Sulla discrezionalità amministrativa in materia di AIC farmaceutiche. Scelte gnoseologiche e controllo giurisdizionale
Premesse. – 2. Introduzione sistematico-normativa. – 3. Sulla legittimità del contenuto politico implicito nella norma tecnica. – 4. Due diverse prospettive. Aspetti problematici. – 5. Circa il principio di precauzione nella governance dei medicinali. – 6. Sul rischio collegato ai prodotti medicinali. – 7. Esigenze del diritto e criteri per la scelta metodologica. – 8. Sindacato giurisdizionale europeo circa la scelta metodologica. – 9. Sul controllo giurisdizionale nel sistema integrato nazionale-europeo. – 10. Evoluzioni del controllo giurisdizionale europeo sulla c.d. jurisdictional discretion.
Premesse.
La descrizione critica delle valutazioni amministrative relative alla commercializzazione e diffusione dei medicinali ad uso umano richiede un notevole sforzo di sintesi interdisciplinare.
Per sua propria natura e scopo la norma giuridica impone un dover essere alla realtà fenomenica dei rapporti umani e, quindi, necessariamente vi ci si riferisce e non può prescindervi.
In particolare, nel disporre il dover essere, essa tende ad utilizzare vocaboli e terminologie che consentano il più possibile l’individuazione della specifica realtà considerata, poiché altrimenti ne verrebbe vanificato lo scopo funzionale[1].
Spesso, tuttavia, la questione terminologica acquisisce un’importanza cruciale nell’ipotesi in cui l’individuazione dell’effettiva portata significante dei vocaboli utilizzati nella norma non sia ricavata inequivocabilmente dal comune senso ad essa attribuito, ma sia demandata all’attività empirica tecnico-scientifica di soggetti diversi dal legislatore, che operino in autonomia settoriale o in coordinazione con l’amministrazione che deve attuarla.
Quanto detto vale in particolare nell’ambito del diritto amministrativo, ove per la soddisfazione delle posizioni giuridiche soggettive e, soprattutto, per il perseguimento dell’interesse pubblico, è imprescindibile l’intermediazione dell’amministrazione nella rilevazione del fatto e nell’applicazione della norma[2].
Con ogni evidenza, inoltre, la problematica terminologica acquisisce implicazioni maggiormente rilevanti nell’eventualità in cui la norma sia suscettibile d’incidere su interessi di spessore generale, come nel caso della salute pubblica.
Ci si riferisce, in particolare, a quelle espressioni normative che, prima la dottrina tedesca, e poi quella italiana, ha denominato «concetti giuridici indeterminati»[3] i quali, conformemente ad una certa ricostruzione germanica[4], comportano l’attuazione analitica del disposto prescrittivo secondo le distinte fasi «dell’accertamento del fatto, dell’interpretazione del contenuto della fattispecie astratta, della stretta applicazione della norma al fatto e, infine, dell’individuazione delle conseguenze giuridiche»[5].
Tale ricostruzione è avversata da quella risalente ma autorevolissima posizione speculativa[6] per cui queste fasi attuative, ed in particolare quelle della determinazione del fatto e della sua sussunzione nella fattispecie normativa, non possono essere considerate separatamente poiché le avvince un radicale problema interpretativo.
Invero, secondo questa posizione, l’incertezza applicativa «è un’incertezza che trae origine dall’impossibilità di un’interpretazione univoca, alla quale solo in via derivata consegue un’inevitabile incertezza anche sussuntiva»[7].
Valutando la problematica dalla diversa posizione della teoria inglese dell’analytical approach, a stretto rigore, la questione circa la riconducibilità di un dato fatto al dettato normativo consisterebbe piuttosto in una «question of fact and degree» e non in una questione di interpretazione di diritto[8].
Tuttavia, sempre in relazione alla problematica attuativa delle c.d. disposizioni indeterminate, è rilevante evidenziare soprattutto la lettura datane dalla teoria inglese dello strategic approach[9].
In linea con questa posizione, sembra fondato affermare che la scelta amministrativa dei caratteri del metodo d’indagine scientifica circa i profili dell’efficacia e della sicurezza dei prodotti farmaceutici, così come quella interconnessa della delimitazione del dominio di eventi oggetto d’indagine, dovrebbe essere considerata come una vera e propria determinazione discrezionale di policy[10].
In questo ambito conoscitivo, invero, la problematica non sembra risolvibile con la soluzione teorica italiana classica sulla contrapposizione tra accertamenti e valutazioni per il riscontro di fatti semplici o complessi.
Secondo tale teorica, nello specifico, la valutazione sui fatti complessi implicherebbe soltanto un giudizio di tipo squisitamente tecnico caratterizzato dalla opinabilità delle conclusioni, rimanendo peraltro esclusa qualsiasi manifestazione di volontà dell’amministrazione[11].
Questa posizione, infatti, muove dal presupposto implicito[12] che vi sia, tra le svariate metodologie, una sola specifica tecnica valida per la registrazione di specifici tipi di fatti complessi[13].
Tale posizione, tuttavia, è infirmata dalla constatazione ormai diffusa della varietà dei caratteri, delle funzionalità, delle deficienze, dei correttivi necessitati ed attendibilità dello strumentario metodologico scientifico, peraltro in continuo sviluppo nel contesto delle sperimentazioni, per la scoperta delle leggi causali tra fenomeni[14].
Tant’è che, ad esempio, le stesse linee guida sulla sperimentazione clinica dei prodotti farmaceutici, emesse dagli enti regolatori sulla base di quelle dell’ICH[15], dispongono dei criteri che, per quanto minutamente articolati, costituiscono sempre dei riferimenti di massima per lo svolgimento dei clinical trials, nell’ambito dei quali l’investigatore/sponsor/promotore può determinarsi, in linea di massima, nel modo più opportuno per fornire le evidenze utili all’autorizzazione al commercio del farmaco.
Invero, una soluzione che disponesse definitivamente sulle metodologie sperimentali da attuare nei controlli clinici, non sarebbe nemmeno auspicabile, poiché ogni farmaco necessita di essere testato secondo modalità delineate volta per volta, che consentano di rilevarne, tra le altre, le specificità farmacocinetiche e farmacodinamiche[16].
Tuttavia, pare opportuno sottolineare, che la scelta amministrativa che autorizza le metodologie sperimentali implementate, autorizza anche la selezione di quegli eventi della realtà fenomenica che si vogliono considerare rilevanti per l’operatività della norma[17].
Con ogni evidenza, infatti, tale scelta incide successivamente anche sul come detti elementi evidenziari possano e debbano poi essere logicamente valutati dall’amministrazione[18], in conformità alla ratio della metodologia applicata.
Anticipando brevemente gli argomenti trattati nel proseguo, si vuole sostenere fin d’ora che il fatto della possibilità oggettiva di compiere un «giudizio» ed effettuare una «scelta» circa lo strumentario conoscitivo per la ricerca delle evidenze della «qualità, sicurezza ed efficacia» del farmaco, investe l’Amministrazione di discrezionalità[19], funzionalizzata alla soluzione della problematica gnoseologica, connotando questo specifico momento della valutazione tecnica[20] appunto come discrezionale.
Ed anzi proprio in questo si sostanzia la sua attività di controllo, acciocchè sussista un fondamento scientifico esaustivo alle proprie determinazioni e queste non siano arbitrarie.
La posizione che si vuole difendere ed argomentare in quest’elaborato è, pertanto, che nell’attività istruttoria di valutazione tecnica, per riscontrare e conoscere i fatti complessi delle evidenze di qualità, sicurezza ed efficacia del medicinale, la scelta conoscitiva-metodologica costituisce, invece, nonostante riguardi saperi specialistici, un’operazione discrezionale che traduce «giudizi di valore»[21].
Essa implica un vero e proprio giudizio di volontà e scelta[22] che, come tale, deve essere suscettibile di controllo giurisdizionale[23], quantomeno sulla dimensione della sua legittimità estrinseca, per riscontrarne la logicità, la congruità-proporzionalità e, in buona sostanza, la conformità alla funzione perseguita[24].
La discrezionalità esercitata in questa scelta, inoltre, si configura nettamente distinta dalla c.d. «discrezionalità tecnica» riferibile, semmai, all’attività di «apprezzamento condizionato» delle evidenze e dell’attuazione dei criteri scientifici del metodo utilizzato dall’investigatore nella sperimentazione del farmaco[25].
In quest’ultimo tipo di attività istruttoria, di diversa natura, invero, l’ambito vero e proprio del giudizio e della scelta è ridotto notevolmente dall’attuazione delle regole tecniche desunte dalla metodologia prescelta.
I due momenti della scelta conoscitivo-metodologica e della sua materiale attuazione, se possono chiaramente distinguersi dal punto di vista astratto logico-normativo, non altrettanto facilmente possono separarsi dal punto di vista cronologico-procedimentale, dove si possono confondere ed influenzare a vicenda[26].
Ciononostante la loro distinzione teorica appare fondamentale.
Si vuole argomentare, infatti, che tale lettura appare imprescindibile per la compiuta realizzazione legittima della funzione[27]; e questo tanto nell’ambito della prima attuazione, quanto in quello del successivo eventuale controllo giurisdizionale.
La sintesi cui ci si è riferiti all’inizio, pertanto, comporta la considerazione degli elementi teorico-normativi che costituiscono l’oggetto dell’indagine ed il loro successivo coordinamento unitario.
E questo ancorché i detti elementi, in verità, in alcuni momenti e sotto diversi profili, finiscano per sovrapporsi ed intersecarsi, nonostante la radicale diversità della loro natura, caratteri e funzioni.
A questo riguardo, per fare un esempio significativo e per riprendere la questione terminologica, basta riferirsi alla diversa specificità dell’ottica legale, che ha contenuto «prescrittivo», e di quella delle scienze empiriche naturali[28].
Quest’ultima, la cui considerazione è imprescindibile nella trattazione in oggetto, mira invece alla «conoscenza, descrizione e predizione» della realtà mediante la spiegazione dei fenomeni sulla base di rapporti esistenti in natura, ossia in forza delle relazioni causali tra eventi[29].
E tuttavia, cosa debba intendersi per «relazione causale» è questione tutt’altro che pacifica e l’adesione ad una qualunque delle relative posizioni filosofiche, o scientifiche che dir si voglia, comporta l’assunzione di differenti criteri di validità della scelta del metodo per la scoperta delle uniformità–regolarità causali e, quindi, per la conoscenza dei fatti[30].
Pare opportuno evidenziare solamente che tale questione, anche se per ovvie ragioni non può essere affrontata estensivamente in questo studio, influenza in modo radicale la prospettiva e l’analisi della materia dell’efficacia e della sicurezza dei medicinali.
Infatti, facendo seguito a quanto poc’anzi accennato, dalla affermazione positiva o negativa circa la sussistenza di un «rapporto causale tra eventi» deriva l’individuazione di elementi e partizioni diverse di realtà e, quindi, emergono diversi criteri valutativi, con differente riferibilità del dato normativo (come, ad esempio, la «qualità delle evidenze» nel contesto della valutazione «rischi-benefici» riferibile al farmaco) [31].
Ciò sembra significare, pertanto, che il parametro di validità dei metodi accertativi dei fatti[32], rinvenibili dalle informazioni di cui si può disporre, si struttura, anzitutto, in relazione allo scopo scientifico ed istituzionale che si persegue, il quale influenza necessariamente le metodiche implementate.
E lo scopo che persegue l’autorità amministrativa di «governance» dei prodotti farmaceutici nell’esercizio del potere di cui è investita è quello di garantire un elevato livello di tutela della salute nel perseguimento di una sempre maggiore integrazione e sviluppo del mercato unico[33].
Facendo seguito alle considerazioni poc’anzi sviluppate, inoltre, pare opportuno accennare al fatto che questo scopo primario dell’Amministrazione è differente da quello della singola impresa farmaceutica.
Essa, che è un operatore economico nel mercato dei beni finiti, è tendenzialmente orientata, in via istituzionale, alla massimizzazione dei profitti secondo le logiche del commercio ed è altresì portata fisiologicamente a qualificare gli eventuali effetti collaterali alla salute, non come mancato raggiungimento dello scopo primario, ma come costi, potenziali od effettivi, di produzione, ovvero esternalità sostenibili a seconda se le vengano effettivamente addebitate o meno.
Come si tenterà di evidenziare nel proseguo del presente lavoro, tali fatti possono incidere profondamente sulle diverse prospettive di analisi ed attitudini dei soggetti istituzionali e privati.
Dato tale elemento gnoseologico, pertanto, non sembra plausibile ritenere[34] che il legislatore o l’amministrazione possano delegare acriticamente ad altri soggetti la scelta del parametro conoscitivo-sperimentale «valido» per fornire, nel contesto dei singoli procedimenti autorizzativi e di controllo dei medicinali, la necessaria «good evidence»[35] della sicurezza e dell’efficacia del medicinale.
La questione in oggetto impone, piuttosto, e ciò anche in linea con la teoria soprammenzionata dello strategic approach, che i caratteri del metodo conoscitivo, relativi cioè sia alla logica che alla dimensione sperimentale, siano individuati amministrativamente, volta per volta, in conformità alle funzioni di governance cui è preposta l’Amministrazione.
Se tale prospettiva appare necessitata e coerente, in particolare, con le istanze politiche proprie dei sistemi nazionali, che peraltro sono assai sensibili alla dimensione del rapporto costo pubblico-efficacia dei prodotti medicinali, essa non esime l’interprete, e soprattutto le entità amministrative regolatrici che operano anche a livello sovranazionale, dal trattare la problematica della sua armonizzazione con le esigenze, sempre più pressanti, di uniformare maggiormente, appunto al livello del mercato globale, gli standard di approvazione e controllo dei prodotti farmaceutici[36].
A tale ordine di problematiche di health policy si aggiunge anche quella strutturale relativa alle due differenti ottiche giuridica e scientifico-sperimentale.
Esse, come accennato, tendono a funzioni diverse, ma nell’ambito in esame devono per forza coordinarsi reciprocamente.
Infatti, al momento attuale, la prima funge da parametro di legittimazione, controllo e garanzia della seconda, che ne consente la compiuta attuazione della funzione prescrittiva.
In altre parole, è la scienza, ossia la conoscenza della realtà fenomenica che si trae dall’applicazione dei metodi scientifici, che, con i suoi propri mezzi specifici e come strumento efficace, è in funzione dell’amministrazione per la realizzazione degli interessi di rilievo generale, e non viceversa[37].
Questa coordinazione forzata, come si accennava, è ostacolata anche dalla diversa natura delle due ottiche scientifico-sperimentale e giuridica; infatti, la prospettiva giuridico-amministrativa ha a cuore la sfera oggettiva del perseguimento dell’interesse pubblico con l’applicazione della norma. Essa si àncora necessariamente, nel suo dettato prescrittivo, alla dimensione logica astratta, ed in particolare al modello dell’inferenza deduttiva, che prescinde dalla dimensione temporale e che costituisce, quindi, un modello incompleto per la descrizione causale[38].
Il metodo scientifico d’indagine sperimentale e di controllo dell’efficacia e della sicurezza del medicinale, invece, costituisce uno strumento per la conoscenza della realtà fenomenica e, pertanto, rifugge da approssimazioni dogmatiche presupposte, per affinarsi nella contingenza e temporaneamente definirsi per conferma, con la corroborazione delle teorie, ovvero per esclusione, con il riscontro della falsificazione delle ipotesi[39].
Pretendere di risolvere queste problematiche con soluzioni aprioristiche esclusive e non compositive frustra lo scopo ultimo della norma giuridica[40] e svilisce all’insignificanza gli sforzi ed i risultati teorico-scientifici raggiunti.
Esse, piuttosto, necessitano di essere valorizzate negli specifici contesti procedimentali in cui se ne scorge la rilevanza nella continua tensione funzionale e conservativa dell’ordinamento nel suo intero, nell’affinamento delle metodologie, sia normative che scientifiche.
In questo studio si vuole allora rivolgere l’attenzione, anzitutto, alle caratteristiche della pertinente normativa europea per descriverne le utilità funzionali.
Tale fonte normativa, infatti, plasma la disciplina qui in considerazione, anche grazie all’intervento della giurisprudenza, verso una sempre maggiore integrazione dei sistemi giuridici nazionali degli stati membri in un sistema euro-unitario[41].
Com’è noto anche per altri settori la normativa sovranazionale si è informata alla logica neofunzionalista dello spill-over, che costituisce tutt’oggi, nonostante l’ambiguità istituzionale prodotta, il meccanismo standard del progressivo processo d’unificazione politica europea tramite l’integrazione progressiva dei mercati nel mercato unico[42] nel quale va senz’altro ricompreso anche quello farmaceutico.
A tale analisi normativa segue una ricostruzione del parametro logico che presiede la valutazione amministrativa[43] e il controllo giurisdizionale dei provvedimenti di autorizzazione all’immissione in commercio (AIC) dei prodotti farmaceutici per uso umano nel mercato europeo[44].
Successivamente, dopo aver tentato di considerare alcuni profili critici della logica delle operazioni di risk assessment, si vuole trattare dell’intensità del sindacato giurisdizionale sulle valutazioni presupposte alle determinazioni di AIC dei medicinali.
Come il controllo giudiziario, infatti, anche l’esercizio del potere di governance deve svilupparsi secondo un meccanismo simile a quello dell’inferenza deduttiva, ancorché condizionata (norma-potere/fatto-effetto), che tenda a garantire, al massimo grado possibile e, come si vedrà di seguito, non senza l’implementazione di giudizi di valore, la realizzazione oggettiva[45], cogente e non arbitraria della volontà normativa[46].
Tale profilo di analisi acquisisce notevole rilievo, in particolare nell’ipotesi in cui la valutazione del rischio oggetto di governance apra all’adozione di misure precauzionali, limitative dei traffici economici, le quali devono risultare di «stretta necessità logica» rispetto alle analisi istruttorie presupposte[47].
A questo proposito il presente studio mira alla selezione e alla valorizzazione di alcuni degli elementi compositivi della premessa maggiore dell’inferenza deduttiva.
2. Introduzione sistematico-normativa.
L’esame del controllo amministrativo integrato del commercio dei prodotti medicinali apre alla problematica della frammentarietà che caratterizza tutto il diritto amministrativo contemporaneo di matrice sovranazionale[48].
E’ noto, infatti, che il diritto amministrativo globale ed europeo si presenta come un diritto multilivello, distribuito sia in senso verticale che orizzontale[49]. Sviluppatosi secondo dinamiche assai diverse rispetto a quelle dei sistemi giuridici nazionali, esso mostra caratteri innovativi e, sotto certi punti di vista, critici[50].
In particolare la disciplina amministrativa di controllo sui farmaci presenta delle peculiarità non tradizionali nel superamento del carattere strettamente gerarchico delle fonti normative, proprio dei sistemi nazionali, e nell’affermazione di un modello ordinamentale decentrato di tipo eterarchico[51].
In tale ordinamento, gli operatori del sistema, anche non pubblici, istituzionalizzano i conflitti di governance nella convergenza del consenso tecnico-scientifico nell’attività di produzione e di attuazione del dato regolamentare[52].
In questo sistema giuridico decentralizzato dell’epoca postnazionale, le imprese farmaceutiche costituiscono dei veri e propri operatori politici[53] e ricoprono un ruolo chiave nella definizione dei parametri regolamentari e scientifici per il controllo dei medicinali.
Tali protagonisti non pubblici dell’ordine giuridico integrato, nello specifico, vengono coinvolti ed accettati nell’attività di governance proprio in virtù delle loro competenze conoscitive e tecniche esclusive[54], le quali forniscono apporti determinanti nella formulazione degli standards di settore, in via di incessante definizione[55].
Tale fenomeno è dovuto principalmente alla insufficienza del bagaglio conoscitivo nella disponibilità delle istituzioni pubbliche[56] e nel corrispondente sviluppo del sapere tecnico da parte delle c.d. comunità ed operatori epistemici[57], spesso ricompresi nell’ambito delle multinational corporations[58], unici enti in grado di raccogliere, finanziare ed organizzare efficacemente i mezzi necessari per la ricerca e lo sviluppo scientifico contemporaneo.
Nel network[59] disciplinare di istituzioni statali, sovranazionali, pubbliche e private che si è generato dalla coordinazione fluida delle dinamiche d’interesse del mercato globale odierno, i rapporti tra i protagonisti costituiscono forme peculiari di contrattazione sociale in stato di reciproca interdipendenza, ove le risorse primarie sono informazione ed innovazione[60].
In questo panorama, lo scopo politico, quello economico e quello tecnico-scientifico non sono soltanto collegati, come poteva già essere per il contesto nazionale, ma costituiscono fattori e momenti necessariamente interconnessi del processo di costruzione e di sviluppo del network di questa amministrazione di rischio, in constante ricombinamento reciproco[61].
Ciò si rivela in particolare nella formulazione delle disposizioni e delle valutazioni di ordine tecnico-scientifico che vengono ad assumere veri e propri connotati politici poiché concorrono, ad esempio, alla definizione del parametro per la rilevazione e la valutazione del livello di rischio accettabile per la società[62].
Tale stretta interconnessione funzionale tra politica, scienza ed economia è rinvenibile nello specifico anche e soprattutto nella governance europea del mercato dei prodotti farmaceutici.
Quest’ultimo infatti, nonostante presenti elementi di assoluta peculiarità e delicatezza, non costituisce una eccezione a queste dinamiche di integrazione politico-economica, perseguita gradualmente anche mediante il meccanismo dello spill-over per l’integrazione di differenti ambiti economici.
Tant’è, invero, che a fondamento della primissima direttiva n. 65/65/CEE sui prodotti farmaceutici è stato richiamato l’art. 100 dell’originario Trattato CEE del 1957, relativo alle direttive per il ravvicinamento delle disposizioni nazionali per l’instaurazione e rafforzamento del mercato comune[63].
Le ragioni specifiche di tale rilevante interesse dell’Unione europea all’integrazione commerciale anche nel settore del mercato dei medicinali sono state sottolineate dalla Commissione in una sua comunicazione del 1994[64].
Essa, dopo aver constatato lo scarso sviluppo del processo di integrazione nel settore del mercato dei farmaci, evidenziò che lo scopo del mercato unico dei prodotti medicinali non avrebbe semplicemente approntato un contesto migliore per lo sviluppo della ricerca e dell’innovazione, ma avrebbe beneficato altresì il pubblico dei consumatori che avrebbe potuto giovarsi di una più ampia scelta di prodotti terapeutici, rimanendone peraltro invariato lo standard di qualità, sicurezza ed efficacia.
Tanto premesso, ciò che viene allora ad acquisire interesse peculiare è il come la governance europea abbia realizzato e realizzi in concreto la propria opera creativa di instaurazione e sviluppo del mercato unico dei farmaci.
In questo senso un rilevantissimo contributo è dato dalla disciplina di armonizzazione approntata dalle direttive, dai regolamenti e dalle linee guida di settore. Soprattutto, per il momento attuale, dalle disposizioni delle linee guida europee e del modello CTD (Common Technical Document), in origine predisposti dall’ICH per il mercato europeo, statunitense e giapponese ed ora implementati direttamente dalle istituzioni di controllo.
Tali linee guida costituiscono un utilissimo standard di riferimento per le imprese che vogliano accedere al mercato unico farmaceutico[65]; in tal modo, infatti, questi operatori economici vengono chiamati ad adempiere agli oneri documentali secondo criteri comuni.
Questi ultimi, se da un lato sono funzionali a scongiurare valutazioni amministrative divergenti e a facilitare lo scambio di informazioni tra autorità regolatrici dei diversi mercati[66], dall’altro producono rilevantissimi effetti di semplificazione dei processi produttivi e degli oneri economici e burocratici cui sono tenute le ditte dei medicinali che vogliano operare nei diversi mercati occidentali e nipponico[67].
Concentrando l’attenzione, in particolare, sui caratteri specifici della normativa in esame sembra cogliersi come l’attività della governance europea dei medicinali possa realizzare il proprio scopo d’integrazione, in particolare, grazie al dato della genericità del tenore normativo.
Tale caratteristica genericità traspare, ad esempio, dal dettato del settimo considerando della Direttiva 2001/83/CE secondo il quale: “I concetti di nocività e di effetto terapeutico possono essere esaminati solo in relazione reciproca e hanno soltanto un significato relativo, da valutare in base al grado di sviluppo della scienza e tenendo conto della destinazione del medicinale; i documenti e le informazioni da presentare a corredo della domanda d’autorizzazione all’immissione in commercio devono dimostrare che il beneficio connesso all’efficacia del medicinale prevale sui rischi potenziali”.
Questa indeterminatezza si percepisce ancora, ad esempio, dal combinato disposto degli artt. 8, 19, 26[68] e dal Modulo 5 dell’Allegato I (CTD) alla Direttiva 2001/83/CE.
In particolare, il punto 5.2 del Modulo 5, relativo alle relazioni sugli studi clinici, dispone che: “Le informazioni cliniche da fornire ai sensi dell’articolo 8, paragrafo 3, lettera i), e dell’articolo 10, paragrafo 1, della presente direttiva devono consentire il formarsi di un parere sufficientemente fondato e scientificamente valido sulla rispondenza del medicinale ai criteri previsti per il rilascio dell’autorizzazione all’immissione in commercio.”
In tale disposto i criteri richiamati previsti per il rilascio dell’autorizzazione sono quelli del citato art. 26 della medesima Direttiva 2001/83/CE, il quale espressamente dispone, al comma 1, che: “L’autorizzazione all’immissione in commercio è rifiutata quando, previa verifica dei documenti e delle informazioni di cui all’articolo 8 e agli articoli 10, 10 bis, 10 ter e 10 quater, risulti una delle circostanze seguenti: a) il rapporto rischio/beneficio non è considerato favorevole; b) l’efficacia terapeutica del medicinale non è sufficientemente documentata dal richiedente..”[69].
In tutte queste ed altre analoghe disposizioni di settore il dato comune appare essere quello della indeterminatezza dell’effettiva portata significante dei vocaboli utilizzati (grado di sviluppo della scienza – dimostrare che il beneficio connesso all’efficacia del medicinale prevale sui rischi potenziali – parere sufficientemente fondato e scientificamente valido – rapporto rischio/beneficio non è considerato favorevole – valide dal punto di vista scientifico – metodi di controllo soddisfacenti – ecc…) che si traduce, in concreto, in una incertezza dei presupposti oggettivi fattuali da presupporre della decisione amministrativa[70].
Come traspare dalla precedente esposizione, infatti, nonostante la disciplina di controllo preventivo sui medicinali risulti estensivamente articolata, essa dispone comunque soltanto standards omologati per la produzione e rappresentazione delle evidenze di qualità, sicurezza ed efficacia del farmaco, i quali necessitano di essere specificati, caso per caso, nell’ambito delle attività tecnico-scientifiche degli organi consultivi.
Pare fondato affermare che tale stato di cose realizza diverse funzionalità sistematico-ordinamentali: anzitutto, secondo una prospettiva garantista, esso persegue lo scopo di consentire che ogni medicinale venga testato secondo modalità delineate volta per volta così da rilevare nel modo migliore, ad esempio, le specificità farmacocinetiche e farmacodinamiche dei singoli medicinali, ovvero gli eventuali effetti nocivi in rapporto allo specifico contesto di distribuzione (popolazione, territorio, ambiente, ecc.). D’altro canto, tale genericità assicura una più efficace implementazione del quadro normativo nel suo complesso, nella promozione del consenso scientifico tra i tecnici grazie al margine operativo ed interpretativo attribuitogli, con evidenti sinergie positive in termini di maggiori interconnessioni economiche ed istituzionali.
Tale margine operativo, peraltro, è richiesto dall’esigenza di permettere l’adattamento più opportuno ai costanti progressi della comunità scientifica che non possono essere previsti in sede normativa.
Ciononostante questa genericità terminologica, ancorché per certi aspetti necessitata, tende a risolversi nella proposizione di quesiti assoluti che vengono a costituire fonte di innumerevoli problematiche conoscitive ed implicano per la loro soluzione l’utilizzo di criteri convenzionali incidenti su dimensioni d’interesse generale quali, ad esempio, la prova di efficacia di un medicinale sperimentale[71].
Questo ordine di valutazioni, invero, non sembra venir sconfessato dal frequente richiamo normativo alle metodiche statistiche utilizzabili nelle sperimentazioni[72] e nemmeno dalla presenza di numerose ed articolate disposizioni relative ai requisiti formali della documentazione da produrre con l’istanza di autorizzazione.
Infatti, posto che ogni sperimentazione clinica viene progettata e valutata con modalità e criteri che devono variare in relazione alle caratteristiche oggettive proprie del singolo medicamento[73], i requisiti formali attinenti al tipo e alla forma della documentazione non forniscono affatto il criterio di discrimine specifico utilizzabile in ogni sperimentazione, ma soltanto un parametro di massima. E questo nonostante delineino i caratteri generali del materiale della valutazione da porre a fondamento della determinazione autorizzativa.
Invero, tali requisiti formali non incidono sulla determinazione della effettiva portata significante delle terminologie normative a presidio della qualità, sicurezza ed efficacia del farmaco poiché non individuano gli elementi fattuali oggettivi di discrimine. Nemmeno nel caso in cui vengano totalmente adempiuti, per sé, essi valgono a dimostrare l’idoneità concreta del singolo studio sperimentale, e delle relative evidenze ottenute, a comprovare la sussistenza di detti caratteri di qualità, sicurezza ed efficacia del medicinale testato[74].
Tant’è, infatti, che il protocollo dello studio sperimentale, ancorché regolarmente preapprovato dalla Commissione Etica e dalla competente Autorità di riferimento e perfettamente condotto in conformità agli standard di buona pratica sperimentale, può senz’altro subire modificazioni postume, anche radicali, per adattarsi alle evenienze, sia su iniziativa della Commissione etica ed Autorità competente che del promotore[75].
Ciò è evidentemente determinato dal quasi innumerevole quantitativo di variabili che possono entrare in gioco nel contesto dell’indagine scientifica, le quali pongono serie problematiche di controllo a garanzia della «migliore scientificità» dello studio[76].
Con riferimento al controllo giurisdizionale, in particolare, pongono notevoli problematiche per l’individuazione di un parametro logico razionale cui debba attenersi l’Amministrazione nella conduzione delle sue attività di indagine scientifica ai fini di governance.
Infatti, maggiore è l’approfondimento e l’innovazione della ricerca, maggiori e più sottili si rinvengono le problematiche metodologico-conoscitive[77].
L’indeterminatezza del significato della terminologia normativa di riferimento, quindi, ha evidenziato in passato ed evidenzia tutt’ora diversi e gravi profili di criticità per quanto attiene la necessità di certezza del diritto; ciò sia nell’interesse individuale dei soggetti direttamente coinvolti nelle procedure autorizzative che di quelli generali a tutela della salute pubblica ed individuale, nonché dell’effettivo avanzamento della conoscenza umana.
La genericità terminologica in esame solleva perplessità per ciò che non statuisce e, soprattutto, per il notevole contributo conoscitivo di cui necessita per essere definita in termini sattisfattivi ad opera della comunità scientifica la quale, in definitiva, è divenuta guida e protagonista della governance di settore[78].
Sulla legittimità del contenuto politico implicito nella norma tecnica.
Come si accennava poc’anzi, l’attività di armonizzazione della ICH viene perseguita principalmente con la predisposizione di linee guida funzionali a costituire uno standard di riferimento unico per i mercati dei tre diversi contesti statunitense, europeo e nipponico[79].
