Gratuito patrocinio: il non abbiente rischia il fai da te nella mediazione?

Il Presidente del Tribunale di Roma ha rigettato l’istanza del difensore di una parte ammessa in via
anticipata e provvisoria dal locale Ordine forense al patrocinio a spese dello Stato per instaurare un
giudizio di natura condominiale, e volta al fine di vedersi liquidato il compenso per l’attività svolta
dinanzi al mediatore dinanzi al quale è stato raggiunto un accordo tra le parti così vanificando
l’instaurando processo dinanzi l’Autorità Giudiziaria.
Il mancato accogliemento della domanda viene supportato dalle seguenti ragioni:

a) il procedimento di mediazione, per quanto questa sia ritenuta obbligatoria, non è strumentale

all’instaurazione di una controversia civile essendo semmai finalizzato ad evitarla;

b) l’onere a carico dello Stato non è previsto da alcuna previsione normativa;
c) la legge sulla mediazione non prevede alcun nuovo onere a carico dello Stato;
d) i principi sanciti dall’art. 97 Cost. impongono di assicurare l’equilibro di bilancio;
e) nel caso di controversie transfrontaliere il legislatore ha specificamente previsto l’utilizzabilità

del patrocinio a spese dello Stato nei procedimenti stragiudiziali obbligatori;

f) sussiste, nel caso di accordo, il vincolo di solidarietà a carico di entrambe le parti per il

