nella fattispecie, un soggetto, alle dipendenze di una testata giornalistica, affermava di avere contratto un grave disturbo dell’adattamento con ansia e depressione, a causa di un forte stress derivante da straordinari effettuati per moltissime ore.
In primis, va ricordato che la Carta Costituzionale italiana tutela il diritto al lavoro, innanzitutto, tra i suoi principi fondamentali (art. 4) ed il diritto alla salute (art. 32) nella prima parte inerente il cosiddetto “diritto sostanziale”.
Segnatamente, sotto il profilo sostanziale “speciale”, l’ordinamento italiano prevede, all’art. 3 T.U. n. 1124/1965, la tutela assicurativa, da parte dell’INAIL., in caso di malattia professionale: in termini probatori, ricade sul lavoratore (esclusivamente) l’onere di dimostrare il nesso di causalità tra la lavorazione patogena e la malattia diagnosticata.
A riguardo, due sarebbero le tipologie di rischio assicurato e, quindi, indennizzabile: non soltanto il  rischio specifico, quello cioè derivante dalla pericolosità, bensì anche il rischio improprio e cioè oggettivo ovvero il rischio derivante non dallo svolgimento della precisa attività lavorativa, eppure collegato con essa, come ad es. l’articolazione delle pause, la locomozione interna agli spazi di lavoro. In tal senso, tale seconda forma di danno può essere qualificato come “ambientale”.
Secondo tali principi ammessi dalla giurisprudenza di legittimità, dunque, la tutela INAIL sarebbe riconoscibile per ogni forma di tecnopatia, fisica o psichica, in quanto considerabile comunque quale conseguenza dell’attività lavorativa, sia che riguardi la lavorazione che l’organizzazione del lavoro e le sue modalità di esplicazione: ciò, peraltro, anche se l’attività non sia compresa tra le malattie tabellate o tra i rischi specificamente indicati in tabella.
In conclusione, quindi, in base al ragionamento della Corte, il dipendente ha diritto al riconoscimento della malattia lavorativa in quanto il danno sarebbe in re ipsa e, cioè, eziologicamente imputabile alle scelte organizzative del lavoro adottate dall’azienda datrice e di cui lo Stato, in quanto di matrice sociale (art. 38 Cost.), è tenuto a farsi carico, anche in attuazione del principio di solidarietà economica e sociale (art. 2) e di eguaglianza (art. 3).
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