Questa attività di armonizzazione avviene, in particolare, secondo quattro differenti tipi di procedimenti[80] a seconda delle diverse funzioni cui tendono: i) la procedura formale relativa a nuove tematiche di armonizzazione; ii) quella di chiarificazione su linee guida esistenti (Q&A Procedure); iii) la procedura di revisione attinente all’aggiornamento di linee guida sulla base di scoperte o innovazioni scientifiche; ed infine iv) la c.d. Maintenance Procedure relativa alle Q3C Guideline o M2 Recommendations.
Una delle principali caratteristiche dei procedimenti di adozione delle linee guida da parte della ICH, a differenza di altre istituzioni globali a connotazione scientifica, consiste nella esiguità del numero degli interlocutori coinvolti nella loro predisposizione e stesura[81], fondamentalmente individuabili in rappresentanze dell’industria farmaceutica e delle istituzioni regolatrici[82].
Tali circostanze evidenziano, allora, la necessità di svolgere, seppur in modo minimale, alcune considerazioni in ordine alla legittimazione del contenuto politico delle norme tecniche implementate dalle istituzioni, pubbliche e non, direttamente od indirettamente coinvolte nell’amministrazione dei farmaci del network europeo.
Ciò, a maggior ragione ove si ponga mente al fatto che gran parte delle discipline implementate dalle istituzioni decentrate di governance dei farmaci vengono predisposte, in una sorta di «complementarità funzionale»[83], proprio sulla base delle linee guida sviluppate dalla ICH[84].
Occorre anzitutto evidenziare come la questione sia stata affrontata in dottrina rilevando un fattore di legittimazione degli enti e della stessa normativa secondaria[85] sovranazionale di settore nella logica intrinseca, e per certi aspetti autoreferente[86], della ‘output legitimacy’ dell’efficienza e dell’esperienza che connota tale attività amministrativa[87].
In altre parole, secondo questa posizione, la legittimazione delle istituzioni e delle norme da esse formulate ed implementate si ricaverebbe dalla effettività e sofisticatezza della governance che se ne ricava, in adesione ai criteri della c.d. «better regulation»[88].
Questa prospettiva, per verità, valorizza da un lato il risultato della governance ma anche la dimensione procedimentale (input legitimacy) per la definizione generale delle policies[89] e della loro implementazione, caratterizzata dalla consultazione delle parti interessate (stakeholders) dalla sua attuazione nelle fasi rilevanti[90].
Tale posizione recupera così un tipo di legittimazione del dato legale che prescinda dalle strutturazioni dogmatiche storiche proprie delle teoriche dei sistemi nazionali[91], in particolare nel coinvolgimento della comunità scientifica[92].
La problematica della legittimità, ossia della giustificazione della disposizione normativa vigente, è strettamente correlata ed anzi, per ampi ambiti, coincide con la questione della giustificazione del potere che, assieme alle altre problematiche del suo controllo e garanzia, trova le proprie origini già nelle primissime strutturazioni istituzionali della società storica[93].
Tale questione, che qui per ovvie ragioni non può essere trattata, evidenzia tuttavia che il moto per il quale si sono definitivamente abbandonati i tentativi di giustificazione sostanziale del potere, per sostituirli con criteri di legittimazione di tipo formale[94], ha portato il sistema di governance globale dell’epoca odierna sempre più ad autolegittimare[95] l’ordine normativo da esso creato, in particolare tramite le sopra menzionate dinamiche e momenti ricombinatori dei fattori politici, tecnico-scientifici ed economici, di creazione e sviluppo del network di governo.
In tale rete ordinamentale, infatti, i concetti di «causa» ed «effetto» si differenziano esclusivamente sotto il profilo della «successione cronologica» e non per il loro significato qualificante[96]. In questo contesto sistematico, allora, l’azione di governance è legittima perché è razionalmente «coerente»[97] e consentita in quanto non in contraddizione con l’ordine normativo che essa è diretta a preservare e promuovere[98].
Tale impostazione non riveste certo poco rilievo poiché impregna di sé gran parte della teorica giuridica dell’epoca presente[99]. Tant’è che nell’odierno momento postnazionale questa impostazione ha comportato una progressiva e dirompente riaffermazione di quella teorica, riconducibile per certi aspetti già alla speculazione giuridica medioevale[100] della lex super regem, che attribuisce pregnanza legittimante, non a fattori esterni, ma proprio alla ragione impersonale della legge[101].
In particolare, la «ragione» della norma di questo settore è quella individuabile grazie ai criteri forniti dalla «conoscenza» sviluppata dalla comunità scientifica[102] che viene a definire, pertanto, la ratio della norma e della governance in quest’ambito di amministrazione. La scienza non è qui solo strumento dell’amministrare, ma concorre direttamente a delineare gli «scopi» normativi e a definire la consistenza degli obbiettivi delle «funzioni amministrative»[103] di settore sulla base delle categorie e dei criteri definiti dalla conoscenza presupposta.
Conoscenza e potere in questo network di governance non sono, allora, soltanto strettamente interconnessi; essi fungono da strumenti di reciproca legittimazione[104], in particolare, con la definizione dei criteri «tecnico–scientifici» che traducono i «giudizi di valore» prescelti con le categorie definite e selezionate dalla comunità scientifica[105] nella propria opera di accrescimento della «conoscenza», secondo la concezione che attualmente essa ne ha[106].
Nella marcata logica efficientista[107] del sistema attuale, pertanto, la portata «politica» della norma tecnica è «legittimata» dalla «coerenza» della disposizione con le «categorie conoscitive presupposte» delineate dalla comunità scientifica del network di governance[108].
Due diverse prospettive. Aspetti problematici.
La tesi su cui si argomenta nel presente studio è quella indicata in premessa secondo la quale, nell’attività di controllo autorizzativo dei farmaci, l’Amministrazione è investita della possibilità di compiere la scelta in ordine ai criteri conoscitivo-sperimentali validi[109] per l’effettuazione dei controlli circa la qualità, la sicurezza e l’efficacia dei medicinali[110].
Inoltre, si sostiene che questa scelta costituisce un’operazione creativa di vera e propria implementazione «politica», che traduce giudizi di valore[111].
Per quanto esposto sopra, inoltre, sembra potersi ritenere che tale attività di governance sia permessa, anzitutto, dal carattere indeterminato delle disposizioni normative primarie che, pertanto, necessitano di un completamento.
Esso viene fornito in pratica, da un lato, dalle disposizioni di massima recate dalle linee guida e, dall’altro, dall’opera teorica e pratica specifica, in costante aggiornamento, elaborata dalla comunità scientifica.
Quest’ultima, infatti, concorre incessantemente, ed in modo determinante, a delineare i criteri scientifici per la registrazione e la valutazione della qualità, della sicurezza e della efficacia del medicinale[112].
Si è sostenuto, tuttavia, che la scelta dell’Amministrazione circa la questione gnoseologica deve essere suscettibile di controllo giurisdizionale[113]. Tale revisione giudiziale, tuttavia, proprio perché attiene anche, e soprattutto, alla dimensione della razionalità del provvedimento, non può risolversi soltanto nel controllo dell’iter logico di tipo formale o di mera coerenza intrinseca della determinazione, ma deve evidentemente estendersi direttamente anche alle operazioni tecnico-scientifiche ad essa sottese che ne costituiscono la ratio fondante.
Secondo tale prospettiva, in definitiva, sono i medesimi criteri tecnico-scientifici prescelti che vengono a costituire una specificazione di quello di logicità-ragionevolezza dell’esercizio del potere[114] il quale deve essere non arbitrario e funzionalizzato al perseguimento dell’interesse pubblico di garantire un elevato livello di tutela della salute nel singolo procedimento concreto, nel perseguimento di una sempre maggiore integrazione e sviluppo del mercato unico [115].
Questi argomenti sono stati sviluppati richiamando a proposito la normativa di settore e la disciplina delle dinamiche procedimentali che comprende, sul punto, anche la formazione del consenso degli organi tecnici-consultivi collegiali. In particolare, si è visto come la documentazione da allegare all’istanza di AIC deve essere tale da consentire la formazione di un parere scientificamente valido sulla rispondenza del medicinale ai criteri previsti per il rilascio dell’autorizzazione.
Tale documentazione è sostanzialmente funzionale a fornire la dimostrazione sufficiente in ordine alla qualità, alla sicurezza ed efficacia del medicinale che costituisce la condizione e la giustificazione dell’AIC.
Tuttavia, dalle fonti normative non sembra possibile sapere in forza di quali criteri di discrimine teorico-fattuale l’Amministrazione possa affermare e scegliere, legittimamente, in ordine alla sufficienza ed idoneità dei mezzi logico-metodologici alla dimostrazione che il richiedente deve fornire. Tanto più se si pone mente al fatto che l’Amministrazione, per poter formare legittimamente la propria determinazione su questioni relative all’amministrazione di rischio, deve avere contezza esaustiva dei termini della questione scientifica sottopostale[116].
La problematica in esame viene ad acquisire allora particolare rilievo critico posto che, nei procedimenti di autorizzazione al commercio di prodotti farmaceutici, la parte privata e l’Amministrazione, istituzionalmente, tendono al perseguimento di funzioni differenti, che possono anche comportare una coincidenza soltanto parziale degli interessi in gioco.
Questa circostanza è stata descritta in quella letteratura in cui si è sottolineato come l’industria farmaceutica, essendo un operatore economico nel mercato dei beni finiti, sia responsabile, in primo luogo, nei confronti dei propri azionisti e, soltanto in un secondo momento, nei confronti della comunità[117].
Nonostante tali obblighi siano in linea di massima compatibili, l’industria farmaceutica, che nel ventesimo secolo è divenuta la prima fonte di informazione sui medicinali per il pubblico[118], ha dato esempio di come ciò possa anche essere impedito dalla preminenza dell’interesse alla massimizzazione dei profitti.
La progressiva e generalizzata tendenza alla medicalizzazione della vita quotidiana negli ultimi quarant’anni ha evidenziato, ad esempio, come per poter realizzare efficacemente gli obiettivi di un dato mercato farmaceutico sia fondamentale, anzitutto, ‘vendere’ la malattia che questi avrebbero lo scopo di curare[119].
Sviluppare un certo prodotto medicinale comporta, invero, ingenti investimenti ed un notevole lasso di tempo che di media si aggira attorno ai 10-12 anni.
Per ogni diecimila composti sintetizzati, testati e sviluppati solamente uno o due possono conclusivamente raggiungere il mercato[120] e agli oneri per la produzione devono aggiungersi quelli di promozione commerciale del farmaco una volta autorizzato.
Queste ed altre considerazioni sono utili ad illustrare in parte la prospettiva dell’impresa farmaceutica la quale vive fisiologicamente la continua tensione operativa tra lo sviluppo di nuove forme medicinali realmente innovative, ma implicanti anche maggiori rischi di insuccesso sperimentale ed economico, e la rimodulazione dell’offerta farmaceutica esistente, di sicurezza ed efficacia ‘assodata’, per acquisire o consolidare specifici ambiti di mercato[121].
Un esempio normativo dal quale traspare tale diversità di prospettive e tendenze è senz’altro quello dell’obbligo, «sanzionato», di comunicare all’Autorità tutte le sospette reazioni avverse gravi e inattese riscontrate durante o dopo la sperimentazione clinica[122].
La diversità di prospettiva è evidenziata, peraltro, anche dalla stessa normativa sui procedimenti autorizzativi che onerano l’applicante di fornire, appunto, la «dimostrazione» della sicurezza ed efficacia del medicinale attraverso lo strumento complesso fornito dalle prove cliniche sperimentali.
Un tentativo analitico di formalizzare tale descritta diversità di ottiche istituzionali dell’Amministrazione e dell’applicante potrebbe utilmente riuscire riferendosi al concetto dei c.d. Levels of Abstraction (LoAs)[123].
Rinviando per un approfondimento specifico alla letteratura richiamata in nota, preme qui rilevare sinteticamente che, secondo tale concezione, gli operatori epistemici che utilizzano diversi LoAs, come il richiedente e l’Amministrazione, concentrano “la propria attenzione su diverse caratteristiche del «sistema considerato» e su diversi profili «osservabili», scegliendo differenti «variabili» per misurare queste «osservabili» e, quindi, si risolvono nella rappresentazione di «modelli» alternativi di descrizione del sistema naturale”[124].
Gli standards comuni, ricavabili dalle linee guida e dal modello omologato di CTD descritti, sono stati stilati precipuamente in ragione di tale circostanza, allo scopo di facilitare la cooperazione nella condivisione degli approcci di analisi tra enti di controllo ed imprese private[125] ed, altresì, per scongiurare gli effetti più gravi di questa diversità di prospettive[126].
Se tale omologazione di strumenti e criteri promuove la condivisione delle ottiche istituzionali dell’industria e dell’amministrazione, rispettivamente nella produzione delle informazioni rilevanti e nel loro controllo autorizzativo, dall’altro lato non rende del tutto ingiustificato il dubbio[127] in ordine al grado di validità effettiva di tali standards a garantire, nella definizione ed attuazione delle politiche ed attività dell’Unione[128] nel settore farmaceutico, «l’elevato livello di protezione per la salute umana» richiesto dall’art. 168 del Trattato FUE[129].
Le due dimensioni della salute umana e dell’interesse del mercato vengono, quindi, a limitarsi in modo reciproco in ragione delle variabili interpretative e tecnico-scientifiche senza che ciò possa mai legittimare, tuttavia, il sacrificio istituzionale consapevole[130] della prima.
Infatti, l’azione dell’Unione, che in questo settore completa le politiche nazionali a tutela e promozione della salute, deve essere «indirizzata al miglioramento della sanità pubblica, alla prevenzione delle malattie e delle affezioni e alle eliminazione delle fonti di pericolo per la salute fisica e mentale»[131].
Le premesse svolte e l’esigenza di controllo giurisdizionale effettivo dell’esercizio del potere di governance sui prodotti farmaceutici dirigono, allora, l’attenzione dell’interprete verso la dimensione della funzione[132] dell’azione di controllo.
In particolare, esse spingono l’attenzione verso il «rilievo olistico» all’attività amministrativa funzionale anche nel caso in cui detto potere di governance si esprima con forme procedimentali svolte in momenti puramente psicologici dell’agente e come tali non rilevabili all’esterno [133].
Rilievo globale in particolare sotto il profilo dell’attitudine dei mezzi d’indagine scientifica alla promozione del mercato unico farmaceutico con garanzia dell’elevato livello di protezione per la salute umana, ancorché assicurata con la cooperazione procedimentale di organi amministrativi diversi[134].
Appare fondato credere, pertanto, che tale prospettiva funzionale costituisca uno dei principali criteri generali per la scansione giurisdizionale del provvedimento di AIC e segnatamente della sua dimensione motivazionale-esplicativa.
E ciò nello specifico sotto il profilo della ragionevolezza[135], proporzionalità e precauzione[136], rispetto allo scopo di garanzia a tutela della salute, pubblica ed individuale, prefissato dalle disposizioni dei Trattati e degli ordinamenti nazionali.
Questo tipo di analisi e revisione giurisdizionale, per non risolversi in asserzioni generiche ed entrare, invece, nella «razionalità» della determinazione, necessita dell’indagine in ordine ad alcuni criteri della scelta delle metodiche scientifiche applicabili, sia per dimostrare la rispondenza dei medicinali ai requisiti di qualità, sicurezza, ed efficacia, che per identificare il rischio nel momento parallelo di risk assessment.
Si intende svolgere quest’indagine, non certo per trattare tale tematica esaustivamente quanto, piuttosto, sia per evidenziare la pluralità delle posizioni teoriche in questo settore che per tentare un approccio alla ratio fondante del provvedimento di AIC e, con ciò, suggerire un più penetrante scrutinio giurisdizionale della scelta amministrativa circa i caratteri dei metodi scientifici utilizzati nell’istruttoria.
Questo per sondare che le metodologie prescelte siano utili strumenti per la protezione e promozione efficace dei beni da tutelarsi con l’esercizio del potere di governance.
Sembra giustificato ritenere, infatti, che l’analisi in oggetto rivesta primario rilievo nella trattazione perché le metodiche implementate, così come la conoscenza che se ne ricava, finiscono per costituire la giustificazione logico-fattuale e, quindi, giuridica della singola determinazione autorizzativa, così come del suo regime condizionale[137].
Ad ogni modo, tali argomenti non possono essere sviluppati senza prima prendere le mosse da alcuni succinti cenni sul primo tra principi dell’azione amministrativa europea applicabili alla governance dei medicinali: quello di precauzione. Infatti, anche in quest’ambito dell’amministrazione di rischio, esso diviene canone guida della decisione discrezionale di risk management[138].5. Circa il principio di precauzione nella governance dei medicinali.
Nonostante il successo dei meccanismi di integrazione istituzionale tra i diversi Stati membri della Comunità, agli inizi del 2000 l’Amministrazione della cosa pubblica comunitaria ha dovuto riscontrare una scarsa fiducia della cittadinanza nelle istituzioni dell’Europa unita, ed in particolare nella effettività della loro attività amministrativa[139].
Per invertire tale tendenza è stata evidenziata la necessità di una nuova governance[140] nonché di ampliare i meccanismi di formazione e definizione delle politiche amministrative, in modo da renderle maggiormente inclusive e controllabili, per realizzare così una più stretta connessione dell’Unione europea con i propri cittadini[141].
In quest’ottica rinnovata di good governance, in applicazione dei criteri di «proporzionalità e sussidiarietà», la Commissione ha ritenuto inoltre opportuno specificare i criteri guida della propria amministrazione, così da renderla maggiormente efficace ed assicurare l’effettiva implementazione delle disposizioni europee a tutti i livelli di amministrazione, tanto locali e regionali, quanto sovranazionali.
La Commissione ha individuato a questo scopo «i principi di apertura, di partecipazione, di controllo, d’effettività e di coerenza»[142].
Essi trovano un loro collegamento diretto con quelli, specificamente individuati a tutela della salute, di «certificazione/asseverazione, di trasparenza, di indipendenza e di precauzione»[143].
Quest’ultimo, in particolare nell’azione e nelle valutazioni di governance del rischio, ricopre un ruolo guida essenziale[144] grazie alla sua utilità ad affrontare «il dilemma di equilibrare la libertà e i diritti degli individui, delle industrie e delle organizzazioni con l’esigenza di ridurre i rischi di effetti negativi per l’ambiente e per la salute degli esseri umani…»[145].
Il principio di precauzione, le cui prime elaborazioni teoriche devono ricondursi all’esperienza giuridica tedesca[146], è stato progressivamente riconosciuto nel contesto comunitario come un principio dell’azione amministrativa europea autonomo e generale di primo rilievo[147], in particolare per l’adozione delle decisioni di gestione del rischio (c.d. di risk management)[148], grazie, soprattutto, all’opera interpretativa della giurisprudenza del Tribunale europeo di prima istanza[149].
Sulla scorta di alcune disposizioni dei Trattati in materia ambientale[150], infatti, il Giudice di primo grado ha potuto argomentarne, anzitutto, l’applicabilità esplicita anche ad altri settori amministrativi[151].
Conseguentemente, in considerazione del fatto che l’obbiettivo della tutela ambientale è quello della protezione della salute umana[152], il Tribunale ha potuto promuoverne l’applicazione, anche allo scopo di assicurare l’elevato livello di tutela prescritto dall’articolo 168 del TFUE da parte delle Amministrazioni europee nell’esercizio delle proprie competenze[153].
Secondo la lettura datane dal Giudice di primo grado nella successiva giurisprudenza, anzi, tale principio generale «impone» alle autorità competenti di adottare misure appropriate per prevenire specifici rischi potenziali alla salute, alla sicurezza ed all’ambiente[154].
Pur riconoscendo alle Amministrazioni interessate un certo margine di discrezionalità nell’applicazione del principio in esame[155], senza legittimarne, tuttavia, una applicazione disfunzionale rispetto allo scopo di tutela cui è preposto[156], la Corte di Giustizia UE ha avuto modo di specificare che una sua corretta applicazione presuppone necessariamente l’individuazione degli effetti potenziali negativi, dell’intervento o del mancato intervento amministrativo, fondata sui dati scientifici più affidabili e sui i più recenti risultati della ricerca internazionale[157].
Occorre a questo proposito, allora, evidenziare la diversità dei connotati che assume il principio di precauzione nei diversi contesti, istruttori-scientifici e decisionali, in cui viene a trovare applicazione.
Come illustra la stessa Commissione europea, mentre a) il principio di precauzione costituisce un canone per le decisioni circa la gestione del rischio, applicabile, quindi, allorché sussistano ragionevoli motivi di temere effetti nocivi per la salute degli esseri umani, b) l’approccio prudenziale appartiene, invece, all’ambito epistemologico dell’indagine scientifica sul rischio, ossia all’ambito istruttorio attinente la formulazione delle congetture circa la sussistenza dei ragionevoli motivi di temere effetti nocivi[158].
Pertanto, il presupposto indefettibile per l’applicazione del principio di precauzione, (quindi della possibilità di adottare le misure di tutela conseguenti) è quello dell’identificazione scientifica degli effetti negativi potenziali sui beni protetti[159].
Infatti, si è giustificati a parlare di «rischio» in quanto sussista «non–conoscenza» (c.d. incertitude)[160] sui diversi profili del rischio relativi agli «agenti» (le sostanze che possono avere effetti negativi), alle «cause» (il nesso causale tra effetti nocivi e agenti), alla consistenza del «pericolo di effetti nocivi» (qualità – quantità – natura – tipo), alla valutazione della «probabilità» dell’esposizione all’agente dei beni protetti[161].
Tale riscontro, tuttavia, deve essere ricavato da una «valutazione scientifica del rischio»[162], effettuata secondo il menzionato approccio prudenziale – e quindi con una valutazione scientifica quanto più completa possibile –, in forza della quale le misure protettive appaiano necessarie sulla base di un ragionamento rigorosamente logico[163].
Le misure di gestione del rischio fondate sul principio di precauzione, oltre ad essere necessitate, razionali e non arbitrarie, in quanto fondate sulla valutazione scientifica presupposta, devono rispettare «i principi generali di proporzionalità,
non discriminazione, coerenza, esame dei vantaggi e degli oneri derivanti dall’azione o dalla mancanza di azione, esame dell’evoluzione scientifica»[164].
Pare fondato affermare che, in forza del rapporto di «necessità e proporzionalità» tra rischio e misure di gestione, maggiore è l’ambito di «non-conoscenza» in ordine ai profili di rischio indicati, maggiore risulta il margine operativo legittimo per l’adozione dei provvedimenti necessari che assicurino il livello di tutela richiesto dal Trattato.
Per quanto attiene lo specifico ambito di controllo autorizzativo sui medicinali, sono stati individuati almeno tre tipologie di rischi in relazione al tipo e all’estensione di «non-conoscenza» presupposta: il rischio evitabile, quello residuale e quello di sviluppo[165].
La prima tipologia (controindicazioni) implica un grado di «non-conoscenza» minima ed attiene la probabilità di effetti nocivi eliminabile con la predisposizione di specifiche contromisure (ad esempio tramite avvertenze ai consumatori).
La seconda (effetti collaterali), invece, riguarda la probabilità di effetti nocivi per la salute umana che non può essere eliminata totalmente, nemmeno con la predisposizione di contromisure, e che, tuttavia, può considerarsi accettabile se paragonata ai benefici associabili all’intervento farmaceutico.
L’accettabilità di questo rischio dipende anche dal fatto che non esistano alternative terapeutiche di efficacia equivalente e meno rischiose; in quest’ipotesi, in particolare, il rischio scaturisce dall’incertezza nel bilanciare la potenzialità di effetti nocivi con la potenzialità di effetti terapeutici positivi.
A questo proposito è fondamentale richiamare il dettato dell’art. 1, n. 28 e 28 bis della Direttiva 2001/83/CE secondo i quali la valutazione rischi/benefici riconducibili al medicinale consiste in «una valutazione degli effetti terapeutici positivi del medicinale rispetto ad ogni rischio connesso alla qualità, alla sicurezza o all’efficacia del medicinale per la salute del paziente o la salute pubblica»[166].
Tale valutazione, quindi, presuppone, anzitutto, la determinazione documentata dell’efficacia riferibile al medicinale, che viene generalmente espressa in termini di probabilità, e ne comporta il conseguente confronto con la probabilità di effetti dannosi per la salute riconducibili a tutti e tre i profili dell’analisi autorizzativa della qualità, della sicurezza e dell’efficacia del farmaco.
Sia nella prima che nella seconda tipologia di rischio, la probabilità di effetti dannosi per la salute viene ricavata dalla elaborazione dei dati statistici sperimentali, per cui è possibile sia correlare gli effetti nocivi rilevati al farmaco testato, che individuare i tratti caratteristici del rischio così identificato.
Tali operazioni conoscitive, invece, non possono essere effettuate per la terza tipologia di rischio, di c.d. «sviluppo», la quale attiene invece la probabilità di effetti nocivi, appunto, sconosciuta al momento dell’emissione di AIC, perché non rilevata nelle prove sperimentali, ma che viene registrata dopo l’immissione in commercio del medicinale.
Di tale tipo di rischio si ignora, in particolare, sia il nesso di causalità con il medicinale approvato, sia la consistenza del pericolo degli effetti nocivi[167].
Sul rischio collegato ai prodotti medicinali.
Da quanto esposto appare chiaro che, anche in quest’ambito disciplinare, l’elemento comune a tutte le tipologie di rischio indicate è dato dalla «non-conoscenza» relativa alla valutazione presupposta, ancorché di maggiore o minore intensità.
Sembra più corretto affermare, anzi, che l’estensione della «non-conoscenza» di cui consiste il rischio sia dipendente anche, e per quanto qui d’interesse, soprattutto, dalle specifiche caratteristiche del metodo conoscitivo prescelto per la rilevazione, l’elaborazione, la presentazione e l’interpretazione dei dati circa la qualità, la sicurezza e l’efficacia del medicinale da autorizzare[168].
In altre parole, la «non-conoscenza» relativa ai profili della qualità, della sicurezza e dell’efficacia del farmaco traduce potenziali effetti nocivi per la salute umana[169].
Più in particolare, ad esempio, è stato evidenziato che l’accertamento del nesso causale[170] tra il medicinale e gli effetti patologici che esso produce può essere viziato da svariati fattori metodologici[171].
Tra questi, il fatto che le sperimentazioni cliniche, in genere, vengano effettuate coinvolgendo soltanto gruppi ridotti di persone il che, oltre a non tenere in considerazione altre tipologie di pazienti possibili, consente di rilevare solamente le controindicazioni più comuni[172].
Altri profili di criticità, invece, sono stati ricollegati allo stesso modello ipotetico-deduttivo delle indagini cliniche, ove il dato statistico viene rilevato ed interpretato per il controllo, di corroborazione e falsificazione, delle ipotesi sperimentali[173].
Secondo tale meccanismo, attuato tradizionalmente in conformità ad un approccio statistico frequentista promosso dal movimento dell’EBM (Evidence based medicine)[174], l’ipotesi di efficacia del medicinale sperimentale, in confronto con il farmaco alternativo od il placebo, deve «corroborarsi o falsificarsi» con il completamento del test, il quale è strutturato in modo rigoroso esclusivamente per reperire i dati statistici pertinenti, a supporto o a confutazione dell’ipotesi sperimentale e secondo criteri rigidamente predeterminati (ad esempio tramite il controllo e le pratiche di randomizzazione), con la possibilità di ignorare informazioni rilevanti che non rientrino nel paradigma sperimentale[175].
Sotto un altro profilo, inoltre, il metodo ipotetico-deduttivo delle sperimentazioni cliniche si presta ad un intervento selettivo, in particolare, della dimensione, della latitudine e della consistenza dei fenomeni che, pur essendo rilevabili con la sperimentazione, vengono di fatto esclusi dall’ambito d’investigazione (c.d. scelta del dominio di fenomeni da considerare).
Tale opera di selezione, in particolare, si compie con la precisazione delle condizioni delle ipotesi di studio che, di conseguenza, informano il protocollo sperimentale e delimitano l’ambito di indagine empirica.
Il tipo e genere di dati che è ragionevole ricercare con la sperimentazione, infatti, non è determinato dall’evento che si vuole spiegare, quanto piuttosto dalle ipotesi e congetture con le quali lo scienziato tenta di esplicarlo[176].
I dati ricavabili dalla sperimentazione, allora, possono essere qualificati come rilevanti solo in relazione alle ipotesi che si sono formulate per spiegare il fenomeno selezionato del protocollo sperimentale, secondo i criteri predeterminati per la loro interpretazione[177].
Similmente, infatti, anche la raccolta, l’analisi, la classificazione e l’elaborazione dei dati empirici sono anch’esse operazioni strettamente correlate alle precipue finalità d’indagine[178].
Precisamente a questo proposito, è stata evidenziata in letteratura[179] la necessità di implementare metodologie diverse per l’individuazione dei nessi causali relativi ai benefici e agli effetti nocivi del medicinale sperimentale, che considerino anche altre evidenze rispetto a quelle rilevabili con i RCT (randomized controlled trials)[180].
In particolare, lo studio dei due profili in considerazione dovrebbe tenere in debito conto la diversità degli scopi scientifici dell’indagine.
Infatti, mentre l’accertamento dell’efficacia terapeutica del medicinale necessita di una epistemologia forte, come quella approntata dal modello ipotetico-deduttivo, che tenda ad assicurare, quindi, la maggiore corroborazione possibile alle ipotesi scientifiche che riguardano tale aspetto, altrettanto non pare potersi sostenere per l’indagine pertinente le dimensioni del rischio riconducibili al medicinale sperimentale.
Quest’ultima investigazione, che è finalizzata ad appurare la necessità delle misure precauzionali, giustificate anche soltanto dalla mera probabilità della sussistenza di effetti nocivi potenziali (rischi), ben può avvalersi, infatti, di metodologie che offrano argomenti non cogenti (secondo inferenze non deduttive c.d. ampliative) ma che, tuttavia, le consentano d’avere un più ampio panorama della questione scientifica da amministrare[181].
Tra queste, le metodologie conformi al modello induttivo bayesiano[182], in particolare, sostanziano positivamente la probabilità (grado di credenza razionale) delle ipotesi circa la sussistenza di profili di rischio e, così facendo, rispondono con maggiore incisività all’esigenza della loro scoperta e al contenimento dei potenziali effetti negativi conseguenti[183].
La «non-conoscenza», peraltro, può essere conseguente anche dallo stesso meccanismo di conferma induttiva relativizzata per calcolare il grado di conferma o refutazione di una ipotesi sperimentale[184].
Anche tale metodo può confermare soltanto limitatamente le ipotesi scientifiche, implicando per necessità un certo grado di «non-conoscenza».
Tutti i modelli statistici, siano essi classici-frequentisti o bayesiani, si risolvono essenzialmente «nella statuizione circa la pluralità delle possibili evenienze e nella specificazione del meccanismo probabilistico che governa il paradigma delle evenienze che potrebbero sorgere»[185].
Essi rappresentano, invero, una riduzione ideale della situazione concreta reale, la cui attendibilità a rappresentarla è, quindi, strettamente correlata alla validità, alla ricchezza ed alla appropriatezza degli assunti su cui si fonda[186].
Inoltre, la stessa attendibilità dei meccanismi probabilistici è sempre correlata, anche ad opera delle stesse linee guida di settore[187], a criteri determinanti come, ad esempio, quelli veicolati con il concetto di «significatività statistica – p-value»[188], o con le pratiche di controllo e randomizzazione, tutt’altro che pacifici[189].
L’incertezza sistematica di cui si tratta, a ben vedere, è radicata in tutti i diversi modelli statistici poiché essi consistono, sostanzialmente, in tentativi di giustificazione del ragionamento induttivo[190].
In ogni caso, i diversi approcci statistici non appaiono presentare aspetti puramente logici che possano disgiungersi dagli assunti decisionali presupposti[191].