pagamento dell’onorario professionale salvo espressa rinuncia dei difensori.
Ebbene, non mi pare che ci si debba proprio strappare i capelli alla lettura della suddetta pronuncia,
da più parti non condivisa, né mi sembra ragionevolmente argomentabile, in relazione alle possibili
conseguenze che tale pronuncia potrebbe provocare, una fuga degli avvocati dal servizio di
patrocinio a spese dello Stato (le ragioni di tale fenomeno sono da ricercare altrove).
In effetti, la mediazione nel processo civile italiano, introdotta (con espressa valenza in via
sperimentale per quattro anni che sono abbondantemente trascorsi) nel quadro di un più ampio
disegno, e cioè quello di trasferire il processo civile in sede privatistica (un ritorno al giudice
privato romano?), affidata in massima parte a enti che, tranne gli ordini forensi di natura pubblica
non economica, sono stati costituiti da soggetti privati, la mediazione appunto consiste in una
“attivita’, comunque denominata, svolta da un terzo imparziale e finalizzata ad assistere due o piu’
soggetti nella ricerca di un accordo amichevole per la composizione di una controversia,
anche con formulazione di una proposta per la risoluzione della stessa” (art. 2 D.Lgs n.
28/2010), osservando il rito indicato nel regolamento dell’organismo scelto dalle parti (art. 3 ivi).
Molti, giustamente, equiparano l’attività svolta nel procedimento di mediazione a quella della
materia extragiudiziale.
Il D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115 – Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in
materia di spese di giustizia, si riferisce esclusivamente ad un processo, in particolare assicurando
il patrocinio a spese dell’erario nel processo penale per la difesa del cittadino non abbiente,
indagato, imputato, condannato, persona offesa da reato, danneggiato che intenda costituirsi parte
civile, responsabile civile ovvero civilmente obbligato per la pena pecuniaria, nonché nel processo
civile, amministrativo, contabile, tributario e negli affari di volontaria giurisdizione, per la difesa
del cittadino non abbiente quando le sue ragioni risultino non manifestatamene infondate (art. 74).
Il legislatore si è preoccupato di aggiungere (con lo sguardo rivolto più al processo penale che a
quello civile, data la diversità di rango tra gli interessi rispettivamente tutelati), premesso che
l’ammissione al patrocinio è valida per ogni grado e per ogni fase del processo e per tutte le
eventuali procedure, derivate ed accidentali, comunque connesse, che la disciplina del patrocinio si
applica, in quanto compatibile, anche nella fase dell’esecuzione, nel processo di revisione, nei
processi di revocazione e opposizione di terzo, nonché nei procedimenti relativi all’applicazione di
misure di sicurezza, di prevenzione e nei procedimenti di competenza del tribunale di sorveglianza,
sempre che l’interessato debba o possa essere assistito da un difensore o da un consulente tecnico
(art. 75 ivi).
Nel testo normativo, quindi, si fa riferimento esclusivamente al processo e “processo è termine
della vita comune che indica il divenire di un fatto. Il processo per antonomasia, nel quale si
concreta la volontà della legge (processum judicii), è il modo necessario col quale questo
concretamente diviene: e poiuchè il suo divenire è e non può che essere che opera di alcuni soggetti,
il processo si preesenta esternamente come una serie di atti posti in essere da quei soggetti e legati
l’uno all’altro da un nesso di coordinazione ad un fine” (SALVATORE SATTA, Diritto procesuale
civile, Cedam, pag 171).
E quali sono questi soggetti? L’illustre Maestro richiama l’espressione di Bulgaro, judicium est
actum trium personarum, actoris, rei, judicis, per insegnare che il processo appare costruito come
un rapporto giuridico, sulla base del diritto delle prti alla sentenza e del dovere del giudice di
rendere questa sentenza.
Per dirla ancora con un altro grande Maestro, Giuseppe Chiovenda, “l’azione è giudiziaria allorchè
costituisce l’insieme degli atti costituenti il giudizio” così richiamando la definizione del L. 51 del
Dig, XLIV 7, Celso e delle Istituzioni di Giustiniano tit. 6 lib. 4, ius quod sibi debeatur, iudicio
persequendi, (“Azione” in Saggi di diritto processuale civile).
Erga: non vi è nulla di giudiziale in un tentativo di conciliazione in sede privatistica, neppure se la
legge impone l’assistenza del difensore.
A tal proposito è utile chiarire che l’assistenza dell’avvocato è obbligatoria esclusivamente nelle
ipotesi di c.d. mediazione obbligatoria (ivi compresa quella disposta dal giudice ex art. 5 comma 2,
ma non anche nelle ipotesi di mediazione facoltativa.
Non appare di poco rilievo, al fine di approvare le ragioni elencate nel decreto in commento,
l’osservazione che l’attività dell’avvocato nella mediazione è di “assistenza” e non di
“rappresentanza tecnica”
Annotiamo che l’efficacia della suddetta disposizione circa l’obbligatorietà della mediazione è
stabilita in quattro anni successivi alla data della sua entrata in vigore (20.9.2013) per disposizione
espressa (art. 5 comma 1bis L. n. 28/2010).
Del resto, a tale soluzione si perviene agevolmente osservando che, in via generale, il nuovo testo
dell’art. 12, comma 1, espressamente configura l’assistenza legale delle parti in mediazione come
meramente eventuale (“ove tutte le parti aderenti alla mediazione siano assistite da un
avvocato…”). Di talchè, ferma la necessità dell’assistenza legale nelle forme di mediazione
obbligatoria, nella mediazione c.d. facoltativa le parti possono partecipare senza l’assistenza di un
avvocato.
Peraltro, a tale conclusione non è di ostacolo la disposizione dell’art. 8 del decreto legislativo, che
prevede che “al primo incontro e agli incontri successivi, fino al termine della procedura, le parti
devono partecipare con l’assistenza dell’avvocato”. Apparentemente di ambito generale, in realtà
tale disposizione costituisce un completamento della previsione di cui all’art. 5, nel senso che, nelle
ipotesi in cui il procedimento di mediazione è condizione di procedibilità, la parte che vorrà attivare
la procedura di mediazione dovrà avvalersi dell’assistenza di un avvocato non solo al momento del
