Sequestro di documenti e segreto professionale
La Corte di Cassazione – Sezione Seconda Penale -, con l’interessante ed importante sentenza n. 51446 depositata in cancelleria il 10 novembre 2017, ha stabilito il principio che non si può procedere al sequestro dei dati informatici qualora il commercialista opponga per iscritto il segreto professionale.
La più recente giurisprudenza della Corte di Cassazione (Sez. Unite, n. 40963 del 20/07/2017 – dep. 07/09/2017, Andreucci, Rv. 27049701), dopo aver ricordato che “secondo il rapporto esplicativo adottato dal Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa il termine “sequestrare” in base alla convenzione «significa prendere il mezzo fisico sul quale i dati o le informazioni sono registrati oppure fare e trattenere una copia di tali dati o informazioni”, ha precisato che l’ art. 258 c.p.p., che riguarda espressamente i documenti, non può trovare applicazione rispetto ad un apparato informativo o ad una copia immagine, intesa quale clone identico all’originale di un documento informatico, mentre tale disposizione può essere considerata quando il dato informatico sia riconducibile entro la nozione di atto o documento, nel qual caso valgono le conclusioni cui è pervenuta la sentenza Tchmil (secondo cui, una volta restituita la cosa sequestrata, la richiesta di riesame, del sequestro, o l’eventuale ricorso per cassazione contro la decisione del tribunale del riesame è inammissibile per sopravvenuta carenza di interesse, che non è configurabile neanche qualora l’autorità giudiziaria disponga, all’atto della restituzione, l’estrazione di copia degli atti o documenti sequestrati, dal momento che il relativo provvedimento è autonomo rispetto al decreto di sequestro, né è soggetto ad alcuna forma di gravame, stante il principio di tassatività delle impugnazioni; Sez. Unite, n. 18253 del 24/04/2008 – dep. 07/05/2008, Tchmil, Rv. 23939701).
Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, tuttavia, hanno sottolineato come questa ultima decisione non si sia preoccupata di considerare l’ipotesi in cui il documento, sia esso informatico o di altro tipo, «trasferisca il proprio valore anche sulla copia», venendo così in gioco l’interesse alla «disponibilità esclusiva del “patrimonio informativo”», poiché esso non verrebbe meno con la mera restituzione fisica di quanto oggetto di sequestro.
In questi casi, nonostante la restituzione del supporto sul quale il dato è contenuto, permane comunque un interesse all’impugnazione del provvedimento ablativo per la verifica della sussistenza dei presupposti applicativi; “deve tuttavia trattarsi di un interesse concreto ed attuale, specifico ed oggettivamente valutabile sulla base di elementi univocamente indicativi della lesione di interessi primari conseguenti alla indisponibilità delle informazioni contenute nel documento, la cui sussistenza andrà dimostrata, non potendosi ritenere sufficienti allo scopo generiche allegazioni”.
Alcuni giudici di merito hanno nella sostanza condiviso il precedente orientamento della Corte di Cassazione (Sez. 6, n. 24617 del 24/02/2015 – dep. 10/06/2015, Rizzo, Rv. 26409301), secondo cui costituisce sequestro probatorio l’acquisizione, mediante estrazione di copia informatica o riproduzione su supporto cartaceo, dei dati contenuti in un archivio visionato nel corso di una perquisizione legittimamente eseguita ai sensi dell’art. 247 c.p.p., quando il trattenimento della copia determina la sottrazione all’interessato dell’esclusiva disponibilità dell’informazione e incide sul diritto alla riservatezza o al segreto.
Ciò posto, occorre verificare se la persistente disponibilità in capo al titolare degli originali dei documenti e dei dati informatici di cui è stata acquisita copia comporti una perdita autonomamente valutabile sotto il profilo della lesione dell’interesse primario all’esclusiva utilizzabilità delle informazioni negli stessi contenute, tale da fare ritenere l’operazione di copia effettuata un vero e proprio sequestro di informazione, autonomamente apprezzabile e idonea, di conseguenza, a legittimare la presentazione di un’impugnazione avverso il relativo provvedimento.
Questa indagine, come detto, ha ad oggetto l’esistenza di interesse, concreto, attuale, specifico ed oggettivamente valutabile, a preservare I’ esclusiva disponibilità del patrimonio informativo.
La verifica di questo interesse impone di riconoscere all’ istante la possibilità di impugnare al fine di dimostrare in sede di riesame l’esistenza dei presupposti legittimanti la sussistenza di un suo diritto alla disponibilità esclusiva del patrimonio informativo estratto in copia.
Giova aggiungere, da ultimo, che l’attuale disposto dell’art. 256 c.p.p., nel testo introdotto dall’art. 8 Legge n. 48/2008 ed applicabile anche agli esperti contabili, ai sensi del combinato disposto degli artt. 200 c.p.p. e 5 d. Lgs. 28.6.2005 n. 139, ha superato i limiti in precedenza esistenti in tema di opposizione del segreto professionale, prevedendo una tutela di carattere simmetrico rispetto a quella contemplata per la testimonianza; questa nuova disciplina stabilisce che nel caso in cui sorga la necessità di acquisire atti, documenti, dati, informazioni e programmi informatici l’autorità giudiziaria ha l’onere di rivolgere una richiesta di consegna attraverso un decreto di esibizione, in virtù del quale sussiste un obbligo di rimessa immediata della cosa domandata, a meno che il soggetto destinatario della richiesta non dichiari per iscritto che il bene di cui si pretende l’esibizione è oggetto di segreto professionale.
La formale opposizione del segreto professionale, se sollevata in ragione della correlazione della disponibilità dei beni sequestrati o estratti in copia con un mandato professionale in precedenza conferito, è idonea a impedire all’ autorità giudiziaria di procedere al sequestro del bene richiesto in consegna, salvi gli accertamenti previsti dall’ art. 256, comma 2, c.p.p..
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