A prescindere da tali rilevantissimi profili critici delle diverse metodologie considerate, qui solo minimamente accennati, le operazioni di risk assessment e di risk management sono ostacolate da un fattore ineliminabile, che infirma alla radice l’attendibilità conclusiva di qualunque indagine scientifica: il carattere multidimensionale del rischio[192].
La soluzione generalmente adottata, per forza di cose, si risolve in un approccio più o meno riduzionistico del dominio d’indagine, con il risultato di escludere svariate classi di effetti[193].
Tuttavia, a prescindere dal numero, dalle dimensioni e dal tipo di classi di effetti che si vuole prendere in considerazione nell’indagine scientifica attorno al rischio, la valutazione di tali effetti è comunque di natura irriducibilmente qualitativa, e ciò rende i dati ottenibili non misurabili scientificamente in termini necessitati e conclusivi[194].
Più precisamente, e riprendendo l’argomento già considerato riferendosi alle posizioni espresse da Weber[195], tali valutazioni scientifiche veicolano giudizi soggettivi di valore poiché implicano, necessariamente, scelte di priorità relativa assegnata alle diverse dimensioni e profili del rischio oggetto d’indagine[196].
Peraltro, che si tratti proprio di una determinazione politica di priorità, e non dell’applicazione meccanica del criterio migliore[197], appare confermato ulteriormente dal fatto che è impossibile comporre contestualmente tutte le utilità, individuali o di gruppi d’interesse, di una società pluralista[198]; questo, peraltro, a prescindere dalla scelta della metodologia scientifica tra quelle equivalenti[199].
Tuttavia poiché, come si è visto, i due profili d’indagine scientifica, rispettivamente delle dimensioni empiriche i) del rischio e ii) dei caratteri di sicurezza ed efficacia del medicinale, sono strettamente interdipendenti, ne consegue, evidentemente, che anche la necessarietà del contenuto delle determinazioni di AIC e di risk management risulta inscindibilmente collegata all’attendibilità dell’esplicazione scientifica dei profili di sicurezza ed efficacia.
Anche questi argomenti confermano, ancora una volta, che al grado di «non-conoscenza» e, quindi, al rischio correlato all’immissione in commercio di un dato medicinale, concorre direttamente anche la scelta dei caratteri specifici del metodo scientifico utilizzato per fornirne la «dimostrazione» circa la sicurezza e l’efficacia che ne giustificano l’autorizzazione.
I momenti logicamente interconnessi di indagine circa la sicurezza e l’efficacia del medicinale e di risk assessment, così come quello decisionale di risk management, pertanto, assumono contestualmente due diversi rilievi: uno squisitamente razionale, attinente i caratteri della metodologia scientifica di indagine, ed uno, invece, di più spiccate sembianze politiche, relativo alle priorità relative ed ai conseguenti livelli di accettabilità delle diverse dimensioni di rischio[200].
Tuttavia, al fine di evitare determinazioni arbitrarie, che nell’ordinamento vigente, di fatto, apparirebbero incontrollabili[201], sembra imprescindibile che la seconda dimensione relativa alle scelte di priorità e di accettabilità del rischio possa estendersi finché non venga a confliggere con la dimensione razionale e funzionale dell’indagine scientifica, improntata cioè al criterio della maggior completezza possibile ed orientata secondo le logiche delle funzioni di garanzia e tutela implicate nella governance di settore.
Questi argomenti spingono, allora, a tentare di descrivere in termini analitici il criterio per la scelta metodologica dell’Amministrazione.
E questo non certo con l’ingenua pretesa di individuare un supposto parametro conclusivo di controllo giurisdizionale, quanto piuttosto per sensibilizzare l’attenzione dell’interprete verso la pluralità delle metodologie esistenti e, con ciò, promuovere l’indagine analitica ed il corrispondente sindacato giurisdizionale attorno alla maggiore o minore attendibilità logico-funzionale ad esse attribuibile.
Questo, inoltre, allo scopo sia di contribuire a ridurre l’ambito di «non-conoscenza» da presupporre alla determinazione di risk management, sia per valorizzare maggiormente il carattere necessitato delle AIC e delle determinazioni di gestione del rischio.
Esigenze del diritto e criteri per la scelta metodologica.
Da quanto fin qui esposto, sembra fondato affermare che i margini normativi di operatività istruttoria e decisionale sull’AIC, investano l’Amministrazione di controllo del potere di compiere giudizi e di effettuare scelte[202].
La considerazione specifica di questi elementi appare imprescindibile per assoggettare l’esercizio del potere di governance dei farmaci al controllo giurisdizionale di «logicità-ragionevolezza»[203].
Questo, in particolar modo, nel caso in cui l’Amministrazione intenda adottare determinazioni precauzionali sul presupposto della «non-conoscenza» ricavata dall’indagine istruttoria effettuata.
Infatti, in questo caso, in forza del menzionato rapporto di necessità e proporzionalità tra rischio e provvedimenti di risk management, maggiore è l’ambito di «non-conoscenza», maggiore risulta il margine operativo legalmente «giustificato» per assicurare il livello di tutela imposto dal Trattato.
Si evidenzia, anzitutto, che l’esercizio di tale potere di governance, nell’ordinamento positivo vigente, deve realizzarsi, per quanto possibile, di necessità[204], e ciò a maggior ragione ove si ponga attenzione al rilievo primario e alla delicatezza degli interessi coinvolti in questo tipo di amministrazione.
Il controllo in esame dovrebbe realizzarsi secondo il paradigma dell’inferenza deduttiva condizionata ‘norma- potere/fatto-effetto’[205], in modo da assicurare, quanto più possibile, la realizzazione oggettiva[206], cogente e non arbitraria[207] della volontà ordinamentale, nel perseguimento della funzione di promozione del mercato unico europeo dei medicinali, con la garanzia dell’elevato livello di tutela della salute umana.
Il giudizio in esame, allora, come tutti i giudizi logico-giuridici, è essenzialmente funzionale a formare conoscenza, da presupporre alla scelta amministrativa.
Secondo una lettura tradizionale[208], esso si compone di un momento freddo di accertamento dei fatti della realtà ed un successivo momento del loro raffronto con il metro legale che permetta di trarre conclusioni, più o meno cogenti e/o discutibili a seconda dell’interpretabilità del tenore letterale della norma applicata.
La conoscenza ottenuta da tale meccanismo ragionativo consentirebbe all’Amministrazione, successivamente, di effettuare una scelta logicamente coerente[209] con le premesse fattuali ed utile al perseguimento della funzione di governance.
Procedendo con ordine, quindi, ad un primo livello di analisi, gli elementi che verrebbero in gioco nel giudizio in esame sono: i) l’accertamento dei fatti della realtà fenomenica, ii) l’individuazione di un metro legale di confronto, ed infine iii) l’operazione di confronto.
Tuttavia, ad un’analisi che, invece, tenga in considerazione gli argomenti poc’anzi sviluppati in merito alle diverse caratteristiche delle metodologie scientifiche ed alla «multidimensionalità del rischio», tale lettura non soddisfa.
Non soddisfa, soprattutto, perché non rende conto della circostanza che l’operazione di accertamento non si risolve nell’applicazione meccanica di un’unica metodologia scientifica ma implica, come visto, giudizi di priorità in cui si traduce la volontà d’indagine conoscitiva.
Pare fondato sostenere, invece, che l’investigazione in esame presupponga a sua volta plurime scelte; esse riguardano sia le caratteristiche metodologiche[210] sia, soprattutto tramite la specificazione delle ipotesi sperimentali, la selezione del dominio di eventi oggetto d’indagine, così come il significato o senso che si intende attribuire ai dati rilevati nello studio sperimentale.
All’individuazione amministrativa dei caratteri del modello sperimentale, in buona sostanza, corrisponde l’individuazione di gran parte della premessa maggiore dell’inferenza ragionativa su cui poi, necessariamente, si sviluppa il giudizio deduttivo di controllo amministrativo dei fatti oggetto dell’istanza di AIC, così come l’eventuale adozione delle misure precauzionali necessitate.
La selezione del tipo e dei caratteri delle metodologie scientifiche è, allora, a sua volta, ancora una scelta delle priorità gnoseologiche, nella più generale indagine e determinazione circa la sussistenza della qualità, della sicurezza e della efficacia del farmaco per la formulazione del rapporto rischi/benefici.
Da queste premesse, e dal quadro normativo descritto in precedenza, si ricava che la scelta metodologica implica anch’essa, anzitutto, un giudizio orientato i) alla massima conoscenza possibile da presupporre alla scelta[211], con il bilanciamento, tra loro, dei ii) limiti temporali e iii) strumentali, nonché del iv) grado di attendibilità delle informazioni ottenute ed ottenibili in concreto[212].
Il problema, allora, consiste nell’individuazione di un parametro logico, non arbitrario, che consenta di affermare che la metodologia scientifica autorizzata dall’Amministrazione è «strumentalmente razionale»[213] rispetto allo scopo funzionale di garanzia del controllo in esame.
A tal proposito, allora, occorre rilevare che tale governance, invero, non è diretta a produrre effetti soltanto nel mondo astratto, della teoria e dei rapporti giuridici ed economici, ma è funzionale alla protezione effettiva della salute, pubblica ed individuale, sussistente nella dimensione della realtà fenomenica.
Se è vero quanto fin qui sostenuto, allora l’Amministrazione deve scegliere la metodologia, ed i caratteri di questa, che le consentano di pervenire alla conoscenza più vera possibile della realtà fenomenica.
In altre parole, l’Amministrazione è chiamata a scegliere l’ipotesi metodologica che le consenta maggiormente di formare una conoscenza corrispondente ai fatti oggettivi[214].
Preme sottolineare, infatti, che proprio per la sua attitudine ad incidere nella dimensione della realtà fenomenica esistente, e per la necessità irrinunciabile del suo controllo giurisdizionale effettivo, l’esercizio del potere amministrativo di governance in oggetto non può presupporre un tipo di conoscenza fondata, invece, su concezioni soggettivistiche della verità[215].
A questo proposito, allora, sembra essenziale rilevare che, quando nei diversi procedimenti di AIC, gli organi tecnici consultivi dell’Amministrazione formulano le proprie posizioni secondo meccanismi di consenso, ciò non può essere inteso come mezzo legale per costituire, autoreferenzialmente, con i mezzi della tecnica, la verità dell’accertamento nel singolo procedimento autorizzativo.
Il consenso raggiunto in tali consessi, piuttosto, in termini generalissimi deve essere diretto i) a selezionare i caratteri specifici dell’ipotesi metodologica che consenta di formare, nel modo maggiore, relativamente al singolo contesto operazionale di AIC, una conoscenza corrispondente ai fatti e, successivamente, ii) a controllare che la realtà di questi fatti, riscontrata secondo tale parametro, sia compatibile con l’esigenza di garantire l’elevato livello di tutela.
Secondo questa posizione, allora, l’obbiettivo di una conoscenza vera, nel senso di corrispondente ai fatti, funge da criterio regolativo della scelta metodologica, orientata alla selezione delle pratiche che ottengano una conoscenza appunto più verosimile[216].
Applicando tale criterio alla scelta tra due o più ipotesi metodologiche in confronto, allora, ci si dovrebbe orientare verso quella che: «i) consenta di formulare le asserzioni più precise[217] e tali asserzioni più precise superino i controlli[218] più precisi; ii) consenta di tener conto di più fatti e di spiegare più fatti, in modo più dettagliato; iii) abbia superato i controlli che l’altra non sia stata capace di superare; iv) abbia consentito di suggerire e superare controlli sperimentali ulteriori rispetto a quelli che prima venivano presi in considerazione e, infine, v) abbia consentito di unificare vari problemi che prima di allora non erano stati messi in relazione tra loro»[219].
Quest’ultimo profilo, in particolare, acquisisce un rilievo cruciale nel processo di sviluppo della conoscenza e delle scoperte.
È proprio questo tipo di giudizio scientifico che svela, in modo nuovo, relazioni esistenti ed apre a nuove possibilità di intervento, d’indagine empirica e, quindi, alla formulazione di nuove ipotesi per la descrizione della realtà[220].
Tuttavia, pur essendo vero che tale descrizione può avvenire sulla base di teorie metodologiche formalmente equivalenti, tale equivalenza, in ogni caso, non esclude l’imprescindibile elemento della «scelta del dominio di eventi da considerare come ‘fenomeni’»[221].
Sulla base di questi argomenti, ed in considerazione, altresì, del fatto che tutta la nostra conoscenza è congetturale[222] e che il metodo scientifico è il metodo di teorie con grande contenuto ‘e di ingegnosi e severi tentativi di confutarle’, la selezione delle pratiche scientifiche che ottengono una conoscenza più verisimile si risolve, ‘specialmente dal punto di vista empirico’, in una competizione tra i ‘contenuti di falsità’ offerto dalle stesse metodologie in confronto[223].
«Non possiamo mai rendere assolutamente certo che la nostra teoria non sia perduta. Tutto ciò che possiamo fare è cercare il contenuto di falsità della nostra teoria migliore. Facciamo questo tentando di confutare la nostra teoria; tentando cioè di controllarla seriamente alla luce di tutta la nostra conoscenza oggettiva e di tutta la nostra ingegnosità. È ovviamente sempre possibile che la teoria possa essere falsa anche se supera tutti questi controlli; ciò è permesso dalla nostra ricerca della verisimiglianza. Ma se essa supera tutti questi controlli allora possiamo avere buon motivo di congetturare che la nostra teoria, che come sappiamo ha un contenuto di verità maggiore del suo predecessore, possa avere un contenuto di falsità non maggiore. E se non riusciamo a confutare la nuova teoria, specialmente in campi in cui il suo predecessore è stato confortato, allora possiamo pretendere che questa sia una delle ragioni oggettive per la congettura che la nuova teoria sia una approssimazione alla verità migliore che la vecchia teoria»[224].
Sindacato giurisdizionale europeo circa la scelta metodologica.
Alla descritta problematica scientifica attinente alla «rilevazione empirica dei fatti della realtà fenomenica» si aggiunge, poi, quella di ordine giuridico, con essa strettamente interconnessa, relativa all’individuazione dell’effettivo metro legale nell’ampio ambito tratteggiato dalla genericità della terminologia normativa.
Secondo la classificazione ricavata dalla giurisprudenza europea, il descritto carattere impreciso della normativa di settore investe l’Amministrazione del network di controllo integrato europeo di un tipo specifico di discrezionalità, denominata jurisdictional discretion[225].
Dalle caratteristiche precipue di tale tipo di discrezionalità si ricava che la pubblica amministrazione è chiamata ad individuare ed applicare il metro legale in stretta adesione ai criteri logici del modello conoscitivo adottato per l’indagine scientifica.
Anzi, conformemente alle premesse svolte innanzi, è proprio la ratio del modello conoscitivo che viene a sostanziare e giustificare l’effettiva implementazione del metro legale.
A ben vedere, infatti, la discussione attorno alla jurisdictional discretion viene trattata in ambito giurisdizionale, non tanto come relativa a questioni di diritto, quanto piuttosto come pertinente la sussistenza dei presupposti fattuali che giustifichino l’applicazione del paradigma normativo[226].
In considerazione dell’ampio margine operativo attribuito dai Trattati alla Commissione, tradizionalmente, il sindacato giurisdizionale europeo su tale tipo di discrezionalità si concentra ed arresta su tre profili di critica possibile: l’errore manifesto, l’abuso di potere ed il chiaro eccesso dei limiti del potere discrezionale (manifest error – misuse of power – clear excess in the bounds of discretion).
In questo paragrafo si vuole tentare di rendere conto sinteticamente dell’incisività del sindacato giurisdizionale prospettabile sulla jurisdictional discretion esercitata dall’Amministrazione nel quadro del sistema giuridico integrato nazionale-europeo della governance sui medicinali.
Nello specifico, il profilo di critica che si vuole prendere in considerazione è quello circa l’errore manifesto, secondo la lettura datane dalla giurisprudenza europea nei suoi ultimi orientamenti i quali sembrano consentire di ipotizzare un sindacato delle operazioni di rilevazione dei fatti, e dei processi ragionativi ad esse sottesi, assai più penetrante di quello degli orientamenti passati.
Sul controllo giurisdizionale nel sistema integrato nazionale-europeo.
A tale ordine di argomenti, tuttavia, occorre premettere una sintetica considerazione generale di sistema.
Lo scopo di integrazione omogenea dei mercati europei dei medicinali, realizzato anche tramite il descritto binomio imprecisione normativa/discrezionalità amministrativa, rimarrebbe una mera aspirazione se il sindacato giurisdizionale, sulle determinazioni che implicano il tipo di valutazioni in esame, non fosse armonizzato su tutto il territorio dell’Unione[227].
D’altra parte la rilevanza della questione circa la standardizzazione europea del livello di tutela giurisdizionale è stata presa espressamente in considerazione in ambito normativo sia dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, che dal Trattato sull’Unione Europea[228] che la recepisce.
A proposito della garanzia delle posizioni giuridiche ricavabili dal sistema europeo di governance sui medicinali, nel quadro dell’ordinamento processuale integrato nazionale-europeo, i principi fondamentali operanti, nel caso in cui non sussista una disciplina europea specifica, sono quelli dell’equivalenza e dell’effettività della tutela[229].
Il principio di effettività, in particolare, risulta di radicale importanza sia per la dimensione individuale della tutela dei diritti soggettivi e delle altre prospettabili posizioni giuridiche d’interesse, sia per la dimensione di rilievo generale della armonizzazione ed integrazione effettiva del mercato farmaceutico europeo.
Tale principio, infatti, è funzionale a garantire una sostanziale omogeneità del grado e della estensione del sindacato giurisdizionale garantito a livello europeo con quello da assicurare a livello nazionale[230].
Nel settore dei medicinali, una pronuncia emblematica a questo proposito, peraltro rappresentativa anche della posizione tradizionale sulla revisione giurisdizionale della discrezionalità amministrativa (c.d. Low Intensity Review)[231], è quella della Quinta Sezione della Corte di Giustizia europea emessa nella controversia tra la ditta Upjohn Ltd e The Licensing Autority del Regno Unito ed altri[232].
La causa, riguardante la revoca di tutte le AIC del medicinale ‘Triazolam’ commercializzato dalla Upjohn, era originata dall’iniziativa della Court of Appeal, dell’Inghilterra e del Galles, la quale aveva sottoposto alla Corte tre questioni pregiudiziali relative all’interpretazione della Direttiva 65/65/CEE e ss. mm. ii.
In particolare, il profilo della pronuncia che occorre evidenziare è quello relativo al primo dei tre profili di critica sollevati dalla Upjohn.
Quest’ultimo, infatti, era diretto ad appurare se, in base alle disposizioni del diritto comunitario vigente, alla Direttiva 65/65/CEE e alle sue successive modificazioni, spettasse al giudice nazionale riscontrare la correttezza della determinazione amministrativa dell’Ente di controllo nazionale rispetto alla determinazione che la medesima Autorità avrebbe potuto ragionevolmente adottare sulla base degli elementi a sua disposizione.
Secondo la lettura data dalla Corte europea di tale profilo di critica, l’oggetto della discussione, in sostanza, si riassumeva nella possibilità per il giudice nazionale di sostituire la propria valutazione dei mezzi di prova scientifica a quella elaborata dall’Amministrazione nel procedimento di revoca.
Questa prerogativa del controllo giurisdizionale, invero, secondo l’interpretazione fornita dall’impresa Upjhon, sarebbe stata imprescindibile per impedire che l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento comunitario venisse reso praticamente impossibile, ovvero eccessivamente difficoltoso.
La Corte, tuttavia, dopo aver richiamato il proprio consolidato orientamento circa il limite del sindacato giurisdizionale ai profili summenzionati (manifest error – misuse of power – clear excess in the bounds of discretion) circa la discrezionalità amministrativa nel compimento di valutazioni complesse[233], come quelle in oggetto, rilevava che né il diritto comunitario né la Direttiva 65/65/CE e ss. mm. ii. impone agli Stati membri, al fine di scongiurare l’impossibilità o l’eccessiva difficoltà dell’esercizio dei diritti di derivazione europea, di predisporre un rimedio giurisdizionale con la possibilità per il giudice nazionale di sostituire la propria valutazione degli elementi di fatto e dei mezzi di prova scientifica a quella elaborata dall’Amministrazione[234].
In tale pronuncia, al cuore della questione discrezionale la Corte dedica non più di qualche paragrafo, limitandosi a riferire in merito agli orientamenti consolidati.
La sentenza, che come si accennava, appartiene all’orientamento della c.d. Low Intensity Review, promuove un paradigma armonizzato europeo[235] del sindacato giurisdizionale sulla discrezionalità assai meno incisivo di quello che ora si crede di poter configurare dalle successive sentenze dalla medesima Corte e di cui si intende qui di seguito rendere conto.
10. Evoluzioni del controllo giurisdizionale europeo sulla c.d. jurisdictional discretion.
Sembra prospettare un tipo differente di revisione giurisdizionale sulla discrezionalità nell’amministrazione di rischio la sentenza del Tribunale europeo di prima istanza emessa nella controversia tra l’impresa Pfizer ed il Consiglio dell’UE, nel settembre 2002[236].
La controversia in esame aveva ad oggetto l’annullamento di un regolamento del Consiglio del 1998, sulla base del quale veniva ritirata l’autorizzazione dell’antibiotico virginiamycin, un additivo per mangimi animali.
La questione rilevava, in particolare, sotto il profilo della sussistenza dei presupposti scientifici per il ritiro precauzionale dell’autorizzazione del composto in ragione del timore che potesse ridurre la resistenza agli antibiotici degli animali e, conseguentemente, anche quella degli esseri umani.
Nonostante faccia appello all’orientamento della low intensity review[237], la pronuncia in esame si contraddistingue poiché, in modo innovativo, dedica grande attenzione argomentativa alla dimostrazione della insussistenza dell’errore di fatto contestato dalla ricorrente.
In particolare, pur senza accogliere le posizioni della ditta Pfizer, il Giudice europeo sviluppava le proprie argomentazioni sulla questione della sussistenza dei presupposti di fatto in ben 125 paragrafi della sentenza[238].
Preme evidenziare, tuttavia, che questa pronuncia non soltanto riconosce, all’Amministrazione comunitaria investita di potere discrezionale, il potere di “procedere ad una valutazione scientifica dei rischi e stimare elementi fattuali di ordine scientifico e tecnico altamente complessi”, ma anche le attribuisce espressamente un analogo potere discrezionale, “in una determinata misura, alla constatazione degli elementi di fatto alla base della sua azione”[239].
Occorre sottolineare che, portato alle estreme conseguenze, il potere discrezionale così configurato legittima l’Amministrazione a stilare pseudo esplicazioni motivazionali, soggette soltanto al vincolo della mera coerenza intrinseca, ovvero della non macroscopica devianza rispetto al paradigma funzionale.
Per le ragioni sopra esposte in merito alle problematiche relative all’individuazione scientifica del rischio, sembra fondato affermare che tale interpretazione della discrezionalità, proprio perché consente la commistione dei profili di riscontro scientifico e di valutazione politica, apre all’Amministrazione la possibilità di predisporre arbitrariamente occasioni per l’implementazione di misure precauzionali, anche con implicazioni limitative del mercato.
In altre parole, il potere discrezionale così concepito, di constatare i fatti secondo un criterio logico di mera coerenza intrinseca, legittima l’Amministrazione a formulare pseudo esplicazioni scientifiche ad hoc a fondamento motivazionale delle determinazioni di AIC e di risk management poiché, invero, le consente di determinare autoreferenzialmente, per ogni evenienza, gli elementi della premessa maggiore dell’inferenza deduttiva[240] su cui può, di conseguenza, strutturare e giustificare, anche con argomenti cogenti, la propria azione di governance.
Tale evenienza, invece, viene scongiurata ove sia consentito il controllo della congruità logica della scelta dei caratteri del modello conoscitivo i) con lo scopo funzionale della tutela effettiva della salute e, a questa finalità, ii) con il criterio della preferenza della metodologia scientifica che permetta la formazione della conoscenza di maggiore corrispondenza con i fatti e, quindi, più vera.
* * *
Segna in modo più marcato l’evoluzione del tipo di sindacato giurisdizionale sulla discrezionalità, sotto il profilo di critica dell’errore manifesto, la sentenza della Grande Sezione della Corte di Giustizia UE del 15 febbraio 2005, nella controversia sorta tra la Commissione e l’impresa Tetra Laval[241], di conferma della pronuncia del Tribunale di prima istanza[242].
Anche se espressa in riferimento ad un ambito discrezionale diverso rispetto a quello dell’amministrazione di rischio qui in considerazione, e segnatamente quello relativo alla governance della concorrenza tra imprese, tale sentenza propone un ragionamento critico per il quale non si rinvengono argomenti che ne impediscano la spendibilità anche in sede di controllo della governance dei medicinali.
Per la loro maggiore utilità ad assicurare l’oggettività del giudizio, invece, pare fondato promuoverne l’applicazione anche al sindacato sul controllo dei farmaci, ove sono in gioco interessi, come quello di tutela della salute, di rilievo ordinamentale indiscutibilmente superiore rispetto a quelli economici[243].
La sentenza in oggetto appare rivestire particolare pregnanza poiché sviluppa il proprio giudizio di revisione della jurisdictional discretion in modo innovativo ed assai penetrante del ragionamento sotteso alla determinazione discrezionale.
Per quanto qui di precipuo interesse, la questione affrontata in tale appello riguardava la qualità degli elementi di prova richiesti per fondare legittimamente la decisione della Commissione di dichiarare incompatibile con il mercato comune un’operazione di concentrazione tra imprese.
A questo proposito, la Commissione appellante sosteneva che il Tribunale di prima istanza avesse trasceso il livello di controllo da esso esercitabile in conformità alla consolidata giurisprudenza in merito ed alla normativa sul controllo delle operazioni di concentrazione tra imprese.
Secondo l’interpretazione della Commissione, infatti, un controllo giurisdizionale sull’azione amministrativa diverso da quello estrinseco tradizionale descritto, attinente agli errori manifesti, allo sviamento di potere o a evidenti deviazioni dall’ambito della discrezionalità non sarebbe stato conforme ai principi del diritto dell’Unione[244].
Secondo la Corte di Giustizia, invece, la sussistenza di un potere discrezionale in capo all’Amministrazione non impedisce il controllo giurisdizionale dell’interpretazione dei dati compiuta dalla Commissione e posta a fondamento della determinazione da essa assunta[245].
Anzi, il potere giurisdizionale di controllo non solo può soffermarsi a sondare la coerenza intrinseca dei dati e del ragionamento amministrativo, ma è chiamato, altresì, a controllare l’esaustività dei dati e l’attitudine delle informazioni poste alla base del provvedimento a giustificare le conclusioni tratte dall’Amministrazione, tanto più quando queste siano funzionali a fornire previsioni su andamenti causali futuri[246].
Dal tenore della pronuncia si ricava che il fulcro del controllo giudiziario della questione sulla discrezionalità ivi trattata, consisteva, non tanto nella intrinseca coerenza, attendibilità ed esattezza degli argomenti forniti con la motivazione provvedimentale (come si sarebbe potuto configurare secondo l’orientamento della Low Intensity Review), quanto piuttosto nel riscontro circa l’effettiva sussistenza dei presupposti epistemologici (convincing evidence)[247] per fondare legittimamente il provvedimento di governance.
Tralasciando la problematica relativa alle plurime attitudini comprovanti attribuibili ai diversi elementi di prova, infatti, la Corte di Giustizia si premurava di specificare che un’analisi prospettica, come quella oggetto del contenzioso, che riguardasse, quindi, non tanto l’analisi di eventi del passato o del presente, quanto piuttosto la previsione di quelli che si verificheranno in futuro, secondo una maggiore o minore probabilità, “impone di ipotizzare le varie concatenazioni causa-effetto, al fine di accogliere quelle maggiormente probabili”[248].
Questa pronuncia evidenzia un profilo di analisi nuovo[249] della logica sottesa alla determinazione discrezionale, che si crede possa rivestire centrale rilievo anche nel sindacato della governance discrezionale sui medicinali.
Nello specifico, senza addivenire ad una sostituzione della valutazione opinabile dell’Amministrazione, la sentenza in oggetto penetra nella dimensione della attendibilità razionale della scelta circa la delimitazione del dominio d’indagine amministrativa, per svolgere il proprio sindacato alla luce di un criterio oggettivo di esaustività[250].
Infatti, posto che nella governance dei medicinali ci si trova raramente di fronte ad assunti dimostrati e, quindi, assolutamente certi, nella stragrande maggioranza dei casi la funzione della prova, ossia della documentazione circa i profili di qualità, di sicurezza e di efficacia del farmaco, si risolve in un intervento atto a sostanziare progressivamente la validità delle ipotesi poste a fondamento della decisione assunta.
E tuttavia, se è vero che «i fatti si provano in quanto si conoscono per controllare le affermazioni che li riguardano»[251], allora risulta di importanza determinante la ricchezza, la varietà, la completezza e la natura delle informazioni ricavabili dalla motivazione provvedimentale per congetturare, a buon motivo, circa il maggior possibile contenuto informativo delle diverse ipotesi presupposte all’indagine conoscitiva sul farmaco da autorizzare[252], in modo che non ne risulti circoscritto arbitrariamente il dominio dell’investigazione scientifica.
Appare chiaro, pertanto, che il sindacato sulla discrezionalità in esame non può prescindere dal controllo in merito alla scelta dei caratteri del modello d’indagine conoscitiva poiché quest’ultimo, in definitiva, è il solo strumento in grado di fornire conoscenza[253] dei fatti e, quindi, prova per il controllo della validità delle ipotesi formulate attorno ad essi e poste alla base del provvedimento.
Questo è il motivo per cui appare imprescindibile promuovere, per il controllo sulla scelta dei caratteri della metodologia d’indagine, un criterio logico che tenda, oltre che verso una conoscenza qualificata dal punto di vista della cogenza argomentativa, anche, e soprattutto per quanto attiene i profili della sicurezza, verso la formazione di una conoscenza congetturale più estesa possibile in termini oggettivi, nel senso sopra esposto.
Secondo questa prospettiva, nella trattazione sulla discrezionalità nella amministrazione del rischio, ha rilievo ancora e suggerisce lo sviluppo di alcune ulteriori precisazioni anche la sentenza del Tribunale europeo di prima istanza, emessa in data 11 luglio 2007, nella controversia T-229/04 sorta tra il Regno di Svezia, ed altri, e la Commissione europea[254].
La questione originava dalla contestazione del Regno di Svezia circa la legittimità della Direttiva della Commissione n. 2003/112/CE, in data 1 dicembre 2003, con la quale quest’ultima aveva disposto l’inclusione del Paraquat, sostanza attiva di uno dei tre erbicidi più diffusi al mondo, nell’elenco dell’Allegato I alla Direttiva 91/414 del 15 luglio 1991, relativo ai prodotti fitosanitari da autorizzare da parte degli Stati membri.
Lo Stato ricorrente, in particolare, contestava la legittimità della Direttiva impugnata sostenendo la violazione della normativa vigente, sotto diversi profili.
La contestazione[255], ad ogni modo, era fondamentalmente diretta ad evidenziare una sostanziale lacunosità dell’istruttoria scientifica condotta dall’Amministrazione per valutare i profili di rischio riconducibili al Paraquat.
Secondo la prospettazione della Svezia, infatti, tale sostanza costituiva l’elemento attivo più tossico mai inserito nell’elenco dell’Allegato I alla Direttiva 91/414[256].