deposito dell’istanza, ma anche per tutti i momenti successivi del procedimento di mediazione, fino
al termine della procedura (così la circolare 27 novembre 2013 – prot.168322 del Direttore
generale della giustizia civile – Ufficio III ).
La stessa Corte UE con la sentenza 14 giugno 2017. Causa C-75/16, nella causa avente ad oggetto
le procedure di risoluzione alternativa delle controversie (ADR) a tutela dei consumatori con
riferimento alla direttiva 2013/11/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 maggio 2013,
insegna che essa osta a una normativa nazionale, come quella di cui al procedimento principale, la
quale prevede che, nell’ambito di una mediazione siffatta, i consumatori debbano essere assistiti da
un avvocato e possano ritirarsi da una procedura di mediazione solo se dimostrano l’esistenza di un
giustificato motivo a sostegno di tale decisione.
Per ragionare a contrario, appare improprio il ricorso che alcuni tribunali fanno al D.Lgs. n. 116 del
27 maggio 2005, attuativo della dir. 2003/8/CE in tema di Legal Aid mettendo in luce come l’art.
10 di detto decreto legislativo (pur se con esclusivo riferimento alle controversie transfrontaliere)
espressamente estenda l’applicazione del patrocinio a spese dello Stato a tutti i procedimenti di
conciliazione stragiudiziale che siano configurati dalla legge come obbligatori.
Così ragionando si dovrebbe ragionevolmente anche ammettere che ha il giusto riconoscimento nel
nostro ordinamento, a fianco dell’aiuto totale, anche l’aiuto parziale in quanto previsto dalla detta
direttiva e per la quale cosa l’A.N.V.A.G. Associazione Nazionale Volontari Avvocati per il Gratuito
patrocinio e la difesa dei non abbienti , ha da tempo formulato un progetto nel quale sono
impegnati avvocati valorosi che riducono il proprio compenso in percentuale a seconda di quanto il
reddito dei soggetti interessati (facenti parte di categorie meritevoli di aiuto parziale) si discosti dal
limite previsto ndalla legge per usufruire dell’aiuto totale come previsto dal testo unico sulle spese
di giustizia.
V’è da sottolineare, infine, come il richiamo all’art. 17 della legge n. 28/2010, per ammettere un
diritto al compenso da parte del difensore a carico dell’erario, sia inconferente.
In verità, il nuovo art. 17 comma 5 bis (“quando la mediazione e’ condizione di procedibilita’ della
domanda ai sensi dell’articolo 5, comma 1-bis, ovvero e’ disposta dal giudice ai sensi dell’articolo
5, comma 2, del presente decreto, all’organismo non e’ dovuta alcuna indennita’ dalla parte
che si trova nelle condizioni per l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, ai sensi
dell’articolo 76 (L) del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia
di spese di giustizia, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115,
e successive modificazioni. A tale fine la parte e’ tenuta a depositare presso l’organismo apposita
dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorieta’, la cui sottoscrizione puo’ essere autenticata dal
medesimo mediatore, nonche’ a produrre, a pena di inammissibilita’, se l’organismo lo richiede, la
documentazione necessaria a comprovare la veridicita’ di quanto dichiarato”) nulla dispone in
ordine al regolamento del compenso del difensore (anche se la circolare del C.N.F. 9 dicembre 2013
opta per la soluzione opposta ritenendo decisivo il richiamo dell’art. 76 del testo unico sulle spese
di giustizia e richiamando le disposizioni della direttiva 2003/8/CE art. 7 in materia di patrocinio a
spese dello Stato nelle controversie transfrontaliere).
Stando così le cose, non v’è che attendere un risolutivo intervento del legislatore, così come
l’A.N.V.A.G. Associazione Nazionale Volontari Avvocati per il Gratuito patrocinio e la difesa dei
non abbienti ha, come sopra detto, proposto (vox clamans in deserto) da tempo, addirittura prima
della nota sentenza della Corte Costituzionale del 2012, che ebbe l’effetto di provocare la riforma
dell’istituto della mediazione nel testo oggi vigente.
E’ stato auspicato un intervento, oltre che per la difesa tecnica obbligatoria, sopratutto per
l’adeguamento della normativa al t.u. sulle spese di giustizia.
In particolare è stato proposto di:
1) raccordare le norme del t.u. n. 115/02 con quelle della mediazione garantendone il valore
costituzionale e fiscale.
2) riportare all’esame di una commissione ad hoc (analogamente a quanto avviene per la materia
amministrativa) il giudizio sulla esistenza o meno delle condizioni per beneficiare del patrocinio a
spese dell’erario;
3) valorizzare il ruolo degli Ordini forensi che riusciranno a gestire meglio l’istituto del patrocinio a
spese dello Stato nella fase pregiudiziale e quella eventuale successiva giudiziale;
4) onorare la prestazione dei soggetti componenti le commissioni riconoscendo loro un gettone di
presenza;
stabilire che il compenso del difensore, agganciato a quello della magistratura onoraria, verrà
liquidato in termini prevedibili dalla commissione (ove la conciliazione riesca) ovvero sarà agevole
per il magistrato competente del successivo giudizio ritenere l’attività del difensore rientrante in
quella prevista dall’art. 75 t.u. n.115/02 che prevede che “l’ammissione al patrocinio è valida per
ogni grado e per ogni fase del processo e per tutte le eventuali procedure, derivate ed accidentali,
comunque connesse.
Nel frattempo l’avvocatura, almeno per quel che interessa i tempi più recenti, forte dell’esperienza
acquisita per settant’anni sotto il governo dell’ottimo Regio Decreto n. 3282/1923, così espletando
attività di gratuito patrocinio quale servizio totalmente onorifico della classe forense, continua a
fare la sua parte, in attesa che il legislatore, oltre che martoriare continuamente l’articolo 76 del t.u.
sulle spese di giustizianel (esentando categorie di soggetti dal limite di reddito con riconoscimento
automatico del diritto al patrocinio a spese dello Stato) per ragioni assolutamente rispettabili, si
rammenti di offrire una tutela dignitosa in termini di riconoscimento dell’opera prestata anche dal
difensore che rimane, per vocazione della professione esercitata, sempre disponibile al sacro
dovere di aiutare gli indigenti.
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