Nello specifico, per quanto riguarda le lamentele circa la protezione della salute umana[257], il Regno di Svezia contestava che la Commissione, nello svolgimento della propria istruttoria, avesse tenuto in debito conto tutti gli studi scientifici pertinenti di cui la medesima avrebbe avuto la disponibilità[258].
Pertanto, rilevava l’insufficienza probatoria del dossier scientifico fornito dalla Commissione per trarre legittimamente la conclusione dell’assenza di rischio significativo del Paraquat per la salute umana[259].
Infatti, nonostante due studi, uno guatemalteco ed uno francese, evidenziassero l’inefficacia delle misure protettive ad escludere l’intollerabile esposizione alla sostanza da parte degli operatori agricoli, svariate volte superiore a quella accettabile[260], la Commissione Scientifica concluse che, secondo la propria opinione, soltanto le persone che non avessero seguito le istruzioni di lavoro avrebbero mostrato livelli di esposizione alla sostanza prossimi al limite di tollerabilità[261].
A questo proposito, invece, la Commissione sosteneva che il proprio dossier scientifico conteneva sufficienti evidenze ‘per giustificare l’inclusione del Paraquat nell’Allegato I della Direttiva 91/414.’[262]
Anzi, secondo il punto 151 della pronuncia in esame, che riporta gli argomenti della Commissione, sarebbe esistita “ una documentazione scientifica sufficiente a ritenere che, indipendentemente dai rischi potenziali derivanti dall’impiego del paraquat, i rischi che sono stati oggetto di valutazione risultavano accettabili, considerata l’introduzione di misure destinate a ridurre gli stessi, quali il divieto per i privati di utilizzare prodotti fitosanitari contenenti paraquat e l’imposizione di condizioni di impiego professionali di tale sostanza.”[263]
Da tali argomenti appare chiaro che la differenza delle prospettive della Commissione e dello Stato ricorrente, dipendeva essenzialmente dallo scopo attribuito all’indagine scientifica.
È evidente, infatti, che mentre l’Amministrazione reputava tale indagine funzionale a munirla di argomenti ‘certi’ e, quindi, in sostanza, intrinsecamente coerenti con le premesse scientifiche selezionate, il Regno di Svezia, essenzialmente, criticava la legittimità di tale operazione evidenziandone l’irrazionalità funzionale rispetto allo scopo di garanzia dell’elevato livello di tutela della salute umana.
Dopo aver scartato altri studi per la loro esigua riferibilità alle specifiche valutazioni presupposte della Direttiva impugnata, il giudice europeo prendeva atto della lacunosità del procedimento istruttorio e giungeva ad escludere che il Paraquat potesse essere incluso nell’Allegato I alla Direttiva 91/414 sulla base degli studi scientifici, guatemalteco e francese, non tenuti in debita considerazione nella governance di settore[264].
Anche per la pronuncia in esame, si ricava che il fulcro del sindacato giurisdizionale sulla questione di discrezionalità attiene, non tanto la coerenza intrinseca della motivazione fornita dall’Amministrazione, come, invece, avrebbe preteso la Commissione, quanto piuttosto l’esaustività dell’istruttoria per escludere la sussistenza di elementi indiziari utili a formare un ragionevole dubbio circa l’innocuità del Paraquat.
Si crede, invero, che tali argomenti relativi alla completezza dell’istruttoria scientifica valgano anche per lo specifico ambito relativo alla governance dei prodotti medicinali.
E ciò nonostante il diverso criterio che deve sovraintendere la conseguente decisione autorizzativa nei due differenti ambiti dell’amministrazione di rischio per i quali, mentre nel primo settore il riferimento decisionale è diretto alla sicurezza oltre ogni ragionevole dubbio[265], nel secondo il riferimento è alla descritta valutazione rischio/beneficio favorevole, per la quale i concetti di nocività ed effetto terapeutico hanno soltanto un significato reciproco[266].
Infatti, come si è visto sopra, l’indagine scientifica relativa alle dimensioni dei due profili, quello della qualità, della sicurezza e della efficacia e quello del rischio, sono connessi in modo tale da risultare inscindibili, nel senso che le deficienze dell’indagine circa il primo profilo si riverberano, necessariamente, sul secondo.
Da tale circostanza, in verità, si ha che tutta l’analisi scientifica presupposta all’AIC dei farmaci è analisi che rientra, o che comunque riverbera i propri effetti, nell’ambito della amministrazione del rischio riconducibile al medicinale, il cui regime amministrativo è essenzialmente funzionale a garantire l’elevato livello di tutela della salute in conformità al principio di precauzione[267].
Pare fondato sostenere, pertanto, che la diversità del criterio decisionale dei due ambiti in considerazione non consente di legittimare, per il settore farmaceutico, un’istruttoria conoscitiva deficitaria poiché, in entrambe le occasioni di governance, è necessario che venga garantito l’elevato livello di tutela della salute umana il quale non può che presupporre una investigazione esaustiva della questione scientifica in esame.
E questo a maggior ragione ove si tratti d’indagini finalizzate specificamente alla scoperta dei profili di rischio.
Nel settore specifico dei prodotti medicinali, a favore di istruttorie scientifiche esaustive orientate verso un criterio oggettivo, di corrispondenza coi fatti, e nell’ottica strumentale della funzione di tutela e promozione della salute, si richiama la pronuncia del Tribunale I grado[268], in data 14 dicembre 2011, nella controversia T‑52/09 tra la società Nycomed Danmark ApS e l’EMA.
Per quanto qui di precipuo interesse, la questione originava dalla decisione di quest’ultima di rigettare la domanda della ricorrente di essere esonerata dall’obbligo di presentare i risultati di un piano di indagine pediatrica in relazione all’agente diagnostico Imagify.
Tale prodotto, un agente di visualizzazione tramite ultrasuoni per l’ecocardiografia (perfluorobutano), avrebbe presentato il vantaggio, rispetto ad altre sostanze, di essere innocuo poiché nelle operazioni diagnostiche non avrebbe comportato per i pazienti alcuna esposizione alle radiazioni.
A sostegno della legittimità della propria istanza di esonero la ricorrente aveva invocato, in particolare, l’applicazione degli articoli 13, par. 1, e 11, par. 1 lett. b) del Regolamento n. 1901/2006/CE[269], relativo ai medicinali per uso pediatrico, sostenendo che l’Imagify era utile al riscontro di malattie delle arterie coronarie proprie soltanto della popolazione adulta[270].
In considerazione del fatto che, invece, l’agente diagnostico poteva essere impiegato anche per la diagnosi di altre malattie rilevabili nella popolazione pediatrica, il Comitato pediatrico, nel proprio primo parere, in data 19 settembre 2008, raccomandava all’EMA di rifiutare la deroga richiesta dalla Nycomed.
Tale parere si fondava, in particolare, sul presupposto che quest’ultima avesse limitato, a torto, la portata della propria domanda di deroga alla diagnosi delle malattie delle arterie coronarie[271].
Successivamente, in data 20 ottobre 2008, la ditta resistente presentava un’istanza per ottenere un nuovo parere del Comitato pediatrico specificando, da un lato, “che spettava al richiedente definire la portata dell’indicazione del medicinale oggetto della domanda di autorizzazione all’immissione in commercio e, dall’altro, che il comitato pediatrico non aveva il potere di esigere una modifica della medesima.”[272]
Gli assunti della ricorrente erano successivamente contestati nel rapporto del coordinatore del Comitato pediatrico dell’EMA, poi peraltro confermato dal relatore del medesimo organo di consulenza[273].
Conclusivamente, sulla base del secondo parere negativo, l’EMA respingeva la domanda di deroga, con provvedimento in data 28 novembre 2008, poi oggetto dell’impugnazione.
Su tali presupposti di fatto, ed in considerazione del quadro normativo pertinente per la soluzione della causa in esame, il Giudice adito focalizzava la propria attenzione sulla problematica relativa alla mancanza di medicinali adatti alla popolazione pediatrica.
Tale problematica era evidenziata dalla circostanza che oltre il 50% dei medicinali somministrati ai bambini in Europa, alla data della pubblicazione del Regolamento n. 1901/2006/CE, non aveva ottenuto un’autorizzazione in tal senso e non era stato oggetto di appropriate sperimentazioni[274].
A tale questione il Giudice europeo riconduceva altre connesse problematiche di primario rilievo.
Tra esse la mancanza di informazioni sul dosaggio correlato all’aumento dei rischi di reazioni avverse, la non disponibilità dei progressi terapeutici così come di adeguati preparati e modalità di somministrazione e impiego per la popolazione pediatrica.
Il Tribunale riconosceva che il mercato, da solo, non si era rivelato capace di promuovere sufficientemente la ricerca e lo sviluppo dei medicinali pediatrici.
A questo proposito rilevava che il Regolamento n. 1901/2006/CE aveva introdotto il vincolo per le imprese farmaceutiche di prevedere sistematicamente, redigendo piani d’indagine pediatrica, la possibilità di un utilizzo dei medicinali da esse sviluppati anche dalla popolazione pediatrica[275] e consentendo la deroga di tale vincolo esclusivamente in costanza delle evenienze tassativamente previste dal medesimo Regolamento.
A prescindere del fatto che il medicinale in oggetto venisse sviluppato dalla Nycomed soltanto ad uso diagnostico e, quindi, solo indirettamente terapeutico, il Tribunale europeo proseguiva ponendo in evidenza che il fulcro della problematica consisteva nel determinare se «la destinazione di un medicinale debba essere valutata oggettivamente, previa considerazione delle sole proprietà di tale medicinale, o se essa corrisponda all’indicazione diagnostica definita dal promotore del medicinale in esame, rivestendo quindi carattere soggettivo».[276]
Proseguiva ancora il Giudice di prima istanza esponendo che: «nel primo caso, un medicinale ad uso diagnostico dovrebbe essere considerato come destinato alla diagnosi di qualsiasi malattia o affezione associata ad un segno che è atto ad individuare. Nel secondo caso, l’indicazione definita dal promotore del medicinale sarebbe vincolante; un medicinale non potrebbe essere considerato destinato alla diagnosi di malattie o affezioni diverse da quelle corrispondenti all’indicazione prescelta dal suo promotore».
In conclusione il Tribunale decideva nel senso che l’Amministrazione, coerentemente con la funzione di tutela dell’interesse generale al miglioramento delle cure mediche della popolazione pediatrica[277], nel definire in senso oggettivo la destinazione del medicinale e nell’individuare l’ambito d’indagine che deve accompagnare l’investigazione sul prodotto farmaceutico, non è vincolata dalla indicazione (terapeutica o diagnostica) fornita dal richiedente ma deve determinarsi in relazione alle proprietà e caratteristiche oggettive del farmaco sperimentale[278].
Sempre secondo il Giudice europeo, l’indicazione contenuta nell’istanza di deroga alla presentazione del piano d’indagine pediatrica, lungi dal non ricoprire alcun rilievo in sede istruttoria e dal non dover essere presa in considerazione dall’Amministrazione, costituisce invece necessariamente il «punto di partenza della valutazione» dell’organo consultivo[279].
Ad ogni modo, tale indicazione non vincola affatto l’Amministrazione all’ambito di indagine approntato dal richiedente e le consente, sulla base di dati oggettivi scientificamente giustificati, di richiedere integrazioni istruttorie[280].
In appendice[281] agli argomenti così sviluppati, proseguendo la trattazione delle altre critiche svolte dalla ricorrente circa la violazione dei principi della certezza del diritto e dello Stato di diritto, il Tribunale rilevava che l’Amministrazione, quando si trova ad adottare le determinazioni nel contesto dell’art. 11, n. 1 lett. b) del Regolamento 1901/2006, non è investita di un potere discrezionale poiché tali decisioni, secondo medesimo organo giurisdizionale, «rientrano nell’esercizio di una competenza vincolata e non di un potere discrezionale. Infatti, previo esame del parere motivato del comitato pediatrico, che si limita a procedere … ad un accertamento dei fatti, fondato su dati oggettivi scientificamente giustificati, l’EMA è tenuta a concedere la deroga richiesta se ricorrono i presupposti previsti a tal fine. In caso contrario, essa è tenuta a negarla».
Per le ragioni sopraesposte, tuttavia, sembra lecito ritenere che una certa interpretazione del vincolo cui si riferisce l’Autorità giurisdizionale esponga la governance al rischio di arbitrarietà, quanto meno quella derivante da motivazioni che, pur intrinsecamente coerenti, si fondino su ragionamenti di tipo circolare.
Come si è visto, invero, l’accertamento dei fatti, lungi dal costituire una semplice operazione di rilevazione meccanica, con esiti incontrovertibili, dipende per gran parte non solo dalla selezione del dominio dei fenomeni oggetto di studio e dai caratteri delle metodologie d’indagine scientifica, ma anche dagli scopi concreti per i quali tali metodiche vengono applicate e che, in definitiva, ne sostanziano la razionalità funzionale.
Tale circostanza, in ultima analisi, è confermata ulteriormente anche dal fatto che lo stesso parere del Comitato pediatrico relativo «all’accertamento dei fatti sulla base di dati oggettivi scientificamente giustificati» può anch’esso essere oggetto di riesame e di integrazione ad iniziativa del medesimo richiedente[282].
* Per una trattazione più estesa sia consentito il rinvio a Luigi Selmo, Sul controllo dei medicinali ad uso umano: funzione e scelte amministrative integrate europee, reperibile all’indirizzo eprints-phd.biblio.unitn.it/1960/.
[1] Sulla tematica della certezza del diritto si richiama l’opera di F. Lopez de Oñate, La certezza del diritto, Milano, 1968, edizione che raccoglie anche saggi di Calamandrei, di Carnelutti, di Capograssi e di Fedele, ma ora per un’analisi storica ed attuale P. Grossi, Sulla odierna incertezza del diritto, in Giustizia Civile, 4, 2014, p. 921 – 955.
[2] Cfr. sull’evoluzione del concetto di merito amministrativo, in paragone con le concezioni proprie degli ordinamenti centroeuropei, in particolare sotto il profilo della centralità della norma o del fatto, S. Cognetti, Principio di proporzionalità. Profili di teoria generale e di analisi sistematica, Torino, 2011, p. 297 e ss.
Sulla tematica qui in esame cfr. anche L. Benvenuti, Interpretazione e dogmatica nel diritto amministrativo, Milano, 2002.
[3] La portata di tale concezione è stata progressivamente assorbita dalla dottrina italiana sulla discrezionalità in quella della discrezionalità tecnica, in seno alla quale la concezione tecnica, ossia non politica, si è poi sviluppata in quella più propriamente scientifica. In virtù di tale interpretazione è stata affermata “la tendenza a vedere discrezionalità tecnica in ogni attività dell’amministrazione che presenti difficoltà superabili solo ricorrendo a cognizioni specialistiche” così F. Levi, L’attività conoscitiva dell’amministrazione, Torino, 1967, riportato nella dettagliata trattazione sull’argomento di D. De Pretis, Valutazione amministrativa e discrezionalità tecnica, Padova, 1995, p. 11 e ss., 173 e ss, e 178 e ss.
[4] Cfr. H. Maurer, Allgemeines Verwaltungsrecht, München, 1992, p. 96 e H.-U. Erichsen e W. Martens, Das Verwaltungshandeln, in H.-U. Erichsen e W. Martens (a cura di), Allgemeines Verwaltungsrecht, Berlin – New York, 1992, p. 191, entrambi citati in D. De Pretis, op. cit., p. 31 – 32.
[5] Così D. De Pretis, op. cit., p. 31 e 32.
[6] K. Engisch, Logische Studien zur Gesetzesanwendung, 1963, Stuttgart, p. 83 e ss. riportato in D. De Pretis, op. cit., p. 34.
[7] Così in D. De Pretis, op. cit., p. 35.
[8] P. Cane, Administrative law, Oxford, 2011, p. 60.
[9] P. Cane, op. cit., p. 61: “This approach treats the law/fact distinction not so much as a description of what is involved in applying law to fact but rather as a formula for expressing value-judgments about the appropriate scope of bureaucratic discretion and accountability”.
[10] P. Cane, op. cit., pp. 59 e 64: “…it is a basic principle of statutory interpretation that when the words of a statute are unclear, ambiguous, or incomplete, reference may be made to the ‘purpose’of the provision. … many questions of statutory interpretation are ‘mixed questions of law and policy’, having partly to do with the meaning of the words used and partly with their underlying purpose. Like the law/fact distinction, the distinction between law and policy is impossible to draw analitically and can be used strategically. It plays an important part in regulating the scope of bureaucratic discretion because administrators have more freedom in deciding issues of policy than in resolving issues of law.”
Ma cfr. anche J. Sprenger, Statistics between inductive logic and empirical science, in Journal of Applied Logic, 7, 2009, p. 239–250 il quale evidenzia, infatti, come le indagini scientifico-statistiche, siano esse sviluppate secondo il modello frequentista o bayesiano, non presentano elementi di logica pura che possano essere disgiunti dai presupposti decisionali che connotano il modello statistico applicato e che determinano la conoscenza ricavabile con lo studio.
In altre parole esiste sempre, a prescindere dal modello applicato, una dimensione decisoria presupposta all’indagine strettamente interconnessa sia con lo scopo istituzionale dello studio scientifico che con la dimensione dell’identificazione del problema da investigare – cfr. anche I. M. Copi, C. Cohen, Introduzione alla logica, Bologna, 1999, p. 538 e ss.
[11] Cfr. E. Casetta, Manuale di diritto amministrativo, Milano, 2012, p. 396 e 484 e ss.
[12] Presupposto implicito fondato verosimilmente a sua volta sulla concezione di regolarità causale singolare di stampo humiano per la quale v’è causalità tra fenomeni allorché sussistano i tre elementi della i) contiguità spaziale tra i fenomeni, ii) la successione cronologica tra essi e iii) la necessità della loro successione (c.d. legge o regolarità causale) – (W. E. Morris, C. R. Brown, David Hume, in Edward N. Zalta (a cura di) The Stanford Encyclopedia of Philosophy, on line al sito http://plato.stanford.edu/archives/spr2016/entries/hume/ – J. Reiss, Causation, evidence and inference, New York, 2015, cap. I). Tale ultimo elemento è fornito dall’esperienza della successione uniforme/regolare tra fenomeni ed è quindi fondato sulla base di logiche giustificative del ragionamento induttivo.
[13] Cfr. le considerazioni in nota 17 di D. De Pretis, op. cit., p. 178 e M. P. Chiti, Il rischio sanitario e l’evoluzione dall’amministrazione dell’emergenza all’amministrazione precauzionale, in Riv. it. dir. pubbl. comunit., 2006, p. 3 e ss.. che rileva l’evoluzione dell’attitudine istituzionale, prima di piena fiducia e poi di progressiva cautela, nei confronti delle c.d. certezze scientifiche, fino all’odierna amministrazione precauzionale.
[14] Cfr. sulla tematica, ad esempio, le considerazioni critiche sui cinque metodi induttivi di J. S. Mill per la scoperta delle leggi causali in I. M. Copi, C. Cohen, op. cit., p. 493 e ss. e tra i diversi J. P. Vandenbroucke, A. Broadbent, N. Pearce, Causality and causal inference in epidemiology: the need for a pluralistic approach, in Intern. Journ. Epidemiol., 2016, p. 1 – 11.
Consapevolezza della varietà dei caratteri e delle premesse gnoseologiche che, tuttavia, manca o si presenta assai esigua nella indagine teorico-giuridica, cfr. D. De Pretis, op. cit., p. 185, soprattutto nota 26 e p. 199, 207, nota 70 che richiama a proposito F. Bassi, La norma interna lineamenti di una teoria, Milano, 1963, p. 545 e ss. e V. Bachelet, L’attività tecnica della pubblica amministrazione, Milano, 1967, p. 66. Cfr. anche, sulla varietà delle implicazioni e delle metodologie che presuppongono una diversa concezione di causalità, tra gli altri, J. Reiss, op. cit.
[15] Cfr. ad esempio ICH, International Conference of Harmonization, cfr. ad esempio la ICH Harmonised Tripartite Guideline – Statistical Principles For Clinical Trials – E9 http://www.ich.org/products/guidelines/ efficacy/ article/efficacy-guidelines.html.
[16] Cfr. sull’utilità dell’indeterminatezza normativa D. De Pretis, op. cit., p. 373 e bibliografia ivi richiamata; sui clinical trials, ad esempio, L.M. Friedman, et al., Fundamentals of Clinical Trials, London, 2015, p. 49 e ss. e 89 e ss.
«Per farmacocinetica si intende il ramo della farmacologia che studia l’assorbimento, la distribuzione, il metabolismo nonché lo smaltimento dei farmaci da parte dell’organismo umano.
Per farmacodinamica, invece, si intende il ramo della farmacologia che studia gli effetti e le modalità di interazione del principio attivo farmaceutico con il corpo umano» (traduzione ed adattamento da S. Shorthose, Clinical Trials, in S. Shorthose (a cura di), Guide to Eu Pharmaceutical Regulatory Law, Alphen aan den Rijn, 2014, p. 29 in nota 1 e 2).
[17] Cfr. I. M. Copi, C. Cohen, op. cit., p. 515 e ss.; così come, peraltro, sulla tematica del rapporto di reciproca legittimazione della conoscenza e del potere H. N. Weiler, Whose Knowledge Matters? Developement and the Politics of Knowledge, in T. Hanf, H. N. Weiler, H. Dickow,(a cura di) Entwicklung als Beruf, Baden-Baden, 2009, p. 485-496.
[18] Cfr. D. De Pretis, op. cit., p. 178 e, soprattutto, sul punto la nota 17 ove è riportato un passo di C. Mortati, Discrezionalità, voce in Nov. Dig. it., Torino, 1964, p. 1108, secondo il quale, infatti, per discrezionalità tecnica deve intendersi un apprezzamento “esplicabile sulla base di regole o cognizioni desunte da scienze esatte o da arti che ne costituiscono applicazione”.
[19] Cfr. in questo senso, sui caratteri della discrezionalità, M. S. Giannini, Istituzioni di diritto amministrativo, Milano, 2000, p. 265 e ss.; ma si richiamano anche A. Piras, Discrezionalità amministrativa, voce in Enc. dir., Milano, 1964, p. 69 e ss., e, ancora, in. M. S. Giannini, Il potere discrezionale della pubblica amministrazione, Milano, 1939, p. 28 e ss.; M. S. Giannini, Lezioni di diritto amministrativo, Milano, 1958, p. 97 e M. S. Giannini, Diritto amministrativo, Milano, 1988.
[20] Cfr. E. Casetta, op. cit., p. 484 e ss.
[21] Cfr. D. De Pretis, op. cit., p. 291 e ss. ed in particolar modo p. 292 che richiama F. Ledda, Potere, tecnica e sindacato giudiziario sull’amministrazione pubblica, in Dir. proc. amm., 1983, p. 371 ss. Per una definizione di policy nella letteratura anglosassone cfr. D. Easton, The Political System, New York, 1953, p. 130, secondo il quale: “A policy consists of a web of decisions and actions that allocate values”, nonché C. Ham, Health Policy in Britain, Basingstoke, 2009, p. 131 e ss.
[22] Cfr. M. S. Giannini, Istituzioni di diritto amministrativo, cit., p. 267.
[23] In senso incompatibile però cfr. già M. S. Giannini, Il potere discrezionale della pubblica amministrazione cit., p. 166 e ss. e anche M. S. Giannini, L’interpretazione dell’atto amministrativo e la teoria giuridica generale dell’interpretazione, Milano, 1939 richiamati entrambi in S. Cognetti, op.cit., p. 300 il quale indica altresì, circa le progressive aperture della dottrina verso un sempre più penetrante sindacato sul fatto, F. Levi, L’attività conoscitiva della pubblica amministrazione, Torino, 1967 ed anche da ultimo M. P. Guerra, Funzione conoscitiva e pubblici poteri, Milano, 1996.
[24] Che anche il momento della predisposizione dei modelli d’indagine amministrativa scientifico-istruttoria debba plasmarsi sul principio di ragionevolezza viene confermato in dottrina, tra gli altri, da F. Astone, Il principio di ragionevolezza, in M. Renna, F. Saitta (a cura di), Studi sui principi del diritto amministrativo, Milano 2012, p. 371 e ss. per il quale a p. 377: “ …il principio di ragionevolezza comprende, nella sua area di operatività, anche ulteriori aspetti, che attengono all’esito del processo decisionale, alle premesse della decisione, ossia all’esatta ed esauriente ricerca e valutazione dei fatti costituenti i presupposti dell’intervento decisionale, alla individuazione, ponderazione, raffronto e contemperamento degli interessi rilevanti, nonché alla individuazione concreta del fine, e quindi all’adeguamento della finalità astrattamente prevista dalla legge alle peculiarità del caso concreto. Ed allora, di fronte ad una serie di premesse già determinate, costituite da fatti appurati in un certo modo, da interessi ponderati e contemperati in una determinata manierae da un fine individuato concretamente, l’esito, ossia il contenuto della decisione, per quanto discrezionale, rappresenterà una soluzione quasi obbligata, proprio perché condizionata dalle premesse, il cui combinarsi darà luogo, nell’osservanza delle regole di coerenza e non contraddittorietà, ad una circoscritta gamma di decisioni possibili e ragionevoli.”
[25] Cfr. D. De Pretis, op. cit., p. 178. Per M. S. Giannini, Lezioni di diritto amministrativo, cit., p. 48, sempre riportato nella medesima opera di D. De Pretis, op. cit., p. 178, il carattere tecnico della discrezionalità tecnica si sintetizza nella “tecnicità delle regole da applicare”, “assumendo tendenzialmente la valenza positiva di carattere scientificamente condizionato della valutazione”.
Appare chiaro, quindi, che in questo contesto valutativo dell’amministrazione non può esservi spazio per il contemperamento degli interessi poiché, appunto, la valutazione è già scientificamente condizionata dalla metodologia conoscitiva prescelta.
[26] Cfr. peraltro in merito alla circolarità della comprensione attraverso il linguaggio nell’opera interpretativa della disposizione normativa L. Benvenuti, op. cit., p. 181 e ss.
[27] Per realizzazione legittima della funzione si intende un esercizio del potere che, nel dare attuazione alle norme, sia tutto coerente con le finalità che esse perseguono.
In quest’ottica anzitutto predisponendo metodologie d’indagine scientifica, o la loro combinazione reciproca, che consentano di pervenire alla conoscenza esaustiva della questione scientifica da decidere e permettano, di conseguenza, la cura ottimale (S. Cognetti, op.cit., in particolare, p. 294 e ss. – e quindi anche proporzionale nel senso di i) idonea rispetto al raggiungimento del fine, ii) necessaria nel senso di più mite a parità di risultato e iii) proporzionale in senso stretto nel senso di bilanciata fra il livello di qualità del fine da realizzare e livello tendenzialmente massimo di mitezza del mezzo da adottare) dell’interesse pubblico in relazione alle diverse situazioni oggettive esistenti, così come ai diversi scopi scientifici ed istituzionali da perseguire (cfr. peraltro anche l’orientamento della CGUE [X e Y v Riksskatteverket C-463/00 [2002] ECR I-10892 e Commission of the European Communities v United Kingdom of Great Britain and Northern Ireland C-98/01 [2003] ECR I-04641] per la quale il ‘principio di proporzionalità è violato anche in ragione dell’impossibilità oggettiva di applicarlo concretamente mancando quei parametri legislativi che ne possano consentire l’effettiva operatività’ così riportato in S. Cognetti, op. cit., p. 310).
Sulla interconnessione dei diversi aspetti logici dei modelli statistici d’indagine con gli assunti decisionali presupposti cfr. le considerazioni svolte nel quarto capitolo e ancora in particolare J. Sprenger, op. cit., p. 250.
[28] Cfr. G. Greco, L’atto amministrativo condizionato, Torino, 2013, p. 77 e ss. in particolare p. 87 e ss.
[29] Cfr. sulla tematica, ad esempio, E. Nagel, La struttura della scienza, Milano, 1968, p. 570; M. Bunge, Causalità, Torino, 1970, p. 68 e ss. richiamati entrambi da F. Stella, Leggi scientifiche e spiegazione causale nel diritto penale, Milano, 2000, p. 116 e ss.; ma anche I. M. Copi, C. Cohen, op. cit., p. 487 e ss.
[30] Basti pensare a questo proposito alle diverse impostazioni ipotetico-deduttive od induttive (rispettivamente riferibili ai modelli statistici frequentisti o bayesiani) circa il riscontro sperimentale dei profili di efficacia o sicurezza riconducibili al medicinale, di cui si tratterà nel proseguo, cfr. B. Osimani, F. Mignini, Causal Assessment of Pharmaceutical Treatments: Why Standards of Evidence Should not be the Same for Benefits and Harms?, in Drug Saf., 38, 2015, p. 1-11 in particolare a p. 2; J. Landes, B. Osimani, R. Poellinger, Epistemology of Causal Inference in Pharmacology – Towards a Framework for the Assessment of Harms, in corso di pubblicazione sull’European Journal for Philosophy of Science; B. Clarke, et al., The evidence that evidence-based medicine omits, in Preventive Medicine, 57, 2013, p. 745-747. Ma anche sull’argomento, in senso ampio, ad esempio, J. Reiss, op. cit.; P. Illary, F. Russo, Causality, Philosophical Theory Meets Scientific Practice, Oxford, 2014; P. Illary, et al., Causality in the science, Oxford, 2011.
– Sul nesso causale tra vaccino e patologia si segnala una recente pronuncia della Corte di Giustizia U.e. in data 21 giugno 2017 nella controversia, N. W. et al., v Sanofi Pasteur M.s.d. s.n.c. et al., C-621/15.
[31] Cfr. ad esempio, B. Osimani, F. Mignini, op. cit.; B. Clarke, et al., op. cit.
[32] Che comprende tanto le dinamiche di riscontro dei fatti, la loro qualificazione in termini evidenziari e la loro valutazione successiva.
[33] Tuttavia, sulla necessaria qualificazione plastica del bene salute ricavata dalla imprescindibile determinazione delle soglie accettabili di rischio richiesta dall’applicazione del principio di precauzione cfr. S. Cognetti, op. cit., p. 73 e ss. in particolare p. 78.
[34] In questo senso cfr. C. Casonato, Evidence Based Law. Spunti di riflessione sul diritto comparato delle
scienze della vita, in BioLaw Journal – Rivista di biodiritto, n. 1, 2014, p. 191 e ss. secondo il quale: “Non pare, anzitutto, che la scienza possa in quanto tale fungere da fonte o formante del diritto, né che possa indicare di per sé la soluzione dei dilemmi posti dalle scienze della vita.”
[35] Sulla tematica pare opportuno segnalare in particolare sulle nozioni di good evidence e di quality information la trattazione di J. Stegenga, Information quality in clinical research, in L. Floridi, P. Illari (a cura di), The philosophy of information quality, London, 2014; ma anche R. Capaner, Philosophy of medicine and model design, in H. Andersen, et al., (a cura di) New challenges to philosophy of science, London, 2013.
[36] Cfr. J. Leong, et al., Benefit-Risk Assessment of Medicines. The Development and Application of a Universal Framework for Decision-Making and Effective Communication, London, 2015, p. 20 e ss.; A. Spina, The regulation of pharmaceuticals beyond the State: Eu and global administrative systems, in E. Chiti, B. G. Mattarella (a cura di), Global administrative law and Eu Administrative law, New York, 2011, p. 249 ss.
[37] J. R. Searle, Mind. A brief introduction, New York, 2004, p. 302-303: “The fact that hydrogen atoms have one electron, for example, was discovered by something called the “scientific method,” but that fact, once discovered, is not the property of science; it is entirely public property. It is a fact like any other. So if we are interested in reality and truth, there is really no such thing as “scientific reality” or “scientific truth.” There are just the facts that we know.”
[38] G. Bateson, Mente e natura. Un’unità necessaria, Milano, 1984, p. 84 e ss. per il quale: «Quando parliamo di sequenze logiche e di sequenze causali usiamo le stesse parole; diciamo: “Se si accettano le definizione e i postulati di Euclide, allora due triangoli che abbiano i tre lati ordinatamente uguali sono tra loro uguali”. E diciamo: “Se la temperatura scende sotto lo zero, allora l’acqua comincia a gelare”. Ma il se … allora del sillogismo logico è molto diverso dal se … allora della causalità. …. Quando le sequenze causali diventano circolari (o più complesse), la descrizione o proiezione di queste sequenze sulla logica, che è atemporale, diventa contraddittoria. Si generano paradossi che la logica pura non può tollerare. Come esempio può andar bene il circuito di un comune campanello, uno degli apparenti paradossi che si producono in milioni di casi di omeostasi ricorrenti in biologia. Il circuito del campanello … è costruito in modo da essere percorso da corrente quando l’armatura fa contatto con l’elettrodo. …; ma il passaggio della corrente attiva l’elettromagnete, il quale attira l’armatura interrompendo il contatto … . Allora la corrente non percorre più il circuito, l’elettromagnete si disattiva e l’armatura torna ristabilire il contatto … facendo ricominciare il ciclo. Descriviamo questo ciclo nei termini di una sequenza causale:
Se si stabilisce il contatto …, allora il magnete viene attivato.
Se il magnete viene attivato, allora il contatto … viene interrotto.
Se il contatto … viene interrotto, allora il magnete viene disattivato.
Se il magnete viene disattivato, allora si stabilisce il contatto.
Questa successione è del tutto soddisfacente purché si intenda chiaramente che i nessi se … allora sono causali. Trasferiti con un bisticcio nel mondo della logica i se e gli allora creerebbero il caos: Se il contatto viene stabilito, allora il contatto viene interrotto.
Se P, allora non-P.
Il se … allora della causalità contiene il tempo, mentre il se … allora della logica è atemporale; ne segue che la logica è un modello incompleto della causalità».
[39] Cfr. sulla tematica, ad esempio, K. R. Popper, The Logic of Scientific Discovery, Londra – New York, 1992, p. 9 e ss.: “the method of critically testing theories, and selecting them according to the results of tests, always proceeds on the following lines. From a new idea, put up tentatively, and not yet justified in any way—an anticipation, a hypothesis, a theoretical system, or what you will—conclusions are drawn by means of logical deduction. These conclusions are then compared with one another and with other relevant statements, so as to find what logical relations (such as equivalence, derivability, compatiblity, or incompatibility) exist between them. We may if we like distinguish four different lines along which the testing of a theory could be carried out. First there is the logical comparison of the conclusions among themselves, by which the internal consistency of the system is tested. Secondly, there is the investigation of the logical form of the theory, with the object of determining whether it has the character of an empirical or scientific theory, or whether it is, for example, tautological. Thirdly, there is the comparison with other theories, chiefly with the aim of determining whether the theory would constitute a scientific advance should it survive our various tests. And finally, there is the testing of the theory by way of empirical applications of the conclusions which can be derived from it.”; vedi anche K. R. Popper, Conjectures and refutations (1969), trad. it., Congetture e confutazioni, Bologna, 2009, p. 92: “la nostra accettazione critica delle teorie scientifiche (è) un’accettazione provvisoria, accompagnata al proposito di rivedere la teoria nel caso che riusciamo a concepire un controllo che essa non è in grado di superare”
[40] In particolare quella di conio europeo che, tramite il suo carattere generico, come si vedrà, persegue anche la funzione istituzionale di una più stretta integrazione del mercato unico e di unione tra i popoli europei (cfr. art. 1 TUE).
[41] Cfr., in termini generali, circa la concezione di sistema giuridico integrato nazionale-europeo tra le molte, la sentenza Van Gend & Loos, Corte di Giustizia UE, 5 febbraio 1963, causa 26/62; la sentenza Costa c. Enel, Corte di Giustizia UE, 15 luglio 1964, causa 6/64; la sentenza Commissione c. Italia, Corte di Giustizia UE, 13 luglio 1972, 48/7; la sentenza Simmenthal, Corte di Giustizia UE, 9 marzo 1978, 106/77; la sentenza Larsy, Corte di Giustizia UE, 28 giugno 2001, C-118/00; inoltre, sull’obbligo di interpretazione conforme del diritto nazionale a quello dell’Unione, tra le molte, la sentenza Marleasing, Corte di Giustizia UE, 13 novembre 1990, causa C-106/89; la sentenza Traghetti del Mediterraneo c. Italia, Corte di Giustizia UE, 13 giugno 2006, C-173/03; la sentenza Adeneler e a., Corte di Giustizia UE, 4 luglio 2006, C-212/2004; a livello nazionale italiano, tra le diverse, Corte Cost., sent. 8 giugno 1984, n. 170, Granital; Corte Cost., sent. 26 marzo 1993, n. 115; Corte Cost., sent. 31 marzo 1994, n. 117; Corte Cost., sent. 13 luglio 2007, n. 284; Corte Cost., ord. 17 dicembre 2008, 415; Corte Cost., sent. 30 aprile 2009, n. 125.
[42] Cfr. S. Battini, L’Unione europea quale originale potere pubblico, in M. P. Chiti (a cura di), Diritto amministrativo europeo, Milano, 2013, p. 7 e ss.: “Secondo la teoria neofunzionalista, l’unificazione politica europea non sarebbe stata il frutto di una scelta politica ‘costituente’, bensì lo sbocco, in un certo senso inevitabile e ‘meccanico’, di un percorso che agisce sul piano degli interessi materiali e che muove dall’interdipendenza economica. L’integrazione economica in settori limitati via via si sarebbe estesa, seguendo un meccanismo detto di ‘spill-over’ ad altri settori; ciò avrebbe creato una saldatura di interessi attraverso le frontiere nazionali; gruppi d’interesse transnazionali avrebbero poi spinto a trasferire progressivamente maggiori funzioni e poteri alle istituzioni europee, meglio in grado di tutelarli; tali istituzioni avrebbero a loro volta agito per accelerare il processo d’integrazione; ecc.”; e ancora, P. Uri, Ce qui se réalise, in Hommes et Commerce, gennaio – febbraio, 1955, p. 82: “The effort contrasting sector integration with general economic integration is a vain one. The common market for coal and steel by itself contributes decisively to the producers and consumers of coal and steel. But at the same time it offers the opportunity for stating and effectively solving the problems of creating an integrated European economy suitable to the modern world.”, così riportato da E. B. Haas, The uniting of Europe: political, social and economic forces, 1950-1957, Notre Dame – USA, 1958, p. 283 e ss.
[43] Cfr. G. Greco, L’atto amministrativo condizionato, Torino, 2013, p. 77 e ss.
[44] Per quanto di rilievo nel sindacato giurisdizionale amministrativo, si indica in merito all’essenza logica del giudizio la dottina civilistica C. Mandrioli, Diritto processuale civile I, Torino, 2011, p. 91 e ss. e la bibliografia ivi indicata tra cui, in particolare, G. Calogero, La logica del giudice ed il suo controllo in Cassazione, Padova, 1937; F. Carnelutti, Diritto e processo, Napoli, 1958, p. 212 e ss.; ed anche, più recentemente, A. Caratta, Il diritto come discorso e la funzione dimostrativa della prova. A proposito del libro di Aurelio Gentili, in Diritto e questioni pubbliche, 14, 2014, p. 169 e ss.; A. Gentili, Il diritto come discorso, Milano, 2013.
[45] Cfr. anche F. Ledda, Potere, tecnica e sindacato giudiziario sull’amministrazione pubblica, in Dir. proc. amm., 1983, p. 371 ss., in particolare a proposito il paragrafo 3. Cfr. anche le considerazioni a proposito in S. Cognetti, Principio di proporzionalità. Profili di teoria generale e di analisi sistematica, Torino, 2011, p. 297 e ss.
[46] G. Greco, op. cit., p. 91 e ss.
[47] Cfr. per l’applicazione del principio relativo alla stretta necessità delle misure precauzionali rispetto alla valutazione scientifica del rischio, nella giurisprudenza italiana, che richiama quella europea, ad esempio, Cons. Stato, Sez. V, 10 settembre 2014, n. 4588 che si rifà a Cons. Stato, Sez. V, 27 dicembre 2013, n. 6250, entrambe richiamate in S. Spuntarelli, Normatività del principio di precauzione nel processo decisionale dell’amministrazione e legittimazione procedurale, in Costituzionalismo.it, 3, 2014, nota 83, secondo le quali: “a) il principio di precauzione costituisce uno dei fondamenti della politica dell’Unione Europea e dello Stato Italiano…; l’individuazione dei tratti giuridici del principio viene sviluppata lungo un percorso esegetico fondato sul binomio analisi dei rischi-carattere necessario delle misure adottate; le misure precauzionali infatti presuppongono che la valutazione dei rischi di cui dispongono le autorità rilevi indizi specifici i quali, senza escludere l’incertezza scientifica, permettano ragionevolmente di concludere, sulla base dei dati disponibili che risultano maggiormente affidabili e dei risultati più recenti della ricerca internazionale, che l’attuazione di tali misure è necessaria al fine di evitare pregiudizi all’ambiente o alla salute…”.
– Cfr. a questo proposito anche la Comunicazione della Commissione sul Principio di Precauzione, Bruxelles, 2.2.2000 COM(2000) 1 final, reperibile on line all’indirizzo web http://eurlex.europa.eu/ legalcontent/IT/TXT/PDF /?uri=CELEX:52000DC0001&from=IT al Punto 5.1 – I fattori che attivano il ricorso al principio di precauzione secondo il quale: : “… È opportuno rilevare … che il principio di precauzione non può in nessun caso legittimare l’adozione di decisioni arbitrarie… Una valutazione scientifica degli effetti potenzialmente negativi dovrebbe essere adottata sulla base dei dati disponibili nel momento in cui si considera se siano necessarie misure volte a proteggere l’ambiente e la salute umana, animale o vegetale… . Ciò richiede dati scientifici affidabili e un ragionamento rigorosamente logico che porti ad una conclusione la quale esprima la possibilità del verificarsi e l’eventuale gravità del pericolo sull’ambiente o sulla salute di una popolazione
data, compresa la portata dei possibili danni, la persistenza, la reversibilità e gli effetti ritardati.”
[48] Cfr. sulla tematica, tra i diversi, E. Chiti, B. G. Mattarella, Global Administrative Law and EU Administrative Law, London – New York, 2011; L. Casini, Diritto amministrativo globale, in Dizionario di diritto pubblico (a cura di) S. Cassese, Milano, 2006, p. 1944; S. Ulrich, Legal order in a global world – the development of a fragmented system of national, international and private norms, in B. von Armin Bogdandy, R. Wolfrum (a cura di), Max Planck Yearbook of United Nations Law, Vol. 14, Leiden, 2010; N. Chowdhury, European Regulation of Medical Devices and Pharmaceuticals, London, 2014.
[49] Nella estesa bibliografia in argomento si segnalano, in particolare, S. Cassese, Lo spazio giuridico globale, Roma – Bari, 2003; M. W. Bauer, J. Trodal, The Palgrave Handbook of the European Administrative System, Basingstoke, 2015; R. A.Wessel, J. Wouters, The phenomenon of multilevel regulation, in R. A. Wessel, J. Wouters (a cura di), Multilevel regulation and the EU: the interplay between global, European and national normative processes, Leiden, 2008; C. Schreuer, The Waning of the Sovereign State: Towards A New Paradigm for International Law?, in Eur. J. Int. L., 4, 1993, p. 447-471 e, in particolare, p. 453.
[50] Cfr. L. Casini, op., cit. p. 1947 e ss.; N. Krisch, B. Kingsbury, Introduction: Global Governance and Global Administrative Law in the International Legal Order, in Eur. J. Int. Law, 17.1, 2006.
[51] Tra i diversi K. H. Ladeur, Towards a legal theory of supranationality – The viability of the network concept, in European Law Journal, 1 (3), 1997, p. 33 – 54; ma cfr. anche A. Van Staden, H. Vollaard, The erosion of state sovereignity: towards a post-territorial world, in G. Kreijen (a cura di), State, sovereignity and international governance, Oxford, 2002; N. Mac Cormick, Questioning sovereignty, Oxford, 1999; G. Teubner, Global law without a state, Dartmouth, 1997; J. Kooiman, Governing as governance, London, 2003.
[52] N. Chowdhury, op. cit., p. 10 e ss.; N. Krisch, Pluralism in Global Risk Regulation: The Dispute over GMOs and Trade, in LSE Law, Society and Economic Working Papers, 17, 2009, reperibile al sito web http://www.lse.ac.uk/collections/law/wps/wps1.htm; L. B. Chazournes, Introduction: courts and tribunals and the treatment of scientific issues, in J. Int. Dispute Settlement, 2012, 3.
[53] Cfr. sul tema J. Abraham, The pharmaceutical industry as a political player, in The Lancet, 360, 2002, p. 1498 – 1502,; U. Beck, La società cosmopolita. Prospettive dell’epoca postnazionale, Bologna, 2003.
[54] N. Chowdhury, op. cit., p. 11.
[55] N. Chowdhury, op. cit., p. 11; ma anche in particolare già H.Ulrich, The State, Science and Techno-Industrial Innovation. A New Model of State Policy and a Changing Role of the State, in H.Ulrich (a cura di), State Policies and Techno-Industrial Revolution, 1991; K. Van Der Pijl, Transnational classes and international relations, London – New York, 1998.
[56] N. Chowdhury, op. cit., p. 3.
[57] P. M. Haas, Introduction: epistemic communities and international policy coordination, in International organization, 46 (01), 1992, p. 1-35.
[58] cfr. anche A. Moravcsik, Liberalism and International Relations Theory, in Working Paper Series, Center for International Affairs, Harvard University, 92-6, 1992 richiamato da B. L. Walser, Shared technical decisionmaking and the disaggregation of sovereignty: international regulatory policy, expert communities, and the multinational pharmaceutical industry, in Tulane Law Review, 72, 1998, p. 1597.
[59] M. Castells, G. Cardoso (a cura di), The Network Society: From Knowledge to Policy, Washington, 2005.
[60] K. H. Ladeur, op. cit., p. 47 e ss.
[61] Secondo le dinamiche descritte da K. H. Ladeur, op. cit., p. 48.
[62] B. L. Walser, op. cit., p. 1626; J. Abraham, op. cit., p. 1500; con il termine “politico” ci si riferisce all’attività teorica e pratica attinente il governo di una comunità, sia essa locale o globale, sulla base di scelte compiute secondo criteri che racchiudono e realizzano giudizi di valore.
[63] Cfr. sul punto anche J. L. Valverde, Pharmaceuticals and health policy in the context of the new EU Treaty, in Pharmaceuticals Policy and Law, 6, 2005, p. 3 – 21; peraltro, l’europeizzazione della tutela della salute è avvenuta, oltre che in conseguenza dell’interpretazione della Corte di Giustizia europea del diritto alla libera circolazione delle merci, anche a causa delle problematiche di latitudine sovranazionale connesse alla carenza di regolamentazione di controllo del settore farmaceutico (si pensi alla tragedia del Talidomide) cfr. G. Permanand, E. Vos, EU regulatory agencies and health protection, in E. Mossialos, et al., (a cura di), Health Systems Governance in Europe, Cambridge, 2010, p. 154 e ss.
[64] Cfr. Commission Comunication on the Single Market in Pharmaceuticals, COM (98) 588; COM (93) 718.
[65] Nello specifico, assistono il corpo normativo primario una serie di disposizioni di soft law quali, tra le altre, quelle incluse nella pubblicazione “The Rules governing medicinal products in the European Union”, Volume 2 e 6 (Notice to Applicants and regulatory guidelines); Volume 3 e 7 (Scientific guidelines); Volume 4 (GMP guidelines); Volume 8 (Maximum Residue Limits); Volume 9 (Pharmacovigilance guidelines); Volume 10 (clinical trials guidelines); cfr. J. A. Molzon, The Value and Benefits of the International Conference on Harmonisation (ICH) to Drug Regulatory Authorities: Advancing Harmonization for Better Public Health, in J. W. van der Laan, J. J. DeGeorge (a cura di), Global Approach in Safety Testing – ICH Guidelines Explained, New York, 2013, p. 23; cfr. inoltre, ad esempio, l’ottavo considerando della Direttiva 2001/83/CE che così recita: “Le norme e protocolli per l’esecuzione delle prove sui medicinali, che costituiscono un mezzo efficace per il controllo dei medesimi e, pertanto, per la salvaguardia della salute pubblica, sono atti a facilitare la circolazione dei medicinali in quanto fissano regole comuni per l’esecuzione delle prove, la costituzione dei fascicoli e l’istruzione delle domande.”
[66] J. A. Molzon, op. cit., p. 25.
[67] Cfr. J. A. Molzon, op. cit., p. 24: “Dr. Loew’s report anticipated that the Common Technical Document (CTD) would revolutionize the submission procedures for industry’s regulatory staff. Dr. Loew characterized the CTD as “offering potential benefits to industry far greater than any other single ICH topic” and predicted the CTD would afford significant savings in time and resources as complex multiple submissions were replaced by a single technical dossier submitted in the three ICH regions—facilitating simultaneous submission, approval, and launch of new drugs. In calling the CTD “a topic whose value to industry cannot be underestimated,” Dr. Loew noted that with full incorporation of the CTD and the electronic CTD (eCTD), ICH could turn its sights to disseminating guideline information to non-ICH countries, yielding additional benefits to both regulators and industry.”; J. Abraham, op. cit., p. 1500.
[68] Relativi, rispettivamente, alla documentazione da allegare all’istanza di autorizzazione all’immissione in commercio, alla sussistenza delle condizioni per il rilascio dell’autorizzazione, alle condizioni per il rifiuto dell’autorizzazione al commercio.
[69] Un’altra disposizione di centrale importanza nell’analisi in oggetto è rappresentata, ad esempio, dall’art. 7 del Regolamento n. 726/2004/CE, il quale espressamente dispone che: “Ai fini dell’elaborazione del parere, il comitato per i medicinali per uso umano: a) verifica che le informazioni e i documenti presentati a norma dell’articolo 6 siano conformi ai requisiti della direttiva 2001/83/CE ed esamina se ricorrano le condizioni alle quali il presente regolamento assoggetta il rilascio dell’autorizzazione all’immissione in commercio;
b) può chiedere ad un laboratorio ufficiale di controllo dei medicinali o ad un laboratorio designato a tal fine da uno Stato membro di testare il medicinale per uso umano, le sue materie prime e, se necessario, i prodotti intermedi o altri componenti, per assicurare che i metodi di controllo utilizzati dal fabbricante, e descritti nella domanda, siano soddisfacenti; …”
[70] Cfr. P. Craig, EU Administrative Law, Oxford, 2012, p. 431 e ss.
[71] Cfr., ad esempio, la CHMP – Guideline on the choice of non-inferiority margin in data 27 luglio 2005, Doc. Ref. EMEA/CPMP/EWP/2158/99 per la quale al Punto 3 – Demonstrating efficacy: “When data from trials designed to show superiority of a test product over placebo are being interpreted, an informal two-stage procedure is employed involving the consideration of both statistical significance and clinical relevance. The same two-stage procedure can be used for interpreting non-inferiority trials. In a superiority trial, it would first be expected that the test product demonstrated a statistically significant advantage over placebo. This relates to the ‘statistical reasoning’ stage of the ICH E10 combination of ‘both statistical reasoning and clinical judgement’. Statistical significance is generally assessed using the two-sided 0.05 level of significance (or one- sided 0.025). An alternative way of stating this requirement is that the lower bound of the two-sided 95% confidence interval (or one-sided 97.5% interval) for the difference between active and placebo should be above zero.”
[72] In particolare cfr. l’ICH Harmonised Tripartite Guideline Statistical Principles For Clinical Trials E9 (on line all’indirizzo http://www.ich.org/products/guidelines/efficacy/article/efficacy-guidelines.html), in data 5 febbraio 1998, implementata anche in area UE (adottata dalla CPMP nel marzo 1998 – CPMP/ICH/363/96), la quale, al Punto 1.2. – “Scope and Direction” specifica chiaramente come: “The focus of this guidance is on statistical principles. It does not address the use of specific statistical procedures or methods. Specific procedural steps to ensure that principles are implemented properly are the responsibility of the sponsor.”
[73] Cfr. Nycomed Danmark ApS v Agence européenne des médicaments (EMEA), T-52/09, sentenza del Tribunale I grado UE 14 dicembre 2011, nel proseguo considerata più diffusamente.
[74] Cfr. ad esempio, sullo specifico tema il tenore del Punto 3.3 – Interfaccia con la “Consulenza scientifica” – della Proposta di Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio, concernente la sperimentazione clinica di medicinali per uso umano, e che abroga la direttiva 2001/20/CE, in data 18 settembre 2012, secondo il quale: “il coinvolgimento delle autorità di regolamentazione nel contesto della consulenza scientifica è concettualmente tutt’altra questione rispetto all’autorizzazione di una sperimentazione clinica: mentre nel primo caso si stabilisce quali dati clinici siano auspicabili per l’eventuale concessione o conferma di un’autorizzazione all’immissione in commercio in una fase successiva, nel secondo di stabilisce se una sperimentazione clinica sia accettabile in considerazione dei diritti e della sicurezza dei pazienti, nonché dell’affidabilità e della solidità dei dati…” e ancora “la legislazione dell’UE in materia di sperimentazione clinica si occupa delle sperimentazioni cliniche in maniera astratta, cioè indipendentemente dal fatto che i risultati siano destinati a essere utilizzati ai fini di una futura domanda di autorizzazione all’immissione in commercio…”
[75] Cfr. il ventitreesimo considerando del Regolamento n. 536/2014 del Parlamento Europeo e del Consiglio in data 16 aprile 2014
relativo ala sperimentazione clinica di medicinali per uso umano e che abroga la direttiva 2001/20/CE: “Le sperimentazioni cliniche sono generalmente soggette a numerose modifiche successivamente alla loro autorizzazione. Tali modifiche possono riguardare la conduzione, il disegno, la metodologia, il medicinale sperimentale o il medicinale ausiliario, lo sperimentatore o il sito di sperimentazione clinica. Qualora abbiano un notevole impatto sulla sicurezza o sui diritti dei soggetti oppure sull’affidabilità e la robustezza dei dati ottenuti dalla sperimentazione clinica, tali modifiche dovrebbero essere sottoposte a una procedura di autorizzazione simile a quella iniziale.“
[76] Cfr., in particolare sul punto, A. Spina, The regulation of pharmaceuticals beyond the State: Eu and global administrative systems, in E. Chiti, B. G. Mattarella (a cura di), Global Administrative Law and Eu Administrative Law, New York, 2011, p. 264 – 265, secondo il quale: “The global and EU legal administrative systems find a marked limitation in the possibility to envisage a viable process to perform a single global evaluation of the risk-benefit of pharmaceutical products. While the ICH has achieved harmonization of scientific standards, it is not equipped in its current form to perform a harmonized evaluation of pharmaceutical products. A scientific evaluation of the risk-benefit of a pharmaceutical product takes into account intrinsic and extrinsic factors that are dependent on the territory in which the products, after the granting of the authorization, have to be put into the market. Moreover, the risk-benefit evaluation represents a preventive form of assessment that is indissolubly linked, even if only in principle and theoretically distinguished, with the risk management phase that is the remit of politically accountable governments. The acceptance of supranational decisions that could have such an impact on the public health of millions of citizens cannot be reached by a mere transfer of sovereign powers to technocratic bodies that are independent from elected parliaments and detached from national governments.”
[77] E. H. Ahrens, The Crisis in Clinical Research: Overcoming Institutional Obstacles, New York, 1992.
[78] Si noti, ad esempio, che la predisposizione del modello ‘documento tecnico comune’ (CTD) per la presentazione dell’istanza di AIC, che poi ha modificato radicalmente i criteri, le modalità ed i processi amministrativi di revisione delle richieste di autorizzazione, è frutto dell’iniziativa promossa da rappresentanti tecnico-scientifici dell’industria farmaceutica alla finalità di ridurre i tempi e le risorse necessitate per lo sviluppo dei medicinali, cfr. J. A. Molzon, op. cit., p. 24 e ss.: “In summary, the CTD format influences the content of the review by imposing a consistent order of information and data. This shapes both the conduct of the review and the presentation of the results of the review and promotes good review practices and increased efficiencies.”
– Cfr. altresì l’Allegato I alla Direttiva 2001/83/CE – Introduzione e principi generali – ai punti (3) – “La presentazione informato CTD della Comunità europea si applica a tutti i tipi di domande di autorizzazione all’immissione in commercio, indipendentemente dalla procedura prevista (centralizzata, di mutuo riconoscimento o nazionale) e dal fatto che la domanda sia completa o semplificata….” e (4) – “Nella preparazione del dossier di domanda di autorizzazione all’immissione in commercio i richiedenti devono anche tener conto degli orientamenti/linee guida scientifici in materia di qualità, sicurezza ed efficacia dei medicinali per uso umano, adottati dal comitato per le specialità medicinali (CPMP: Committee for Proprietary Medicinal Products) e pubblicati dall’Agenzia europea di valutazione dei medicinali (EMEA: European Medicine Evaluation Agency) e degli altri orientamenti/linee guida in campo farmaceutico stabiliti dalla Comunità, pubblicati dalla Commissione nei diversi volumi della raccolta La disciplina relativa ai medicinali nella Comunità europea.”
Le linee guida scientifiche in materia di qualità, sicurezza ed efficacia dei medicinali per uso umano adottate e pubblicate a livello istituzionale europeo in svariate occasioni sono state redatte sulla base di quelle definite nell’ambito ICH, oppure vi fanno espresso riferimento, e devono essere considerate alla luce delle impostazioni tecnico-scientifiche ivi definite; cfr. il sito ICH ove sono riportate le date ed i provvedimenti di implementazione delle singole linee guida ICH da parte delle varie Autorità di regolamentazione delle tre aree di mercato occidentali e nipponica http://www.ich.org/products/guide lines.html.
– Cfr. anche il Punto 4.1. – Selection of the topics and the inclusion in the EMEA work programme della EMEA – Procedure for european union guidelines and related documents within the pharmaceutical legislative framework, in data 18 marzo 2009, Doc. Ref. EMEA/P/24143/2004 Rev. 1 corr, secondo il quale: “Input for guidelines for work programmes may also be received from the Member States, members of the scientific committees, within the framework of international activities as well as from interested parties (e.g. the European pharmaceutical industry, European human and animal health professional groups, learned societies, patients’ associations etc).”
[79] J. W. van der Laan, J. J. De George, op. cit., p. 2.
[80] cfr. la pagina web istituzionale al sito http://www.ich.org/about/process-of-harmonisation.html.
[81] Cfr. S. Wirtz, The regulation of pharmaceutical products for human use in an ever more globalised market, Master Thesis in European Law and Globalisation and Law, Maastricht University
, 2010, come riportata in A. Spina, op. cit., p. 259.
[82] J. W. van der Laan, J. J. De George, op. cit., p. 2; J. Abraham, op. cit., p. 1500.
[83] Cfr. A. Spina, op. cit., p. 258 e ss.
[84] Cfr. ad esempio la ICH Topic E8 – General Considerations for Clinical Trials della CPMP (ora CHMP – Commissione per prodotti medicinali ad uso umano) adottata nel marzo del 1998, ref. CPMP/ICH/291/95. Cfr. anche in particolare i punti 1 e 2 dell’Introduzione e principi generali dell’Allegato I alla Direttiva 2001/83/CE secondo i quali: “(1) Le informazioni e i documenti allegati alla domanda di autorizzazione all’immissione in commercio ai sensi degli articoli 8 e 10, paragrafo 1, devono essere presentati conformemente a quanto stabilito in questo allegato e devono attenersi alla guida pubblicata dalla Commissione nella raccolta La disciplina relativa ai medicinali della Comunità europea, volume 2 B, guida ad uso dei richiedenti, medicinali per uso umano, presentazione e contenuto del dossier, Documento tecnico comune (CTD = Common Technical Document).
(2) La presentazione delle informazioni e dei documenti va effettuata mediante cinque moduli: il modulo 1 fornisce dati amministrativi specifici per la Comunità europea; il modulo 2 riassunti relativi alla parte di qualità, alla parte non clinica e alla parte clinica; il modulo 3 informazioni chimiche, farmaceutiche e biologiche; il modulo 4 relazioni non cliniche e il modulo 5 relazioni di studi clinici. Tale presentazione costituisce l’attuazione di un formato comune a tutte le aree ICH (Comunità europea, USA, Giappone). I cinque moduli devono essere presentati in modo rigorosamente conforme al formato, al contenuto e al sistema di numerazione specificati nel volume 2 B, guida ad uso dei richiedenti, precedentemente citato.”
[85] Attualmente, dopo il Trattato di Lisbona e con l’introduzione degli articoli 290 e 291 del TFUE, si hanno, più precisamente, atti legislativi, adottati mediante procedura legislativa (289 TFUE), ed atti non legislativi con portata generale denominati atti delegati ed, infine, atti di implementazione. Cfr. a proposito del sistema di comitologia P. Craig, op. cit., p. 109 e ss. ed, in particolare sulle novità introdotte a proposito con il Trattato di Lisbona, le p. 124 e ss. ma anche C. F. Bergström, D. Ritleng, Rulemaking by the European Commission: The New System for Delegation of Powers
, Oxford, 2015.
[86] R. Barker, Legitimating Identities, the Self-Presentations of Rulers and Subjects, Cambridge, 2001, p. 2 richiamato da C. Harlow, The Concepts and Methods of Reasoning of the New Public Law: Legitimacy, in LSE Law, Society and Economic Working Papers, 19, 2010, reperibile al sito web http://www.lse.ac.uk/collections/law/wps/wps1.htm.
[87] C. Harlow, op. cit., p. 13.
[88] Cfr. il sito web istituzionale dedicato della Commissione europea http://ec.europa.eu/smart-regulation/index_en.htm; C. Harlow, op. cit., p. 16.
[89] Sulla tematica della formazione degli atti delegati e di implementazione ex artt. 290 e 291 TFUE, cfr. J. Mendes, The Making of Delegated and Implementing Acts, in C. F. Bergström, D. Ritleng, Rulemaking by the European Commission: The New System for Delegation of Powers
, Oxford, 2015.
[90] In senso critico J. H. H. Weiler, In the Face of Crisis: Input Legitimacy, Output Legitimacy and the Political Messianism of European Integration, in Journal of European Integration, 34(7), 2012, p. 825-841; cfr. anche per i procedimenti di adozione delle linee guida in ambito farmaceutico il Punto 4 – Procedure for drafting a guideline e seguenti della EMEA – Procedure for European Union guidelines and related documents within the pharmaceutical legislative framework, in data 18 marzo 2009, Doc. Ref. EMEA/P/24143/2004 Rev. 1 corr.
[91] Cfr., in particolare, C. Harlow, op. cit., p. 12 ss. ed in senso critico anche W. Wessel, Comitology as a Research Subject: A new Legitimacy Mix, in C. Joerges, E. Vos (a cura di), Eu Committees: Social Regulation, Law and Politics, Oxford, 1999 richiamato in P. Craig, op. cit., p. 111 e 121. Per considerazioni critiche sulla natura ed effettività del controllo anteriore e posteriore del Parlamento Europeo e del Consiglio sugli atti delegati cfr. ancora P. Craig, op. cit., p.128 e ss.
[92] Peraltro, nel sistema europeo degli atti non legislativi delegati, cfr. la Comunicazione della Commissione Implementation of Article 290 of the Treaty on the Functioning of The European Union, COM (2009) 673 final per la quale al Punto 4.2: “The Commission attaches the highest importance to this work, which makes it possible to establish an effective partnership at the technical level with experts in the national authorities. However, it should be made clear that these experts will have a consultative rather than an institutional role in the decision-making procedure. At the end of the consultations, the Commission will inform the experts of the conclusions it believes should be drawn from the discussions, its preliminary reactions and how it intends to proceed.”
[93] “La società storica si differenzia dalla società arcaica appunto perché pone al potere problemi di giustificazione, di controllo, di garanzie che non avrebbero significato se il comando si esprimesse come condizionamento deterministico e se l’obbedienza si presentasse come adeguazione passiva” così A. Zanfarino, Potere, voce in Enc. Dir., Milano, 1985, p. 600. Cfr. nella vastissima bibliografia sull’argomento si indicano per una sintesi A. Zanfarino, op. cit., p. 599 e ss.; R. Treves, Potere, voce in Nov. Dig. It., Torino, 1957, p. 436 e ss.; J. Gil, Potere, voce in Enc. Einaudi, Vol. X, Torino, 1980; R. Guardini, Il potere, Brescia, 1963; S. Cassese (a cura di), Trattato di diritto amministrativo, Vol. 1, Milano, 2000, p. 681 e ss.
[94] Questo passaggio teorico fondamentale è figlio della speculazione scientista e deterministica dell’epoca dei lumi. Esso appare evidente con il superamento dell’ordine teocratico medioevale, per il quale omnis potestas a deo, e con l’affermazione progressiva di un ordine vieppiù ‘democratico’, coinvolgente, in un primo tempo, i vari ceti nobiliari e poi, in progressione, per ambiti d’estensione e censo, anche il resto della popolazione.
In particolare, ad un criterio giustificativo del potere di ordine qualitativo, se ne è sostituito uno di tipo quantitativo il quale, nei sistemi democratici, è dato dalla forza del numero della maggioranza.
(Cfr. anche C. Schmitt, La rivoluzione legale mondiale. Plusvalore politico come premio alla legalità e superlegalità giuridica, in C. Schmitt, Stato, grande spazio, nomos, Milano, 2015, p. 453 e ss. per il quale: “A partire dal presidente Woodrow Wilson, fondatore della Società delle Nazioni ginevrina, la legittimità ha smesso di essere il requisito specifico della monarchia ereditaria: la legittimità dinastica ha ceduto il passo alla legittimità democratica. Nello stesso tempo i corrispondenti antagonismi si sono trasformati in requisiti democratici.”)
Per tale evoluzione, alla quale in buona sostanza corrisponde il netto superamento della prospettiva cosmica della impostazione tomistico – aristotelica da parte delle posizioni razionaliste nominaliste, non ha più rilievo, per la giustificazione del potere, l’originaria concezione della dinamica causa – effetto.
Secondo il pensiero meccanicistico e deterministico proprio delle scienze dell’epoca moderna, infatti, si afferma il concetto per cui origine ed esistenza di un identico substrato naturale si distinguono solamente sotto la prospettiva temporale, cosicché ‘realtà producente’ e ‘prodotto’ appartengono al medesimo ‘tipo’ (cfr. P. S. Laplace, Mecanique céleste, Boston, 1824 e P. S. Laplace, Exposition du systéme du monde, Bruxelles, 1827 interessante notare come nella descrizione fatta dall’Autore la situazione contingente del mondo rappresenta solamente un momento transeunte nel processo di continuo mutamento della sua configurazione. Tutte queste nuove configurazioni che si delineano sono tra esse equivalenti “come sezioni dell’ora attraverso la costante somma di moto e materia. Per questo ogni scelta di una di esse come inizio è tanto arbitraria quanto quella di un’altra come fine, e di fatto come la scelta dello stato esistente quale intenzione del creatore. Ogni momento nel tempo fornisce allo stesso modo, con i suoi dati di corpi, posizioni e forze, la base da cui si possono calcolare gli stati di ogni altro momento all’indietro e in avanti. Per l’intelletto illimitatamente analitico ipotizzato da Laplace la gigantesca equivalenza di un attimo comprende l’intera storia del mondo in passato e futuro. Il mondo viene concepito da allora come storia complessiva della materia e non più come un determinato ordine della materia” così H. Jonas, Organismo e libertà – Verso una biologia filosofica, Torino, 1999, p. 53 e ss.)
[95] Cfr. anche C. Schmitt, op. cit., p. 454 per il quale, già in riferimento alla legittimità statale: “Legittimità vuole significare la formula dell’identità e dell’autorappresentazione morale o ideologica dell’ordinamento statale. Da quando esistono le costituzioni scritte, l’autore della costituzione cerca di sanzionare la propria identità mediante dichiarazioni solenni come invocazioni rivolte a Dio, formule morali o ideologiche, fissandole per iscritto in preamboli. Un eccellente dissertazione del giurista greco Ion Contiades … dà un’idea di questo bisogno di prestigio degli Stati attuali, che in tal modo si legittimano da sé.”
[96] Cfr. H. Jonas, op. cit., p. 52 e ss. Eliminata qualunque differenza ontologica tra questi due elementi si ha oggi che essere viene a coincidere con azione e processo in quanto fondati entrambi sull’unico elemento comune del dato dinamico razionalmente coerente, peraltro già alla base di tutta la speculazione illuminista sul sistema giuridico.
[97] Cfr. B. Chwedeńczuk, Coerenza, voce in Enc. Einaudi, Vol. III, Torino, 1978.
[98] Tale riflessione la si ritrova, ad esempio, già nella deduzione strutturale e funzionale del corpo politico di Hobbes e poi, altresì, nella sua riflessione sul meccanicismo politico della riduzione della potentia a potestas, in forza della quale il binomio potenza ed atto giunge ad equivalere a quello di causa ed effetto, inteso secondo la concezione vincolata sopra accennata. “Il passaggio dal paradigma aristotelico a quello hobbesiano è dunque il passaggio da una concezione per la quale l’ambito delle possibilità è più ampio di quello della realtà effettuale a una concezione per la quale, invece, la possibilità (potenza) è coestensiva alla realtà (atto) e tutto ciò che è in potenza deve necessariamente tradursi in atto, proprio come accade nell’universo fisico dominato da rapporti meccanici e necessari di causa ed effetto” così C. Altini, Potenza/Atto, Bologna, 2014, p. 124.
[99] A questo riguardo cfr., ad esempio, F. Benvenuti, Funzione amministrativa, procedimento, processo, in Riv. Trim. Dir. Pubb., II, 1952, 1, p. 118 e ss. secondo il quale al paragrafo II: “… il rilevare che il procedimento è la storia causale dell’atto, che esso cioè esprime lo stadio di sviluppo dell’atto, non è darne una qualificazione dal punto di vista oggettivo; ma il rilievo si risolve soltanto in una qualificazione dell’atto, cui conduce il procedimento, secondo il criterio temporale. Appunto perché, secondo il criterio temporale, non può essere qualificato che l’atto in relazione alla sua storia e non la storia in sé. La storia è infatti sempre procedimento e ogni procedimento è storia, onde i due termini sono, sostanzialmente, equivalenti.”
[100] In merito alla somiglianza dello spazio giuridico globale con l’ordine legale medioevale cfr. C. Mortati, Istituzioni di diritto pubblico, Padova, 1969, p. 99 – 100; R. C. van Caenegem, European law in the past and the future. Unity and diversity over two millennia, Cambridge, 2002 e P. Grossi, L’ordine giuridico medievale, Bari – Roma, 1995, entrambi richiamati in G. Della Cananea, The Genesis and Structure of General Principles of Global Public Law, cit., p. 89.
[101] C. Mortati, op. cit., p. 100.
[102] Cfr. F. Ledda, op. cit., al paragrafo 5: “Sembra lecito manifestare l’opinione, che il nesso tra diritto e tecnica sia ancora più stretto di quello che risulta dallo schema del ‘rinvio’. Nulla impedisce di pensare che la tecnica – o, in molti casi la scienza di riferimento – fornisca ‘materiali’ direttamente utilizzabili, ed anche necessari, per la costruzione di concetti giuridici; più in generale, sembra non manifestamente inattendibile l’ipotesi che il diritto faccia propria la normatività inerente a questa o quella tecnica traducendola per ciò stesso in normatività giuridica”.
A questo specifico proposito, vedi EMEA – Procedure for European Union guidelines and related documents within the pharmaceutical legislative framework, in data 18 marzo 2009, Doc. Ref. EMEA/P/24143/2004 Rev. 1 corr, secondo la quale al Punto 2.1 – What is a guideline in the pharmaceutical legislative framework?: “… In the case of scientific guidelines, these may relate to specific scientific issues reflecting a harmonised EU approach and based on the most up-to-date scientific knowledge”
[103] In particolare quella di garantire un elevato livello di protezione della salute umana (art. 168 TFUE – ex 152 TCE), identificato secondo i parametri individuati dalla comunità scientifica.
[104] N. Weiler, Challenging the Orthodoxies of Knowledge: Epistemological, Structural, and Political Implications for Higher Education, in Guy Neave (a cura di), Knowledge, Power and Dissent: Critical Perspectives on Higher Education and Research in Knowledge Society, Paris, 2006, p. 61-87 secondo il quale: “On the first point, this author assumes that not only does power require legitimation (which we have known since Max Weber, if not before), but that knowledge is in need of legitimation as well. Knowledge too must have a claim to credibility; knowledge too requires recognition, of which it must be ‘worthy’. None of these claims of legitimacy exclusively inhere in conceptions of knowledge itself; they derive their respective validity from social and cultural circumstances as well. … knowledge and power are connected by a relationship of reciprocal legitimation – i.e. knowledge legitimates power and, conversely, knowledge is legitimated by power. There is ample evidence for this symbiotic relationship. We need only consider the ever-increasing degree to which political decisions are justified by reference to a particular body of knowledge – from environmental policies to the location of new industries, from the redistribution of wealth to decisions on the investment of public funds.”
[105] Cfr. a proposito le considerazioni svolte da F. Ledda, op. cit., al paragrafo 3 il quale si riferisce all’interesse pubblico come misura di valore della determinazione o decisione discrezionale.
Tale prospettiva, tuttavia, presuppone una chiara distinzione istituzionale e teorica tra lo scopo politico–interesse pubblico e lo strumento amministrativo-tecnico-scientifico per perseguirlo. Nel sistema attuale, tuttavia, tali elementi (pubblico/tecnico-conoscitivo/economico) sono inscindibilmente connessi ed appartengono alla medesima sostanza e momento dell’amministrare.
E ancora, lo stesso Autore, al paragrafo 4: “Si pensi ancora a discipline specialistiche di grande attualità, come l’urbanistica con le sue molto vaste anche se non illegittime pretese: secondo le prospettazioni più aggiornate, le varie tecniche che in essa confluiscono sono condizionate da giudizi di valore o preordinate alla formazione di simili giudizi, e direttamente riguardano problemi che comportano ponderazioni comparative assai complesse dei più svariati interessi collettivi ed individuali”.
[106] In merito alla caratteristica relatività del concetto di conoscenza rispetto alle pratiche sociali dei diversi momenti storici F. Gil, Conoscenza, voce in Enc. Einaudi, Vol. III, Torino, 1978; ma ancora F. Ledda, op. cit., paragrafo 5 secondo il quale: “… al senso stesso del diritto positivo è inerente una pretesa od esigenza di giustizia. Questa pretesa non sembra infatti facilmente dissociabile da una pretesa di razionalità, riguardante i modi o i mezzi di perseguimento degli scopi prescelti dal legislatore sulla base di apprezzamenti relativamente liberi, ed ispirati quindi a giudizi di valore: la direttiva di comportamento irrazionale non può certo assecondare il raggiungimento degli stessi scopi, e quindi la realizzazione dei valori di riferimento. Ma la pretesa di razionalità, quando si tratti di problemi che coinvolgono la rilevanza causale di determinati fatti, può realizzarsi a propria volta solo attraverso l’applicazione delle tecniche che in un momento storico determinato sono sorrette dal comune consenso o suffragate dalle acquisizioni della scienza: in rapporto allo scopo perseguito dall’ordinamento siccome rispondente a una esigenza di giustizia, qualunque soluzione non conforme a quelle tecniche risulterebbe arbitraria e quindi ingiusta proprio perché irrazionale.”
– Per una trattazione storica della Filosofia della scienza cfr. J. Losee, Filosofia della scienza, Milano, 2016.
[107] Cfr. W. Z. Hirsch, Law and Economics: An introductory analysis, Londra, 1988, p. 5 e 6.
[108] Cfr. ancora C. Schmitt, op. cit., p. 457 per il quale: “…Allora anche il progresso, nel senso di uno sviluppo tecnico-scientifico-industriale accelerato, può trasformarsi in una globale legittimazione di finalità e scopi politici contrapposti.”
[109] Ossia ‘razionali’ rispetto allo scopo cfr. M. Weber, Economy and society, New York, 1968, p. 24 e ss. e richiamato da F. Ledda, op. cit., nota 53 nella versione italiana Economia e società, Milano, 1974 p. 21 e ss.
[110] Circostanza che, peraltro, appare normativamente confermata dal tenore dell’art. 7 (1 b) del Regolamento 726/2004/CE e dall’art. 19 della Direttiva 2001/83/CE secondo i quali l’Autorità di controllo “può chiedere ad un laboratorio ufficiale di controllo… dei medicinali di testare il medicinale per uso umano, le sue materie prime e, se necessario, i prodotti intermedi o altri componenti, per assicurare che i metodi di controllo utilizzati dal fabbricante, e descritti nella domanda, siano soddisfacenti.”
[111] Tale scelta, infatti, lungi dal risolversi in una determinazione di pura razionalità, comporta la comparazione e la selezione degli obbiettivi conoscitivi – e dei metodi scientifici per giungervi – in relazione alle aspettative (expectations) di governance prescelta.
Quest’ultima, nel network attuale, come si è visto, si sostanzia e condensa in sé momenti tanto politici quanto tecnico-scientifici ed economici i quali, in ultima analisi, determinano l’urgenza relativa degli obbiettivi da perseguire; cfr. M. Weber, op. cit, p. 24 e 26: “Choice between alternative and conflicting ends and results may well be determined in a value-rational manner. In that case, action is instrumentally rational only in respect to the choice of means. On the other hand, the actor may, instead of deciding between alternative and conflicting ends in terms of a rational orientation to a system of values, simply take them as given subjective wants and arrange them in a scale of consciously assessed relative urgency. He may then orient his action to this scale in such a way that they are satisfied as far as possible in order of urgency, as formulated in the principle of “marginal utility.”
– Cfr., inoltre, a questo specifico proposito il Punto 6.3.4. – L’esame dei vantaggi e degli oneri derivanti dall’azione o dall’inazione – della Comunicazione della Commissione sul Principio di Precauzione, Bruxelles, 2.2.2000 COM(2000) 1 final, citata – secondo la quale: “Occorrerebbe stabilire un confronto tra le conseguenze positive o negative più probabili dell’azione prevista e quelle dell’inazione in termini di costi globali per la Comunità, sia a breve che a lungo termine. Le misure previste dovrebbero essere in grado di arrecare un beneficio globale in materia di riduzione del rischio ad un livello accettabile.
L’esame dei vantaggi e degli oneri non può ridursi soltanto ad un’analisi economica costi/benefici. Tale analisi è più vasta nella sua portata e comprende considerazioni non economiche.
L’esame dei vantaggi e degli oneri dovrebbe tuttavia comprendere un’analisi economica costi/benefici quando ciò sia adeguato e realizzabile. Potrebbero tuttavia essere presi in considerazione altri metodi di analisi, come quello relativo all’efficacia delle opzioni possibili e alla loro accettabilità da parte della popolazione. È possibile, infatti, che una società sia pronta a pagare un costo più elevato al fine di garantire un interesse, quale l’ambiente o la salute, riconosciuto come di grande rilievo.
La Commissione riafferma che, conformemente alla giurisprudenza della Corte, le esigenze collegate alla protezione della salute pubblica dovrebbero vedersi riconoscere un carattere preponderante rispetto alle considerazioni economiche.”
– Sui diversi criteri per l’adozione di decisioni in situazioni di incertezza, anche facendo applicazione della teoria dei giochi che comporta l’attribuzione di un valore di utilità e, quindi, di preferenza anche collettiva circa i possibili esiti prefigurati, si indica B. de Finetti, Decisione, voce in Enc. Einaudi, Vol. IV, Torino, 1978.
[112] Cfr. sul punto specifico la pronuncia Artegodan GmbH v Commission, C-221/10 P, [2012] ECR I-0000 (nyr) punti 84 e ss., soprattutto 100, 101, 103, relativa al risarcimento danni per la revoca di AIC di farmaci, emessa sulla base delle pregresse disposizioni, secondo la quale:“l’articolo 11 della direttiva 65/65 enuncia che «l’effetto terapeutico manca quando risulta che il medicinale non permette di ottenere risultati terapeutici», mentre dalla formulazione di tale disposizione non emerge in alcun modo che soltanto un’osservazione dell’effetto a breve termine di un medicinale, escludendo quella di un suo effetto a lungo termine, sarebbe rilevante ai fini dell’esame della suddetta condizione. Ne deriva che, per quanto attiene al criterio relativo alla valutazione dell’efficacia di un medicinale, il citato articolo 11 non osta a che l’autorità competente decida, tenuto conto della patologia che il medicinale in questione mira a trattare, di fondarsi sul criterio dell’efficacia a lungo termine, al fine di valutare il rapporto benefici/rischi di tale medicinale.”
E ancora soprattutto “… l’esistenza di un consenso all’interno della comunità medica su un’evoluzione dei criteri di valutazione dell’effetto terapeutico di un medicinale e il fatto che l’efficacia terapeutica di tale medicinale venga rimessa in discussione dalla medesima comunità a seguito di tale evoluzione costituiscono, al pari dell’individuazione di dati scientifici nuovi o di informazioni nuove, elementi concreti e oggettivi idonei ad essere assunti a fondamento della constatazione di un rapporto benefici/rischi negativo del medicinale in questione.”
[113] In senso opposto, invece, cfr. M. S. Giannini, Il potere discrezionale della pubblica amministrazione, Milano, 1939, in particolare alle p. 162 e 163 e M. S. Giannini, L’interpretazione dell’atto amministrativo e la teoria giuridica generale dell’interpretazione, Milano, 1939 richiamati entrambi in S. Cognetti, op.cit., p. 300, il quale indica altresì per riportare le progressive aperture della dottrina verso un sempre più penetrante sindacato sul fatto F. Levi, L’attività conoscitiva della pubblica amministrazione, Torino, 1967 ed anche da ultimo M. P. Guerra, Funzione conoscitiva e pubblici poteri, Milano, 1996.
[114] In questo senso, F. Ledda, op. cit., paragrafo 18; nonchè D. De Pretis, Valutazione amministrativa e discrezionalità tecnica, Padova, 1995, p. 292; ma cfr. anche S. Cognetti, op.cit., p. 201 e ss. Conferma la sindacabilità dell’analisi costi/benefici presupposta all’adozione della determinazione precauzionale M. P. Chiti, Il rischio sanitario e l’evoluzione dall’amministrazione dell’emergenza all’amministrazione precauzionale, in Riv. it. dir. pubbl. comunit., 2006, p. 11 e 12. Sulla tematica cfr. anche S. Cognetti, op.cit., in particolare a p. 317.
La prospettiva appare confermata anche da F. Astone, Il principio di ragionevolezza, in M. Renna, F. Saitta (a cura di), Studi sui principi del diritto amministrativo, Milano 2012, p. 371 e ss. al quale si rivia in particolare a p. 377.
[115] Tuttavia, in merito alla progressiva e più estesa conflittualità tra principi fondamentali dell’ordinamento in rapporto alla continua accelerazione del progresso delle scienze, che comporta un scala di valori da concretarsi nel singolo caso specifico secondo un ordine gerarchico mobile cfr. S. Cognetti, op.cit., p. 73 e ss., in particolare 76 -77, e 246 e ss.
[116] Cfr. già a proposito la sentenza Pfizer Animal Health SA v Council, T-13/99, [2002] ECR II-3305.
[117] Cfr. N. M. G. Dukes, Accountability of the pharmaceutical industry, in The Lancet, 260, 2002, p. 1682 e ss. riportato in E. Jackson, Medical Law, Oxford, 2013, p. 509.
[118] J. Collier, I. Iheanacho, The pharmaceutical industry as an informant, in The Lancet, 360, 2002, p. 1405 e ss.
[119] C. Elliott, Better than Well: American Medicine meets the American Dream, New York, 2003, p. 123; L. McHenry, Ethical issues in phycopharmacology, in Journal of Medical Ethics, 32, 2006, p. 405 e ss., entrambi riportati in E. Jackson, op. cit., p. 514; D. A. Kessler, J. L. Rose, R. J. Temple, R. Schapiro, J. P. Griffin, Therapeutic-class wars—Drug promotion in a competitive marketplace, in N. Engl. J. Med., 331, 1994, p. 1350-1353.
[120] R. Sykes, New Medicines, The Practice of Medicine and Public Policy, Londra, 2000.
[121] Ci si riferisce all’ipotesi delle c.d. ‘me-too drugs’ e del fenomeno del c.d. ‘evergreening’ dei medicinali, come nel caso della fluoxetina, principio attivo del Prozac, antidepressivo commercializzato dalla Eli Lilly, che poi, una volta scaduto il brevetto farmaceutico, è stato riproposto sul mercato col nome di Saraferm per la cura del disturbo disforico premestruale cfr. E. Jackson, op. cit., p. 508; R. Joppi, V. Bertele, S. Garattini, Disappointing Biotech, in British Medical Journal, 331, 2005, p. 895; D. Taylor, Fewer New Drugs from the Pharmaceutical Industry, British Medical Journal, 326, 2003, p. 404 altresì riportate in E. Jackson, Law and regulation of medicines, Oxford, 2012.
[122] Cfr. gli artt. 42 e 94 del Regolamento 536/2014/UE; cfr. anche le definizioni di cui all’art. 2 del medesimo Regolamento: “«evento avverso»: qualsiasi evento clinico dannoso che si manifesta in un soggetto cui è stato somministrato un medicinale e che non ha necessariamente un rapporto causale con tale trattamento;
«evento avverso grave»: qualsiasi evento clinico dannoso che, a prescindere dalla dose, impone un ricovero ospedaliero oppure prolunga il ricovero in corso, comporta un’invalidità o un’incapacità grave o prolungata, risulta in un’anomalia congenita o in un difetto alla nascita, mette in pericolo la vita del soggetto o ne causa il decesso;
«reazione avversa grave e inattesa»: una reazione avversa grave la cui natura, gravità o esito non è coerente con le informazioni di riferimento sulla sicurezza”.
A questo riguardo si riporta l’iniziativa RIAT (Restoring invisible and abandoned trials) di sollecitazione alla pubblicazione delle informazioni raccolte in sperimentazioni cliniche poi abbandonate o tenute segrete da sperimentatori e/o promotori, cfr. P. Doshi, T. Jefferson, C. Del Mar, The imperative to share clinical study reports: recommendations from the Tamiflu experience, in PLoS Med, 9, 2012; P. Doshi, et al., Restoring invisible and abandoned trials: a call for people to publish the findings, in BMJ, 346, 2013; e anche, in merito alla questione sulla pericolosità ed inefficacia sugli adolescenti affetti da depressione del farmaco antidepressivo paroxetina, contrariamente a quanto affermato nella pubblicazione originaria dello studio clinico del 2001 in cui il medicinale veniva dichiarato ‘generally well tolerated and effective’, cfr. P. Doshi, Putting GlaxoSmithKline to the test over paroxetine, in BMJ, 347, 2013; P. Doshi, No correction, no retraction, no apology, no comment: paroxetine trial reanalysis raises questions about institutional responsibility, in BMJ, 351, 2015.
– Sul nesso causale tra vaccino e patologia si segnala una recente pronuncia della Corte di Giustizia U.e. in data 21 giugno 2017 nella controversia, N. W. et al., v Sanofi Pasteur M.s.d. s.n.c. et al., C-621/15.
[123] Cfr. L. Floridi, The Philosophy of Information, Oxford, 2011, p. 52 secondo il quale: “a level of abstraction (LoA) is a finite but non-empty set of observables” ove per “osservabile si intende una variabile tipizzata e contraddistinta da un nome, assegnato dall’agente epistemico per identificare una caratteristica del sistema in considerazione. La variabile tipizzata, a sua volta, consiste in i) un contenitore per referenti sconosciuti o mutevoli e in ii) un raggruppamento, che contraddistingue il tipo, che consiste in tutti i possibili valori che la variabile possa assumere” traduzione ed adattamento da The π Research Network, The Philosophy of Information – An Introduction, pubblicato on line in creative commons e reperibile all’indirizzo web http://www.socphilinfo.org/teaching/book-pi-intro, p. 37.
[124] Adattamento e traduzione da The π Research Network, op. cit., p. 37.
[125] J. A. Molzon, op. cit., p. 26: “Another benefit of a harmonized format has been the ease of developing and implementing harmonized good review practices. What is evaluated in a review is closely tied to the requested data. As a result, there is considerable similarity between ICH Guidance to industry and what we consider good review practices. Because ICH regions have harmonized much of the information submitted for marketing authorization, ICH regulators could easily begin moving toward similar review practices.
In general, good review practices promote transparency and consistency, both of which are very important if industry and the public are to understand how regulatory authorities carry out their responsibilities. This is especially important because of the complexity of the disciplines and specialties involved in the review process. We needed a consistent approach to evaluating submissions and reaching conclusions, and the CTD and eCTD have helped to achieve these goals.”
[126] Una politica di governance a c.d. rischio zero, oltre a non essere possibile per la non eliminabilità di rischi ed incertezze in senso assoluto, realizzerebbe effetti nocivi nella mancata immissione nel mercato di prodotti che, ancorché rischiosi, siano comunque efficaci. Tale posizione, inoltre, se portata alle estreme conseguenze, determinerebbe con ogni evidenza il blocco del mercato di questo settore merceologico. Ad analoghi risultati negativi condurrebbe peraltro una politica opposta di sostanziale liberalizzazione generalizzata.
[127] E questo nonostante tali operatori economici abbiano un interesse diretto a commercializzare medicinali efficaci e sicuri, quantomeno nel ritorno di immagine che ne ottengono. Il dubbio viene sostanzialmente generato dalla circostanza che gli standards in considerazione vengono definiti anche su iniziativa diretta delle rappresentanze delle imprese di settore le cui preminenti necessità di crescita produttiva, per il mantenimento della competitività nel medio-lungo periodo, sono comuni in tutte le aree interessate della network economy americana, europea e giapponese; [cfr. M. Castells, The Network Society: From Knowledge to Policy, in M. Castells, G. Cardoso (a cura di), The Network Society: From Knowledge to Policy, Washington, 2005, secondo il quale: “The network economy (known at one point as “the new economy”) is a new, efficient form of organization of production, distribution, and management that is at the source of the substantial increase in the rate of productivity growth in the United States, and in other economies that adopted these new forms of economic organization. The rate of productivity growth in the U.S. during 1996-2005 more than doubled the rate of productivity growth in 1975-95. Similar observations can be applied to those European economies, such as Finland or Ireland, that quickly adopted a similar form of techno-economic organization, albeit in a very different institutional context (eg, the maintenance of the welfare state). Studies, including the research presented by Dale Jorgenson in this volume, show that the rate of productivity growth in other European economies and in Japan may have increased as well once statistical categories are adapted to the conditions of production in an economy that has gone beyond the industrial era under which these categories were created.” ]
D’altro canto, invero, un certo tipo di sviluppo scientifico, con le conseguenti ricadute positive per la salute pubblica, può essere prodotto soltanto con studi che necessitano l’allocazione di ingentissime risorse, non erogabili da operatori di modeste entità; ragione per la quale sussiste un interesse ordinamentale diretto alla selezione ed affermazione commerciale delle imprese più efficienti (prodotti migliori in termini di qualtà, sicurezza ed efficacia ad un prezzo più basso). Cfr. a conferma di questo, ad esempio, il Punto 1.1.2 – Migliorare la concorrenza e l’accesso al mercato della European Commission, 2008, Communication to the European Parliament, the Council, the European Economic and Social Committee and the Committee of the Regions – Safe, Innovative and Accessible Medicines: a Renewed Vision for the Pharmaceutical Sector, on line all’indirizzo web http://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:52008DC0666&from=EN, ove è riconosciuto appunto che “La concorrenza è un mezzo efficace per incoraggiare l’innovazione e rendere i medicinali più accessibili”.
[128] Quelle indicate nella Parte III del TFUE e, nello specifico, quelle relative alla promozione del Mercato interno e della Libera circolazione delle merci di cui rispettivamente agli artt. 26 e 28 del TFUE.
Esse possono trovare limitazioni statali solo in casi eccezionali (cfr. combinato disposto artt. 34, 35, 36 del TFUE, ex artt. 28 -30 TCE).
[129] Tale prospettiva fondamentale relativa alla preminente cura della salute pubblica nella integrazione del mercato unico europeo è, peraltro, ripresa dalla citata Direttiva 2001/83/CE la quale, al secondo considerando, specifica che: “Lo scopo principale delle norme relative alla produzione, alla distribuzione e all’uso di medicinali deve essere quello di assicurare la tutela della sanità pubblica” ancorché al terzo disponga che “Tuttavia questo scopo deve essere raggiunto avvalendosi di mezzi che non ostacolino lo sviluppo dell’industria farmaceutica e gli scambi dei medicinali nella Comunità.”
Per quanto riguarda, invece, la procedura di autorizzazione centralizzata disciplinata dal Regolamento n. 726/2004, si indica il tredicesimo considerando secondo il quale: “nell’interesse della salute pubblica, le decisioni di autorizzazione nell’ambito della procedura centralizzata dovrebbero essere prese in base ai criteri scientifici oggettivi della qualità, sicurezza ed efficacia del medicinale interessato, escludendo considerazioni economiche o d’altro tipo.”
[130] Consapevole nell’accezione attribuita dalla definizione di azione sociale razionale rispetto al valore (wertrational) di M. Weber, op. cit., p. 24, per la quale: “value-rational, that is, determined by a conscious belief in the value for its own sake of some ethical, aesthetic, religious, or other form of behaviour, independently of its prospects of success.”
Sulla incontestabile preponderanza dell’interesse alla salute rispetto a considerazioni di ordine economico nella giurisprudenza europea si indicano tra le varie: Artegodan GmbH v Commission, C‑221/10 P, [2012] ECR I-0000 (nyr) punto 99; Affish BV v Rijksdienst voor de keuring van Vee en Vlees, C‑183/95, [1997] ECR I‑4315, punto 43; UK v Commission, C-180/96, [1998] ECR I-2265, punto 93.
[131] Art. 168 TFUE.
[132] Come noto, con tale nozione ci si riferisce “all’attività svolta da determinati soggetti nel perseguimento di interessi pubblici predeterminati”. Tale istituto, in virtù della sua portata paradigmatica di controllo razionale dell’esercizio del potere, si ritrova chiaramente anche nell’ordinamento amministrativo di livello europeo nell’ambito del quale è possibile riscontrarne gli elementi costitutivi, delineati da autorevole dottrina italiana, della materia, delle attribuzioni, dei fini e dei destinatari (S. Cassese, op. cit.; B. G. Mattarella, Le funzioni, in M. P. Chiti (a cura di), Diritto amministrativo europeo, Milano, 2013; M. P. Chiti, G. Greco (a cura di), Trattato di diritto amministrativo europeo, parte speciale, Milano, 2007.) Nella vasta bibliografia della dottrina italiana sulla tematica delle funzioni pubbliche, in particolare si segnalano senza alcuna pretesa di esaustività S. Romano, Corso di diritto amministrativo, Padova, 1937, p. 142 e ss.; F. Benvenuti, Funzione amministrativa, procedimento, processo, cit. p. 118 e ss; F. Benvenuti, Eccesso di potere per vizio della funzione, in Rass. Dir. Pubb., 1950, I, p. 1 e ss.; G. Miele, Funzione pubblica, voce in Nov. Dig. It., Torino, 1957, p. 686; G. Miele, Pubblica funzione e servizio pubblico, in Arch. giur., 1947, p. 111; F. Modugno, Funzione, voce in Enc. Dir., Milano, 1969, p. 301 e ss.; M. S. Giannini, Lezioni di diritto amministrativo, Milano, 1958; M. S. Giannini, Diritto amministrativo, Milano, 1988; M. S. Giannini, Istituzioni di diritto amministrativo, Milano, 2000; S. Cassese, Le basi del diritto amministrativo, Milano, 2000.
[133] Cfr. per questa prospettiva, soprattutto, F. Benvenuti, Funzione amministrativa, procedimento, processo, cit., paragrafo 2, per il quale: “… non sempre il diritto positivo regola la funzione e cioè l’esplicazione del potere e quindi … non sempre regola il procedimento che ne è l’esternazione formale. Così quante volte l’atto sia l’opera di un solo soggetto fisico e la funzione un momento puramente psicologico, non rilevabile (ma non sempre irrilevante) come forma all’esterno del soggetto. Anche in queste ipotesi però io non mi sento di negare che esista un procedimento (né, all’origine, una funzione) come categoria logica, benché sia ovvio che non esiste un procedimento come categoria giuridica.”
[134] F. Benvenuti, Funzione amministrativa, procedimento, processo, cit.
[135] Cfr. F. Ledda, op. cit., paragrafo 18; ma cfr. anche. S. Spuntarelli, op. cit., paragrafo 4, nota 80.
[136] Aspetti del provvedimento tutti collegati tra loro cfr. R. Ferrara, Introduzione al diritto amministrativo, Bari, 2002, p. 265 come richiamato in F. De Leonardis, Il principio di precauzione, in M. Renna, F. Saitta (a cura di), Studi sui principi del diritto amministrativo, Milano, 2012, p. 413 e ss
[137] Circostanza confermata, seppur indirettamente, dagli argomenti esposti in F. De Leonardis, Il principio di precauzione, cit., p. 418 per il quale: “… in caso di incertezza sui presupposti tecnico-scientifici viene, dunque, ad acquisire maggiore importanza l’ampiezza e il contenuto dell’istruttoria, l’analisi del fatto e la sua esternazione in termini semplici rispetto alla sussistenza dell’elemento formale della conformità alla regola normativa: il principio di precauzione assume il ruolo di ‘pre-principio di carattere procedurale’ che fornisce al giudice un criterio metodologico per effettuare il tradizionale bilanciamento tra beni costituzionalmente protetti.” ed ancora in F. Astone, Il principio di ragionevolezza, in M. Renna, F. Saitta (a cura di), Studi sui principi del diritto amministrativo, Milano 2012, p. 371 e ss. per il quale a p. 377: “ …il principio di ragionevolezza comprende, nella sua area di operatività, anche ulteriori aspetti, che attengono all’esito del processo decisionale, alle premesse della decisione, ossia all’esatta ed esauriente ricerca e valutazione dei fatti costituenti i presupposti dell’intervento decisionale, alla individuazione, ponderazione, raffronto e contemperamento degli interessi rilevanti, nonché alla individuazione concreta del fine, e quindi all’adeguamento della finalità astrattamente prevista dalla legge alle peculiarità del caso concreto. Ed allora, di fronte ad una serie di premesse già determinate, costituite da fatti appurati in un certo modo, da interessi ponderati e contemperati in una determinata manierae da un fine individuato concretamente, l’esito, ossia il contenuto della decisione, per quanto discrezionale, rappresenterà una soluzione quasi obbligata, proprio perché condizionata dalle premesse, il cui combinarsi darà luogo, nell’osservanza delle regole di coerenza e non contraddittorietà, ad una circoscritta gamma di decisioni possibili e ragionevoli.”
[138] Cfr. S. Spuntarelli, op. cit., paragrafo 4; come si vedrà di seguito e come chiarito anche dalla citata Comunicazione della Commissione sul Principio di Precauzione, Bruxelles, 2.2.2000 COM(2000) 1 final, si evidenzia che i due aspetti complementari ma distinti del principio di precauzione e dell’approccio prudenziale riguardano, rispettivamente, i diversi momenti della gestione e della individuazione e valutazione del rischio.
[139] Cfr. European Commission, European Governance: a White Paper, COM (2001) 428 final, p. 5, secondo la quale : “There is a perceived inability of the Union to act effectively where a clear case exists, for instance, unemployment, food safety scares, crime, the conflicts on the EU’s borders and its role in the world.
Where the Union does act effectively, it rarely gets proper credit for its actions. People do not see that improvements in their rights and quality of life actually come from European rather than national decisions. But at the same time, they expect the Union to act as effectively and visibly as their national governments.
By the same token, Member States do not communicate well about what the Union is doing and what they are doing in the Union. “Brussels” is too easily blamed by Member States for difficult decisions that they themselves have agreed or even requested. Finally, many people do not know the difference between the Institutions. They do not understand who takes the decisions that affect them and do not feel the Institutions act as an effective channel for their views and concerns.”
[140] Termine con il quale, secondo il citato White Paper della Commissione, ci si riferisce a “rules, processes and behaviour that affect the way in which powers are exercised at European level, particularly as regards openness, participation, accountability, effectiveness and coherence.”
[141] European Commission, 2001, European Governance: a White Paper, p. 6.
[142] Cfr. European Commission, European Governance: a White Paper, cit., p. 8: “- Openness: The Institutions should work in a more open manner. Together with the Member States, they should actively communicate about what the EU does and the decisions it takes. They should use language that is accessible and understandable for the general public. This is of particular importance in order to improve the confidence in complex institutions.
– Participation: The quality, relevance and effectiveness of EU policies depend on ensuring wide participation throughout the policy chain – from conception to implementation. Improved participation is likely create more confidence in the end result and in the Institutions which deliver policies. Participation crucially depends on central governments following an inclusive approach when developing and implementing EU policies.
– Accountability: Roles in the legislative and executive processes need to be clearer. Each of the EU Institutions must explain and take responsibility for what it does in Europe. But there is also a need for greater clarity and responsibility from Member States and all those involved in developing and implementing EU policy at whatever level.
– Effectiveness: Policies must be effective and timely, delivering what is needed on the basis of clear objectives, an evaluation of future impact and, where available, of past experience. Effectiveness also depends on implementing EU policies in a proportionate manner and on taking decisions at the most appropriate level.
– Coherence Policies and action must be coherent and easily understood. The need for coherence in the Union is increasing: the range of tasks has grown; enlargement will increase diversity; challenges such as climate and demographic change cross the boundaries of the sectoral policies on which the Union has been built; regional and local authorities are increasingly involved in EU policies. Coherence requires political leadership and a strong responsibility on the part of the Institutions to ensure a consistent approach within a complex system.”
In merito alla tematica dei principi generali dei procedimenti amministrativi europei si segnala, inoltre, l’analisi approfondita dal titolo “The General Principles of EU Administrative Procedural Law” svolta nel 2015 su iniziativa del Comitato per gli Affari Legali del Parlamento europeo e reperibile on line al sito web http://www.europarl.europa.eu/RegData/etudes/IDAN/2015 /519224/IPOL_IDA(2015)519224_EN.pdf; in letteratura B. G. Mattarella, Procedimenti ed atti amministrativi, in M. P. Chiti (a cura di), Diritto amministrativo europeo, Milano 2013, p. 327 e ss. che richiama, tra gli altri, A Massera, I principi generali, in Trattato di diritto amministrativo europeo, in M. P. Chiti e G. Greco, Parte generale, Milano, 2007, p. 285.
[143] “Assessment, transparency, precaution, independence” cfr. A. Mahalatchimy, E. Rial-Sebbag, et al., The european medicines agency: a public health european agency?, in Med. & Law, 31, 2012, p. 26 ove viene richiamato il lavoro di D. Tabuteau, La sécurité sanitaire, Parigi, 2002.
Questi principi, secondo gli Autori da ultimo citati, trovano non indifferenti problematiche di implementazione da parte dell’Amministrazione di controllo in considerazione della duplicità degli obbiettivi cui essa deve orientare la propria attività istituzionale.
Da un lato, infatti, essa deve contribuire per accrescere la competitività tra le imprese dell’industria farmaceutica tramite una migliore regolamentazione (Cfr. Punto 1.2. della European Commission, 2008, Communication to the European Parliament, the Council, the European Economic and Social Committee and the Committee of the Regions – Safe, Innovative and Accessible Medicines: a Renewed Vision for the Pharmaceutical Sector, sopra citata), e, dall’altro, svolgere la propria funzione a garanzia della tutela della salute umana (cfr. A. Mahalatchimy, E. Rial-Sebbag, op. cit. p. 26 -27).
A questo proposito, inoltre, gli Autori hanno evidenziato come, nell’esercizio delle proprie funzioni di risk assessment e di risk communication, l’EMA implementi con relativo successo soltanto i principi di certificazione/asseverazione e trasparenza, corrispondenti a quelli di effettività, coerenza, apertura e partecipazione, mentre altrettanto non sembra potersi dire con riferimento a quelli di precauzione, indipendenza e controllo (accountability).
[144] Sul principio di precauzione si richiamano, tra gli altri, P. Craig, Eu Administrative Law, Oxford, 2012, p. 641 e ss.; S. Spuntarelli, op. cit.; P. Savona, Il principio di precauzione e il suo ruolo nel sindacato giurisdizionale sulle questioni scientifiche controverse, in www.federalismi.it, 25, 2011; M. Antonioli, Precauzionalità, gestione del rischio e azione amministrativa, in Riv. it. dir. pubbl. comunit., fasc.1, 2007, p. 51; F. Trimarchi, Principio di precauzione e “qualità” dell’azione amministrativa, in Riv. it. dir. pubbl. comunit., 2005, p. 1673; M. Chiti, Il rischio sanitario e l’evoluzione dall’amministrazione dell’emergenza all’amministrazione precauzionale, in Riv. it. dir. pubbl. comunit., 2006, p. 1; F. De Leonardis, op. cit., p. 413 e ss.; Rodotà S., Tallacchini M. (a cura di), Ambito e fonti del Biodiritto, Parte IV – Diritto e scienza incerta, in Rodotà S., Zatti P., Trattato di Biodiritto, Milano, 2010, p. 467 e ss.; B. Marchetti, Il principio di precauzione, in M. A. Sandulli (a cura di), Codice dell’azione amministrativa, Milano, 2011; Comunicazione della Commissione sul Principio di Precauzione, Bruxelles, 2.2.2000 COM(2000) 1 final, citata.
[145] Così il Sommario della Comunicazione della Commissione sul Principio di Precauzione.
[146] P. Savona, op. cit., p. 3.
[147] Solvay Pharmaceuticals BV v Council T-392/02 [2003] ECR II-4555 punto 121 “Essendo le istituzioni comunitarie responsabili, in tutti i loro ambiti d’azione, della tutela della sanità pubblica, della sicurezza e dell’ambiente, il principio di precauzione può essere considerato come un principio autonomo che discende dalle disposizioni del Trattato”
[148] Nella comprensione del principio in esame è fondamentale la distinzione tra i concetti di pericolo e rischio riconducibile a N. Luhmann, Soziologie des Risikos, Berlin 1991, trad. it. Sociologia del rischio, Milano 1996 p. 32 p. 3 per il quale “Ci sono allora due possibilità: o l’eventuale danno viene visto come conseguenza della decisione, cioè viene attribuito ad essa, e parliamo allora di rischio, per la precisione di rischio della decisione; oppure si pensa che l’eventuale danno sia dovuto a fattori esterni e viene quindi attribuito all’ambiente: parliamo allora di pericolo” così riportato in P. Savona, op. cit., p. 2.
[149] In particolare con le sentenze Pfizer Animal Health SA v Council T-13/99 [2002] ECR II-3305 ed Artegodan GmbH v Commission T-74, 76, 83 – 85, 132, 137, 141/00, [2002] ECR II-4945.
[150] In particolare gli artt. 191 e 11, relativi al settore ambientale, ed anche poi gli artt. 12 e 169 così come l’articolo 168 del Trattato sul funzionamento dell’UE, riguardanti la tutela dei consumatori e la sanità pubblica.
[151] Cfr. nello specifico Pfizer Animal Health SA v Council, cit., punto 114 e Artegodan GmbH v Commission, cit, punto 183.
[152] Artegodan GmbH v Commission, cit, punto 183.
[153] Per un riferimento analitico di tale elaborazione si rinvia a P. Craig, op. cit., p. 642 e ss. e alla giurisprudenza indicata.
[154] Solvay Pharmaceuticals BV v Council, cit., punto 121.
[155] Artegodan GmbH v Commission, cit, punto 186.
[156] P. Craig, op. cit., p. 645 che a proposito richiama la sentenza Solvay Pharmaceuticals BV v Council, cit., punto 122.
[157] Tra le varie Gowan Comércio Internacional e Serviços v Ministero della Salute C-77/09 [2010] ECR I-13533 punti 73 e ss. per la quale: “Un’applicazione corretta del principio di precauzione presuppone, in primo luogo, l’individuazione delle conseguenze potenzialmente negative per la salute derivanti dall’uso della sostanza in questione che viene proposto e, in secondo luogo, una valutazione complessiva del rischio per la salute basata sui dati scientifici disponibili più affidabili e sui risultati più recenti della ricerca internazionale”
[158] Cfr. la Comunicazione della Commissione sul Principio di Precauzione – al Punto 3 del Sommario per il quale: “Il principio di precauzione, utilizzato essenzialmente dai responsabili per quanto riguarda la gestione del rischio, non deve essere confuso con l’elemento di prudenza cui gli scienziati ricorrono nel valutare i dati scientifici. L’attuazione di una strategia basata sul principio di precauzione dovrebbe iniziare con una valutazione scientifica quanto più completa possibile, identificando in ciascuna fase il grado di incertezza scientifica.”
[159] Perché si possa ricorrere all’applicazione del principio di precauzione bisogna che gli effetti potenzialmente negativi sul bene salute umana – pubblica od individuale – ricavati dalla valutazione scientifica presupposta siano incompatibili con l’esigenza, di cui all’art. 168 TFUE citato, di garantire un elevato livello di protezione per la salute umana.
In altre parole è necessario che il rischio sia ritenuto sufficientemente elevato per non accettare di farlo sostenere alla società (Comunicazione della Commissione sul Principio di Precauzione al Punto 6.3.5. – L’esame dell’evoluzione scientifica).
[160] Per i diversi livelli della c.d. ‘incertitude’ [i) rischio, di ii) incertezza e di iii) ignoranza] cfr. il Rapporto ESTO – European Science and Technology Observatory, On Science and Precaution
In the Management of Technological Risk, Vol. I, 1999, preparato su incarico della Commissione Europea – JRC Institute Prospective Technological Studies Seville, ed espressamente richiamato al Punto 5.1.3 – Incertezza scientifica della Comunicazione della Commissione sul Principio di Precauzione sopracitata, p. 16 e ss. secondo il quale: “The problems of multidimensionality and incommensurability discussed so far reside with the ‘magnitude’ component of risk. It is with the concept of ‘probability’, on the other hand, that we invoke the problems of uncertainty and ignorance. These themes are discussed in some detail in the Field Studies by Salo and Stirling.
In economics and decision analysis, the well-established formal definition of risk is that it is a condition under which it is possible both to define a comprehensive set of all possible outcomes and to resolve a discrete set of probabilities (or a density function) across this array of outcomes. This is the domain under which the various probabilistic techniques of risk assessment are applicable, permitting (in theory) the full characterisation and ordering of the different options under appraisal. …
The strict sense of the term uncertainty, by contrast, applies to a condition under which there is confidence in the completeness of the defined set of outcomes, but where there is acknowledged to exist no valid theoretical or empirical basis for the assigning of probabilities to these outcomes. Here, the analytical armoury is less well-developed, with the various sorts of scenario analysis being the best that can usually be managed. Whilst the different options under appraisal may still be broadly characterised, they cannot be ranked even in relative terms without some knowledge of the relative likelihoods of the different outcomes.
Finally, there is the condition of ignorance. This applies in circumstances where there not only exists no basis for the assigning of probabilities (as under uncertainty), but where the definition of a complete set of outcomes is also problematic. In short, it is an acknowledgement of the possibility of surprises. Here, it is not only impossible to rank the options but even their full characterisation is difficult. Under a state of ignorance (in this strict sense), it is always possible that there are effects (outcomes) which have been entirely excluded from consideration.”
[161] Secondo la Comunicazione della Commissione, infatti, il rischio potenziale sussiste ancorché non possa essere interamente dimostrato o quantificata la sua portata o determinati i suoi effetti a causa dell’insufficienza o dell’inconcludenza dei dati scientifici. Conferma ulteriormente tale assunto il fatto che le misure precauzionali sono giustificate nella loro consistenza e permanenza in quanto e fin tanto che sia giustificato parlare di potenzialità (rischio), e non di certezza, degli effetti negativi che esse sono preposte a scongiurare. Cfr. a proposito la Comunicazione della Commissione sul Principio di Precauzione al Punto 6.3.5. – L’esame dell’evoluzione scientifica: “Le misure debbono essere mantenute finché i dati scientifici rimangono insufficienti, imprecisi o non concludenti e finché il rischio sia ritenuto sufficientemente elevato per non accettare di farlo sostenere alla società. Come conseguenza dei nuovi dati scientifici, è possibile che le misure debbano essere modificate o eliminate prima di un termine preciso. Tutto ciò non è tuttavia collegato ad un mero fattore temporale, ma all’evoluzione delle conoscenze scientifiche.
D’altro canto, devono essere proseguite le analisi scientifiche per procedere ad una valutazione scientifica più avanzata o più completa. In questo contesto è importante anche che le misure siano sottoposte ad un controllo (monitoring) scientifico regolare, che consenta di valutare ulteriormente tali misure alla luce delle nuove informazioni scientifiche.” Cfr. anche Allegato III della Comunicazione.
[162] La quale, secondo l’Allegato III alla Comunicazione della Commissione sul Principio di Precauzione è suddivisa in quattro elementi: l’identificazione del pericolo, la caratterizzazione del pericolo, la valutazione dell’esposizione e la caratterizzazione del rischio.
[163] Punto 5.1 – I fattori che attivano il ricorso al principio di precauzione – della Comunicazione della Commissione sul Principio di Precauzione riportato nell’introduzione del presente capitolo.
[164] Per una descrizione analitica di tali criteri cfr. il Punto 6.3 – I principi generali di applicazione – e ss. della Comunicazione della Commissione sul Principio di Precauzione.
[165] La descrizione dei diversi tipi di rischi in quest’ambito regolamentare è ricavata da B. Osimani, The precautionary principle in the pharmaceutical domain: a philosophical enquiry into probabilistic reasoning and risk aversion, in Health, Risk & Society,
2 (15), 2013, p. 127.
[166] Da tale delimitazione dell’ambito oggetto di valutazione nel rapporto rischio/beneficio, peraltro, si comprende come la dimensione ambientale degli impatti del farmaco non contenente OGM – Organismi geneticamente modificati – venga considerata, ai fini di governance, scissa da quella propriamente umana. Invece, sull’argomento del delicato equilibrio di tali dimensioni nell’ecosistema si indicano, tra i molti, E. Chivian, et al., Sustaining life: How human health depends on biodiversity, Oxford, 2008; E. Chivian, Biodiversity: Its importance to Human Health, Center for Health and the Global Environment, Harvard Medical School, Cambridge, 2002; E. Chivian, Environment and health. Species loss and ecosystem disruption — the implications for human health, in JAMC, 2001, 164, 1, p. 66 – 69; C. J. R. Alho, The importance of biodiversity to human health: an ecological perspective, in Estudos Avançados, 2012, 26, p. 151 – 166.
– Sull’esclusione di rilievo determinante della valutazione di impatto ambientale del prodotto farmaceutico, non contenente o costituito da OGM – Organismi geneticamente modificati, ai fini del rilascio dell’autorizzazione al commercio cfr. in particolare il punto 2 delle Guideline On The Environmental Risk Assessment Of Medicinal Products For Human Use emesse dalla Committee For Medicinal Products For Human Use (CHMP), in data 1 giugno 2006, ref. EMEA/CHMP/SWP/4447/00, secondo il quale : “In accordance with Article 8(3) of Directive 2001/83/EC, as amended, the evaluation of the potential environmental risks posed by medicinal products should be submitted, their environmental impact should be assessed and, on a case-by-case basis, specific arrangements to limit the impact should be considered. In any event this impact should not constitute a criterion for refusal of a marketing authorisation.”
– Sugli impatti gravi e di lungo periodo degli interferenti endocrini, contenuti ad esempio in farmaci anticoncezionali, sulle biodiversità acquatiche si indicano in particolare nella ormai estesa letteratura scientifica sull’argomento: J. Ashby, Endocrine disruption occurring at doses lower than those predicted by classical chemical toxicity evaluations: The case of bisphenol A, in Pure Appl. Chem., Vol. 75, 2003, p. 2167 – 2179; J. Hua, et al, The progestin levonorgestrel affects sex differentiation in zebrafish at environmentally relevant concentrations, in Aquatic Toxicology, 166, 2015, p. 1 – 9; Y. Q. Liang, et al., Long-term exposure to environmentally relevant concentrations of progesterone and norgestrel affects sex differentiation in zebrafish (Danio rerio), in Aquat. Toxicol., 160, 2015, p. 172 – 179; B. Martin, et al., Role of metabolism in the endocrine-disrupting effects of chemicals in aquatic and terrestrial systems, in Pure Appl. Chem., Vol. 75, 2003, p. 1917 – 1932; M. Säfholm, et al., Risks of hormonally active pharmaceuticals to amphibians: a growing concern regarding progestagens, in Phil. Trans. R. Soc. B, 369, 2014; M. S. Souza, et al., Low concentrations, potential ecological consequences: Synthetic estrogens alter life-history and demographic structures of aquatic invertebrates, in Environmental Pollution, 178, 2013, p. 237 e 243; C. J. Vörösmarty, et al., Global threats to human water security and river biodiversity, in Nature, Vol. 467 2010; M. Ågerstrand, et al., Improving environmental risk assessment of human pharmaceuticals, in Environ. Sci. Technol. 49, 2015, p. 5336 − 5345.
[167] B. Osimani, op. cit., p. 128 e ss.
[168] Circostanza, peraltro, confermata dalla medesima Comunicazione della Commissione sul Principio di Precauzione che al Punto 5.1.3. – Incertezza scientifica riconosce che: “L’incertezza scientifica deriva di solito da cinque caratteristiche del metodo scientifico: le variabili prescelte, le misurazioni effettuate, i campioni individuati, i modelli utilizzati e le relazioni causali impiegate. L’incertezza scientifica può derivare inoltre da controversie sui dati esistenti o dalla mancanza di dati. L’incertezza può riguardare elementi qualitativi o quantitativi dell’analisi” e ancora “Vi sono tuttavia situazioni in cui i dati scientifici sono ampiamente insufficienti per poter concretamente applicare tali elementi di prudenza, nei quali la mancanza di modellizzazione dei parametri non consente alcuna estrapolazione e in cui i rapporti causa/effetto sono ipotizzati ma non dimostrati. In queste situazioni i responsabili politici sono posti dinanzi al dilemma di agire o di non agire.”
[169] Ciò a maggior ragione ove si consideri che l’AIC viene emessa sulla base del bilanciamento tra le complessive potenzialità benefiche ed i rischi individuati nella sperimentazione, per cui il rischio viene fatto accettare alla società proprio in ragione di tali effetti positivi, come rilevati ed identificati nella sperimentazione.
In altre parole, il rischio considerato per il rilascio dell’AIC viene a costituire una sorta di prezzo per gli effetti positivi ricollegati al medicinale.
Non è indifferente, pertanto, come tale rischio-prezzo e tali effetti vengano individuati e valutati in rapporto reciproco (cfr. Considerando 7 della Direttiva 2001/83/CE per il quale: “I concetti di nocività e di effetto terapeutico possono essere esaminati solo in relazione reciproca e hanno soltanto un significato relativo …) ai fini dell’AIC; e ciò a prescindere dal fatto che siano suscettibili di essere revisionati in farmacovigilanza.
[170] Le ipotesi relative ai nessi causali, la cui formulazione nelle scienze mediche riveste primaria importanza ai fini preventivi, diagnostici e terapeutici, risultano spesso da metodi di induzione eliminativa riconducibili a quelli definiti da J. Stuart Mill (1806 – 1873). Per una sintesi di alcune di tali metodologie cfr. R. Festa, V. Crupi, P. Giaretta, Forme di ragionamento e valutazione delle ipotesi nelle scienze mediche, in A. Pagnini (a cura di), Filosofia della medicina, Roma 2010, p. 119 e ss. in particolare p. 132 e ss.; I. M. Copi, C. Cohen, Introduzione alla logica, Bologna, 1999, p. 493 e ss.
[171] B. Osimani, Pharmaceutical risk communication: sources of uncertainty and legal tool of uncertainty management, in Health risk and society, 12 (5), 2010, p. 453–469 richiamato in B. Osimani, The precautionary principle in the pharmaceutical domain, cit., p. 127 e ss.
[172] B. Osimani, The precautionary principle in the pharmaceutical domain, cit., p. 128.
[173] B. Osimani, The precautionary principle in the pharmaceutical domain, cit., p. 136.
– Le metodologie d’indagine nelle scienze naturali sono strutturate essenzialmente allo scopo di fornire, secondo ipotesi qualitative o quantitative (come, ad esempio, nel caso delle ipotesi statistiche relative alla correlazione tra la somministrazione di un medicinale e le sue possibili conseguenze epidemiologiche cfr. R. Festa, V. Crupi, P. Giaretta, op. cit., p. 141 che richiamano a proposito la teoria della probabilità nella prospettiva bayesiana illustrata in C. Howson, P. Urbach, Scientific Reasoning: The Bayesian Approach, La Salle, 1993), una esplicazione soddisfacente dei fenomeni del mondo, la loro comprensione e la formulazione di previsioni attorno ad essi (l’illustrazione dei tre modelli che segue è tratta in particolare da S. Amsterdamski, Spiegazione, voce in Enc. Einaudi, Vol. XIII, Torino, 1981, ma cfr. anche A. Pasquinelli, Nuovi principi di epistemologia, Milano, 1967, p. 69 e ss.).
L’interpretazione ed esplicazione dei fenomeni secondo ipotesi scientifiche può essere di tipo i) deduttivo–nomologico, ii) deduttivo-statistico ovvero iii) induttivo-statistico.
i) Secondo il primo modello esplicativo di tipo deduttivo-nomologico la spiegazione causale di un evento consiste nel “dedurre una asserzione che lo descrive utilizzando come premesse della deduzione una o più leggi universali assieme ad alcune asserzioni specifiche che costituiscono le condizioni iniziali” e, quindi, le premesse maggiore e minore dell’inferenza deduttiva (traduzione da R. Popper, The Logic of Scientific Discovery, Londra – New York, 1992, p. 38).
Primaria caratteristica di tale modello conoscitivo è che l’explanandum, che si riferisce ad una regolarità fenomenica, è implicato logicamente nell’explanans il quale contiene una asserzione generale considerata legge.
ii) Anche il secondo modello esplicativo deduttivo-statistico è di tipo nomologico, nel senso che anch’esso è volto a fornire la spiegazione delle regolarità statistiche riferendosi a leggi statistiche o a principi teorici. Anche in questo caso l’explanans, o premessa maggiore dell’inferenza deduttiva, implica l’explanandum in modo tale da rendere cogenti le conclusioni.
iii) Mentre le regolarità statistiche possono essere esplicate deduttivamente sulla base delle leggi statistiche, non è possibile fare altrettanto con i singoli eventi.
Per il terzo modello esplicativo induttivo-statistico l’explanandum non è logicamente implicato nell’explanans (legge statistica e asserzione delle condizioni iniziali).
Con tale metodo esplicativo si illustra perché il singolo evento poteva accadere, ma non perché doveva accadere.
L’explanans spiega l’explanandum solo per un certo grado ma non lo sostanzia necessariamente, come avviene invece nei primi due tipi di spiegazione.
Nell’esplicazione induttivo-statistica il concetto di probabilità rileva secondo due diversi aspetti: i) da un lato esso si riferisce alle regolarità empiriche delle frequenze relative dell’occorrenza di eventi appartenenti a classi diverse (c.d. aspetto quantitativo); ii) dall’altro, esso sostanzia induttivamente il rapporto logico tra i due elementi inferenziali dell’explanandum e dell’explanans (c.d. aspetto qualitativo).
Quest’ultimo rapporto logico, appunto di probabilità logica o di conferma induttiva, è diverso dalla probabilità intesa secondo la prima accezione, ossia come frequenza relativa, (cfr. sulla distinzione tra probabilità logica e statistica, ad esempio, C. G. Hempel, Filosofia delle scienze naturali, Bologna, 1968, p. 92 e ss) e viene ad assumere i plurimi sensi esplicativi e predittivi configurabili secondo le differenti concezioni elaborate dai teorici.
In tale quadro, l’incertezza implicita nelle asserzioni probabilistico/statistiche presupposte può conferire un apporto esplicativo del fenomeno soltanto secondo un grado, più o meno elevato, di α) conferma (quando la probabilità viene trattata come un concetto puramente logico, ossia pertinente esclusivamente la relazione tra asserzioni), di β) credenza razionale (quando la probabilità viene intesa come riguardante l’atteggiamento interiore del soggetto nei confronti dell’asserzione, ossia il grado di credenza razionale che il soggetto attribuisce all’asserzione), di γ) verosimiglianza (quando la probabilità viene considerata come un rapporto tra una asserzione statistica e l’oggetto di essa come sussistente nella realtà fenomenica, per cui può essere concepita come grado di veridicità dell’asserzione) ovvero di d) propensione (allorché la probabilità degli eventi venga considerata, piuttosto, come un’attitudine di certe situazioni concrete del mondo fisico a produrre frequenze relative stabili) secondo le diverse concezioni che si abbiano del c.d. aspetto qualitativo della probabilità (cfr. per una sintesi sulle diverse interpretazioni esistenti del concetto di probabilità S. Amsterdamski, Caso/probabilità, voce in Enc. Einaudi, Vol. II, Torino, 1977).
α) – Un tentativo speculativo (R. Carnap, Logical Foundations of Probability, Chicago, 1950, p. 19 e ss.) di fornire dei criteri di conferma o rigetto della probabilità logica delle ipotesi, ossia analitica cioè scissa dalla realtà empirica, è stato avanzato tramite uno sviluppo del concetto di tipo quantitativo.
Secondo questa concezione, in particolare, il grado quantitativo di conferma ‘c’ può essere ottenuto con la seguente formula ‘c(h, e)=q’, ove ‘h’ rappresenta l’ipotesi, ‘e’ consiste in un insieme di asserzioni su dati empirici in riferimento ad ‘h’, ed infine ‘q’ consiste in un numero reale (la quantità appunto) compresa nell’intervallo 0-1 (R. Carnap, op. cit., p. 23).
In altre parole, il grado di conferma puramente logico c dell’ipotesi h, in rapporto ad e, aumenta il suo quantitativo q con l’aumentare delle asserzioni conformi e, riguardanti dati empirici di conferma, relative ad h.
Secondo tale interpretazione della probabilità le asserzioni probabilistiche, ancorché consistano in enunciati empirici, non vengono utilizzate come fondamento per la formulazione di previsioni statistiche dei rispettivi eventi reali.
A tali considerazioni deve aggiungersi, peraltro, che l’aumento marginale di conferma di un’ipotesi diminuisce progressivamente con l’aumento del numero complessivo di conferme del medesimo genere mentre, invece, è destinato ad aumentare nel caso in cui le conferme appartengano a tipi diversi, ossia relative a nuovi ambiti di applicazione (C. G. Hempel, op. cit., p. 58).
Il grado di conferma, infatti, dipende in gran parte anche dalla varietà dei tipi di conferme empiriche che si possono presentare a supporto dell’ipotesi sperimentale Invero l’incisività della conferma dell’ipotesi, e quindi il suo rilievo, aumenta in modo proporzionale all’aumentare ed al variare, sia di genere che di numero, delle occasioni di controllo che abbiano l’attitudine di refutare l’ipotesi, in relazione alle altre ipotesi secondarie o alle assunzioni accessorie (cfr. C. G. Hempel, op. cit., p. 58) [cfr. anche le ICH Harmonised Tripartite Guideline Statistical Principles For Clinical Trials E9 (http://www.ich.org/products/guidelines/efficacy/article/efficacy-guidelines.html), in data 5 febbraio 1998, implementata anche in area UE (adottata dalla CPMP – Committee for Proprietary Medicinal Products – nel marzo 1998 – CPMP/ICH/363/96) per le quali in relazione al concetto di robustezza dei dati sperimentali al Punto 1.2 Scope and direction “Robustness implies that the treatment effect and primary conclusions of the trial are not substantially affected when analyses are carried out based on alternative assumptions or analytic approaches.”]
Si indica come introduzione alla prospettiva descritta anche R. Carnap, Philosophical Foundations of Physics. An Introduction to the Philosophy of Science, New York – Londra, 1966, p. 19 e ss.
β) – Una differente interpretazione della probabilità concepisce l’aspetto qualitativo dell’esplicazione induttivo-statistica come il grado di credenza razionale riposto nelle asserzioni probabilistiche.
Secondo tale posizione la probabilità è intesa non come un concetto logico quanto, piuttosto, come un concetto psicologico relativo allo stato della conoscenza soggettiva.
“La probabilità soggettiva di un evento E per il soggetto O è un qualche numero reale p; quando il soggetto O ha la possibilità di scegliere la posta x, su cui accetterebbe una scommessa riguardante l’accedere di E, porrà x=p. Cosí il concetto soggettivo (il concetto, cioè, che riguarda lo stato della nostra conoscenza) può essere definito in modo intersoggettivo, e il grado di credenza può essere valutato intersoggettivamente, pur rimanendo un concetto psicologico.” – S. Amsterdamski, Caso/probabilità, cit., p. 676.
Questa concezione della probabilità, sottesa peraltro in parte anche alla prospettiva statistica bayesiana (cfr. C. Howson, P. Urbach, op. cit., capitoli n. 8 e 9, per le critiche di soggettivismo rivolte anche alle stesse metodiche statistiche frequentiste), non offre uno “standard oggettivo per valutare quale grado di credenza sia piú razionale” ne “alcuna giustificazione oggettiva per la scelta delle classi-riferimento” per le rilevazioni statistiche. Infatti tale teoria “asserisce che ogni volta che si fa uso del concetto di probabilità, ciò avviene, appunto, in questo senso soggettivo, e che non ci sono altri modi per interpretarlo” – Amsterdamski, Caso/probabilità, cit., p. 677 e 678.
γ) – La teoria che intende la probabilità come grado di verosimiglianza degli enunciati rispetto alla probabilità oggettiva dell’evento, invece, si fonda su due distinte assunzioni: anzitutto che è legittimo i) uguagliare la probabilità dell’accadere oggettivo dell’evento rispetto alla probabilità dell’enunciato che vi ci si riferisce e poi che è altrettanto legittimo ii) uguagliare la probabilità dell’evento singolo con la frequenza relativa – Amsterdamski, Caso/probabilità, cit., p. 679.
Per quanto riguarda il primo assunto, è stato rilevato che “trattare il grado di conferma come il grado di verosimiglianza dell’ipotesi, significa usare il termine ‘verità’ non nella sua accezione semantica, ma come un concetto sintattico. La verità di un’ipotesi viene valutata non già rispetto alla realtà, ma rispetto ad altre asserzioni. Ciò significa che s’intende la verità come coerenza tra asserzioni, e non come la corrispondenza delle asserzioni con la realtà” – Amsterdamski, Caso/probabilità, cit., p. 679.
Inoltre, per quanto riguarda il secondo dei presupposti “si dovrebbe dire che l’interpretazione della probabilità in termini di frequenza … non permette di parlare della probabilità di un evento singolo, ma soltanto della probabilità di una certa specie di eventi rispetto ad una classe-riferimento” – Amsterdamski, Caso/probabilità, cit., p. 679.
d) – Un’ulteriore teoria circa l’aspetto qualitativo dell’esplicazione induttivo-statistica è quella secondo la quale il concetto di probabilità esprime, più che relazioni tra classi di eventi, proprietà disposizionali di determinate situazioni fisiche a ‘generare’ determinati tipi di eventi in conformità a stabili frequenze relative, per cui queste ultime vengono viste come la “manifestazione quantitativa di tale disposizione” (cfr. ancora per una sintesi Amsterdamski, Caso/probabilità, , p. 684 e K. R. Popper, The Propensity interpretation of probability, in The British Journal for the Philosophy of Science, Vol. 10, n. 37, 1959, p. 25 – 42, in particolare p. 31).
[174] Cfr. G. Guyatt, et al., EBMWG, Evidence-Based Medicine. A new approach to teaching the practice of medicine, in JAMA, 268 (17), 1992, p. 2420 e ss.; per una descrizione, anche tecnica, delle diverse concezioni statistiche frequentiste e bayesiane, con riferimento ai diversi concetti presupposti di probabilità, cfr. V. Barnett, Comparative Statistical Inference, Chichester, 1999 e, per un approccio sintetico e critico, ancora Amsterdamski, Caso/probabilità, cit., p. 681 e D. Teira, Frequentist versus Bayesian clinical trials, in F. Gifford (a cura di), Handbook of the philosophy of science. Philosophy of Medicine, Vol. 16, 2011, p. 255 – 298.
[175] B. Osimani, The precautionary principle in the pharmaceutical domain, cit., p. 136, secondo la quale: “Clinical trials are hypothesis-testing studies based on a Popperian hypothetico-deductive method of scientific enquiry. This approach is based on a two-stage process. The first stage is characterised by hypothesis generation and the second by hypothesis testing. Unfortunately, the sort of statistics grounded on this epistemology is unable to accommodate information that does not meet a series of strong assumptions and thus can make no use of it for causal inference. For causal inference to be valid, the observed result must be attributable to the investigated factor and only to it. The standard method of excluding extraneous factors confidently is to introduce controls (cases that constitute a group all ways similar to the treatment group except they have not been subject to the investigated factor) and (blind) randomisation in allocating cases between the experimental and control group. The use of a control group means that, at least prima facie, the difference in the outcomes can be attributed to the presence of the treatment. Through randomisation, all other potentially relevant factors should be homogeneously distributed in the two groups, so that the difference can be attributed only to the treatment. This is the gist of Fisher’s method of hypothesis testing, indeed an enormous contribution to experimental methodology, which, however, sets a series of strict conditions not only for causal inference to be valid, but also for it to be at all meaningful. The consequence is that evidence which does not result from randomised controlled studies cannot be interpreted within this paradigm. This means that a lot of possibly relevant information gets simply ignored in this filtering process.”
[176] C. G. Hempel, op. cit., 28. Sull’argomento delle modalità di formulazione delle ipotesi cfr. tuttavia anche K. F. Schaffner, Discovery and explanation in biology and medicine, Chicago, 1993, p. 8 e ss.
[177] In senso critico, sulla inadeguatezza del controllo deduttivo delle ipotesi scientifiche tramite il criterio di c.d. significatività statistica – p value cfr. anche E. Shahar, A Popperian perspective of the term `evidence-based medicine’, in Journal of Evaluation in Clinical Practice, 3 (2), 1997, p. 109 – 116 in particolare p. 112 e bibliografia ivi indicata.
[178] C. G. Hempel, op. cit., p. 30
[179] B. Osimani, F. Mignini, Causal Assessment of Pharmaceutical Treatments: Why Standards of Evidence Should not be the Same for Benefits and Harms?, in Drug safety, 38, 2015, p. 1 – 11.
[180] Secondo tale posizione, la prospettiva statistica frequentista tradizionale, di cui risentono fortemente le linee guida di settore (cfr. D. Teira, op. cit., in particolare a p. 257 e ss. e il Punto 5.2.5.1. relativo alle Relazioni sugli studi sull’efficacia e la sicurezza
della Direttiva 2001/83/CE) e che viene in genere utilizzata per il controllo ipotetico-deduttivo delle ipotesi sull’efficacia del medicinale [per corroborare o falsificare in toto le ipotesi scientifiche tramite, ad esempio, il criterio decisionale della c.d. significatività statistica – p value (per cui cfr. di seguito)], si rivelerebbe non altrettanto utile negli accertamenti relativi ai profili di sicurezza del farmaco. Questi ultimi, infatti, necessiterebbero, piuttosto, di un approccio sperimentale di stampo induttivo bayesiano (cfr. W. Talbott, Bayesian Epistemology, in The Stanford Encyclopedia of Philosophy, Stanford, 2008), che attribuisca un grado di credenza razionale della probabilità delle ipotesi sulla sicurezza del medicinale sulla base di tutta l’evidenza disponibile (evidence amalgamation) ed offra, pertanto un quadro conoscitivo più ricco di quello ricavabile dalle rigide gerarchie evidenziarie rilevanti secondo i canoni della evidence based medicine cfr. B. Osimani, F. Mignini, op. cit., p. 2 – 3 – 6 e letteratura ivi indicata; cfr. anche a proposito B. Clarke, et al., The evidence that evidence-based medicine omits, in Preventive Medicine, 57, 2013, p. 745 – 747.
[181] Cfr. B. Osimani, The precautionary principle in the pharmaceutical domain, cit.; J. Landes, B. Osimani, R. Poellinger, Epistemology of Causal Inference in Pharmacology – Towards a Framework for the Assessment of Harms, in corso di pubblicazione sull’European Journal for Philosophy of Science; B. Osimani, F. Mignini, Causal Assessment of Pharmaceutical Treatments, cit., p. 1 – 11.
– Cfr. peraltro anche le definizioni, e i conseguenti obblighi ed effetti, anche ai fini risarcitori, del Regolamento 536/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio in data 16 aprile 2014 sulla sperimentazione clinica di medicinali per uso umano e che abroga la Direttiva 2001/20/CE di cui:
– all’art. 2 n. 32, 33, 34 circa: “«evento avverso»: qualsiasi evento clinico dannoso che si manifesta in un soggetto cui è stato somministrato un medicinale e che non ha necessariamente un rapporto causale con tale trattamento;
«evento avverso grave»: qualsiasi evento clinico dannoso che, a prescindere dalla dose, impone un ricovero ospedaliero oppure prolunga il ricovero in corso, comporta un’invalidità o un’incapacità grave o prolungata, risulta in un’anomalia congenita o in un difetto alla nascita, mette in pericolo la vita del soggetto o ne causa il decesso;
«reazione avversa grave e inattesa»: una reazione avversa grave la cui natura, gravità o esito non è coerente con le informazioni di riferimento sulla sicurezza”
– all’art. 41: “Se lo sperimentatore viene a conoscenza di un evento avverso grave avente un rapporto causale sospetto con il
medicinale sperimentale, che si manifesta dopo la fine della sperimentazione clinica su un soggetto da lui trattato, comunica senza indebito ritardo l’evento avverso grave al promotore.”
– all’art. 42: “Il promotore di una sperimentazione clinica condotta in almeno uno Stato membro comunica tempestivamente per via elettronica alla banca dati di cui all’articolo 40, paragrafo 1, tutte le informazioni pertinenti relativamente alle seguenti sospette reazioni avverse gravi e inattese:
a) tutte le sospette reazioni avverse gravi e inattese ai medicinali che si verificano nel corso di tale sperimentazione clinica, siano esse insorte in un sito di sperimentazione clinica nell’Unione o in un paese terzo;
b) tutte le sospette reazioni avverse gravi e inattese correlate alla stessa sostanza attiva, indipendentemente dalla forma farmaceutica e dal dosaggio o dall’indicazione oggetto della sperimentazione, ai medicinali sperimentali usati nella sperimentazione clinica, che si verificano nell’ambito di una sperimentazione clinica condotta esclusivamente in un paese terzo, se tale sperimentazione clinica è promossa:
i) da tale promotore, oppure
ii) da un altro promotore che appartiene alla stessa società madre quale promotore della sperimentazione clinica o che partecipa allo sviluppo congiunto di un medicinale, sulla base di un accordo formale con il promotore della sperimentazione clinica. A tal fine, non si considera uno sviluppo congiunto la fornitura del medicinale sperimentale o di informazioni relative alla sicurezza a un futuro potenziale titolare dell’autorizzazione all’immissione in commercio; e
c) tutte le sospette reazioni avverse gravi e inattese ai medicinali della sperimentazione verificatesi in uno dei soggetti della sperimentazione clinica, che sono individuate dal promotore o di cui quest’ultimo è venuto a conoscenza dopo la fine della sperimentazione.”
ed Allegato III: “ 2.1. Eventi avversi e causalità
Gli errori di terapia farmacologica, le gravidanze e gli utilizzi al di fuori di quanto previsto dal protocollo, compreso il cattivo uso o l’abuso del medicinale, sono soggetti all’obbligo di segnalare le reazioni avverse.
Nel determinare se un evento avverso costituisce una reazione avversa, si tiene conto della ragionevole possibilità di stabilire un nesso di causalità tra l’evento e il medicinale sperimentale sulla base di un’analisi degli elementi di prova disponibili.
Se lo sperimentatore che effettua la comunicazione non fornisce informazioni sul nesso di causalità, il promotore lo consulta e lo invita a esprimere un parere in merito. Il promotore non deve sottostimare la valutazione del nesso di causalità operata dallo sperimentatore. Se il promotore non concorda con la valutazione del nesso di causalità operata dallo sperimentatore, nella relazione sono espressi sia il parere dello sperimentatore sia quello del promotore.”
– al Considerando 61: “Se, nel corso di una sperimentazione clinica, i danni causati al soggetto implicano la responsabilità civile o penale dello sperimentatore o del promotore, i presupposti di tale responsabilità in simili casi, anche per le questioni legate alla causalità e all’entità dei danni e delle sanzioni, dovrebbero rimanere disciplinati dal diritto nazionale.”
[182] Secondo la teoria frequentista la probabilità è definita “come la frequenza relativa con cui gli elementi di una classe presentano una determinata proprietà” I. M. Copi, C. Cohen, Introduzione alla logica, Bologna, 1999, p. 574.
Secondo la teoria bayesiana, invece, “la probabilità è sempre un grado di credenza calcolabile che dipende dal grado di probabilità dalle prove disponibili. … supponiamo si debba la stabilire la probabilità che Rossi abbia avvelenato il caffè alla luce di certe evidenze disponibili.
Il detective comincia assegnando un certo valore a priori alla probabilità di H( Rossi ha avvelenato il caffè) prima di esaminare le evidenze E1, E2, E3… En, dove E1 è, supporremo, il fatto che Rossi ha comprato una dose di veleno. Egli assegna anche un valore a priori a Pr(E1|H), cioè alla probabilità che Rossi abbia comprato il veleno dato che ha avvelenato il caffè (verosimiglianza). Se assegna anche un valore a Pr(E1), grazie al teorema di Bayes si trova Pr(H|E1). Dunque con questo metodo si passa dalla probabilità di H a quella aggiornata (updated) di H|E1. Chiamiamo Pr(H’) questa probabilità revisionata. Si passa poi con lo stesso procedimento a calcolare Pr(H’|E2), ripetendo poi la procedura per ogni presunta prova E1…En. Questa iterazione di revisioni porta a Pr(H’’’’|En). Si può dimostrare che più aumenta il numero delle condizionalizzazioni più le valutazioni soggettive tendono a convergere verso un valore unico, limitando quindi l’arbitrarietà delle valutazioni a priori.” C. Pizzi, Lezioni di logica della prova, Lezione 3. Il bayesianesimo, reperibile on line – http://www.giurisprudenza.unimib.it/DATA/insegnamenti%5C4_575%5Cmateriale/lezioni%20di%20logica%20della%20prova.pdf
[183] Secondo questo criterio, pertanto, mentre l’indagine scientifica sull’efficacia del medicinale presuppone la formulazione delle ipotesi da sottoporre al test clinico, lo studio dei profili di rischio, più che sul controllo delle ipotesi sperimentali, dovrebbe piuttosto focalizzarsi nel rilevare, secondo la maggior estensione e gradi di incisività possibile, gli effetti negativi del medicinale per aggiornare, nel corso dell’indagine statistica, i confini del dominio di eventi da considerare contribuendo a ridurre al massimo la possibilità di incorrere in falsi negativi (per cui cfr. di seguito).
[184] (La descrizione che segue è tratta da R. Festa, V. Crupi, P. Giaretta, op. cit. p. 130) – Secondo il meccanismo di conferma induttiva relativizzata l’aumento della conferma di un’ipotesi teorica, la cui plausibilità si fondi già in un certo grado su una conoscenza presupposta ‘F’, avviene considerando i dati sperimentali osservati. Essi possono essere sintetizzati formalmente in un enunciato ‘A’ dal quale, generalmente, non è possibile ricavare deduttivamente l’ipotesi ‘H’ da controllare. Questa ipotesi ‘H’, invero, viene ottenuta dalle osservazioni compiute secondo altri meccanismi inferenziali induttivi, di tipo statistico o di altro tipo. Secondo il modello in esame, i dati sperimentali osservati e formalizzati nell’enunciato ‘A’, uniti alla conoscenza presupposta ‘F’, hanno l’attitudine di aumentare la plausibilità dell’ipotesi ‘H’ se ed in quanto accrescano la fiducia nella sua verità, che già si riponeva prima di considerare i dati sperimentali osservati. Ciò significa che la plausibilità dell’ipotesi ‘H’ è aumentata in quanto considerata in relazione alla conoscenza presupposta ‘F’ e ai dati sperimentali formalizzati nell’enunciato ‘A’.
Data la conoscenza presupposta ‘F’, si ha allora un controllo ipotetico-deduttivo di conferma induttiva relativizzata dell’ipotesi ‘H’, qualora tale ipotesi ‘H’ fornisca la predizione di un dato evento ‘G’, da essa deduttivamente formulato, e ‘G’, che non è già implicato nella conoscenza presupposta ‘F’, venga poi in effetti riscontrato statisticamente, aumentando così, in modo induttivo, il grado di conferma dell’ipotesi ‘H’ in relazione alla conoscenza presupposta.
In senso contrario all’attitudine corroborante dell’evidenza probabilistica induttiva cfr. K. R. Popper, D. Miller, Why probabilistic support is not inductive, in Philosophical Transactions of the
Royal Society of London A, 321, 1987, p. 569-591.
[185] Cfr. V. Barnett, op. cit., p. 5: “The model of the practical situation consists, essentially of a statement of the set of possible outcomes and specification of the probabilistic mechanism governing the pattern of outcomes that might arise”.
[186] V. Barnett, op. cit., p. 5 e 6.
[187] Cfr. in particolare Punto 6.4 Statistical Evaluation delle ICH Harmonised Tripartite Guideline Statistical Principles For Clinical Trials E9 sopra citate.
[188] “I p – value sono asserzioni di probabilità formulate sul presupposto dell’ipotesi nulla (solitamente l’ipotesi che non ci sia alcun effetto o differenza clinica)”. Ogni clinical trial, che costituisce un test di controllo di una ipotesi di efficacia del farmaco sperimentale in comparazione con un farmaco alternativo od un placebo (D. Teira, op. cit., p. 258), è teso a rilevare un effetto o una differenza nei diversi gruppi di intervento e di controllo coinvolti nel test del medicinale testato. “Può accadere che tale effetto o differenza non si riscontri in quanto non vi sia alcun effetto. Questa evenienza è chiamata ipotesi nulla. Tuttavia, qualora ricorra l’ipotesi nulla, ben potrebbe accadere di rilevare comunque una differenza o un effetto, ma che tale riscontro sia dovuto a variabili casuali e non all’intervento medicinale oggetto di controllo. Allora si potrebbe chiedere: “se è corretta l’ipotesi nulla, quante probabilità vi sarebbero di ottenere comunque il risultato riscontrato od uno più estremo?” Il p – value è la probabilità di ottenere il risultato riscontrato o risultati più estremi quando l’ipotesi nulla è vera. Se è improbabile che ciò si verifichi, l’effetto rilevato potrebbe venire considerato come evidenza del fatto che l’ipotesi nulla è falsa. Se il risultato riscontrato può essere relativamente probabile, questo potrebbe essere acquisito come evidenza che l’ipotesi nulla è vera.” adattamento e traduzione da S. Piantadosi, Clinical Trials, A Methodological Perspective, Hoboken, 2005, p. 173.
[189] E. Shahar, op. cit., p. 112. Con particolare riferimento al concetto di significatività statistica – p-value, le critiche sviluppate secondo una prospettiva popperiana hanno evidenziato che proprio per il fatto che il p-value rappresenta la probabilità di rilevare i risultati ottenuti nello studio, ovvero risultati più estremi, quando l’ipotesi nulla è vera, esso riferisce anche in merito a dati non osservati nello studio.
Inoltre, è stato sostenuto che il carattere probabilistico del p-value, essendo appunto soltanto probabilistico e non conclusivo, non esclude la possibilità anche minima di rilevare i risultati di efficacia del test nonostante l’ipotesi nulla sia vera. Pertanto, non dovrebbe essere utilizzato come evidenza per la falsificazione o corroborazione dell’ipotesi secondo il meccanismo ipotetico-deduttivo.
L’Autore richiama a questo proposito, tra gli altri, K. J. Rothman, Significance questing, in Annals of Internal Medicine, 105, 1986, p. 445 – 447; M.J. Gardner, D.G. Altman, Confidence intervals rather than P-values: estimation rather than hypothesis testing, in British Medical Journal, 292, 1986, p. 746 – 750; C. Poole, Confidence intervals exclude nothing, in American Journal of Public Health, 77, 1987, p. 492 – 493; S. N. Goodman, R. Royall, Evidence and scientific research, in American Journal of Public Health, 78,1987, p. 1568 -1574; M. J. Schervish, P-values: what they are and what they are not, in The American Statistician, 50, 1996, p. 203 – 206; ma cfr. sempre circa profili critici del p-value anche D. Teira, op. cit, p. 258 e ss. ed anche C. Howson, P. Urbach, op. cit., p. 171 e in particolare p. 174 e ss.
– Per considerazioni critiche sulla costituzione di gruppi di controllo quale meccanismo selettivo del dominio d’indagine causale cfr. B. Osimani, F. Mignini, op. cit., p. 3 e anche, circa la randomizzazione, la bibliografia ivi richiamata come, ad esempio, N. Cartwright, Are RCTs the gold standard? in Biosocieties, 2, 2007, p. 11 – 20; ancora D. Teira, op. cit, p. 255 – 298.
– Cfr., tuttavia, a proposito dell’accoglimento espresso a livello normativo delle pratiche di controllo e randomizzazione anche il Punto 5.2.5.1. concernente le Relazioni sugli studi sull’efficacia e la sicurezza
della Direttiva 2001/83/CE.
– Il p – value – significatività statistica espone necessariamente lo scienziato all’errore di riconoscere efficacia al medicinale sperimentale quando questo, invero, non ne ha. L’elemento che determina tale possibilità è rappresentato dal valore critico di discrimine del test di significatività, determinato liberamente con il protocollo sperimentale (S. Piantadosi, op. cit., p. 171).
Tale errore, che può essere limitato anche riferendosi altri elementi di controllo (S. Piantadosi, op. cit., p. 171), viene identificato con la denominazione Type I error, o errore a, e consiste nel rigettare l’ipotesi nulla quando in realtà è vera e rilevare, pertanto, una associazione tra l’effetto e l’intervento quando in verità tale associazione non esiste.
In senso opposto, invece, il Type II error, o errore b (che dipende, oltre che dal valore critico di discrimine del test, anche da altri due fattori in merito ai quali si rinvia a S. Piantadosi, op. cit., p. 173 – Par. 7.2.7 Type II Errors Depend on the Clinical Difference of Interest), consiste nell’accettare l’ipotesi nulla quando in realtà è falsa e, quindi, non rilevare una associazione esistente tra farmaco e l’effetto da questo prodotto (la potenza di uno studio, invece, consiste nella probabilità di rigettare l’ipotesi nulla quando è falsa e viene individuata sottraendo da 1 la probabilità di commettere l’errore b).
Un approccio prudenziale verso tali valutazioni orienta l’attenzione principalmente, anche se non esclusivamente, su scelte metodologiche che minimizzino le possibilità di falsi negativi, ossia le possibilità di incorrere nell’errore b, in particolar modo, nel caso in cui si stia individuando e valutando gli effetti negativi – rischi riconducibili al medicinale (B. Osimani, F. Mignini, op. cit., p. 9; P. F. Ricci, Environmental and Health Risk Assessment and Management – Principles and Practices, Dordrecht, 2006, p. 36 e ss.)
Pare opportuno anche evidenziare (come risulta da A. Elsäßer, et al., Adaptive clinical trial designs for European marketing authorization: a survey of scientific advice letters from the European Medicines Agency, in Trials, 15, 2014, p. 383) che l’insufficienza dei parametri di controllo per i Type I errors costituisce una delle principali ragioni di critica dei protocolli degli adaptive trials da parte del Comitato per i prodotti medicinali per uso umano (CHMP) dell’EMA.
Il test clinico, invero, può strutturarsi nella forma esploratoria o confirmatoria (ICH Guide Line E9 sopra citate ai Punti 2.1.2 Confirmatory Trial e 2.1.3 Exploratory Trial) e quest’ultima ha quasi sempre come riferimento principale altri studi esploratori precedentemente condotti.
Nei modelli sperimentali confirmatori l’ipotesi fondamentale, peraltro oggetto dell’obbiettivo primario del test, viene tendenzialmente corroborata o falsificata con il completamento del trial.
Tuttavia, per ottenere questa attendibilità valutativa dai dati sperimentali è fondamentale, tra l’altro, considerare attentamente l’effettiva consistenza degli effetti riconducibili alla somministrazione del medicinale testato e rapportare tali effetti al loro significato clinico sperimentale complessivo.
In questi studi, inoltre, risulta fondamentale considerare i meccanismi di generalizzazione dei risultati del test alla popolazione cui si intende destinare il prodotto farmaceutico (Meccanismi di generalizzazione che, secondo il Glossario in calce alla medesima Guide Line E9 consistono in “The extent to which the findings of a clinical trial can be reliably extrapolated from the subjects who participated in the trial to a broader patient population and a broader range of clinical settings.”) Diversamente dal modello confirmatorio, invece, il tipo esploratorio di sperimentazione clinica, per sua struttura propria, presenta obbiettivi di studio che non consentono sempre la formulazione di ipotesi predefinite ed, infatti, ne può comportare la flessibilità ed adattabilità in rapporto al progresso conoscitivo acquisito nel corso dell’indagine.
Qualsiasi sperimentazione clinica può presentare entrambi i profili confirmatori e esploratori dell’indagine e di questo bisogna che eventualmente il protocollo del test faccia riferimento, distinguendo le rispettive metodologie, i criteri valutativi e le finalità evidenziarie cui si intende riferire i dati ottenuti con la conduzione del trial (cfr. a questo proposito le ICH Guide Line E9 sopra citate e Reflection Paper On Methodological Issues In Confirmatory Clinical Trials Planned With An Adaptive Design della Committee for Medicinal Product for Human Use (CHMP) in data 18 ottobre 2007, Doc. Ref. CHMP/EWP/2459/02).
[190] Cfr. per una sintesi, anche storica, della problematica M. Mondadori, Induzione statistica, voce in Enc. Einaudi, Vol. VII, Torino, 1979.
– Non esiste, invero, alcuna ragione di credere che i casi di cui non si è avuta alcuna esperienza debbano somigliare necessariamente a quelli di cui, invece, si è fatta esperienza.
Secondo una prospettiva critica rigorosa, proprio perché non esiste alcuna giustificazione oggettiva per affidarsi conclusivamente a tale tipo di inferenza, anche la proposta metodologica (neo)bayesiana (De Finetti), che tenta, condivisibilmente, di arricchire al massimo grado la conoscenza ricavabile dall’indagine scientifica (con l’aggiornamento oggettivo e dinamico delle probabilità originarie delle ipotesi in conformità alla conoscenza acquisita dai campioni rilevati nel corso dell’indagine), configura, secondo una tra le più ottimistiche delle posizioni, un modello giustificato essenzialmente secondo un ragionamento ‘virtuoso’ ma ‘palesemente circolare’. Il primo degli assiomi di tale paradigma, quello di coerenza, infatti, è giustificato dalla sua conformità al modello dell’utilità prevista sulla base della pratica induttiva (intesa come scelta in condizioni d’incertezza). A sua volta, tuttavia, lo svolgimento della pratica induttiva è prescritto dall’utilità prevista (ancorché secondo una dinamica di reciproco e progressivo adattamento dei due elementi) (M. Mondadori, op. cit., p. 391 e S. Morini, Teoria/pratica, voce in Enc. Einaudi, Vol. XIV, Torino, 1981, p. 179 e ss.).
[191] Cfr. J. Sprenger, Statistics between inductive logic and empirical science, in Journal of Applied Logic, 7, 2009, p. 239–250, il quale nel sommario a p. 249: “… Bayesianism can be extremely useful. Instead, I am concerned with the logical view of statistics that claims the existence of a clearly separable and unified logic of inductive inference whose results serve as a basis for decision-making. Nothing could be further from actual practice. … Bayesian reasoning is … best embedded into a decision-theoretic framework, thus dismissing the logical view of statistical inference. The subsequent discussion of frequentist model selection methods show that satisfactory inference methods are highly sensitive to prior assumptions, goals of inference and substantial scientific insights into the underlying process. Statistical methods are optimal only relative to a variety of external, pragmatic factors: Which types of error do we want to address? What are the practical consequences of a fallacious inference? What is the structure of the random error? Do we have nested or non-nested, linear or non-linear models? And so forth.
It turns out to be impossible to make a neat separation between the logical and the decision-theoretic part in statistical inference.”
[192] Rapporto ESTO, secondo il quale al Punto 3: “Technological risk is not a single monolithic quantity. Even under the most reductive of analytical approaches, it is conceded that risk is a function of two variables – the probability of an impact and it’s magnitude. However, it is only very rarely the case that an individual technology is seen to present only one form of hazard. Normally, the characterisation of risks associated with any individual technology requires the aggregation of a series of different magnitudes, each corresponding with a particular form of impact.”
[193] Rapporto ESTO, sempre al Punto 3 “The conventional analytical response to this breadth and diversity of issues in risk assessment is to adopt a single major yardstick of performance and seek to measure all the various aspects of risk using this as a metric. The chosen unit of measurement in conventional risk assessment is almost always human mortality, although more complex regulatory appraisals sometimes also employ a variety of measures of human morbidity effects. … Of course, one crucial consequence of this artificial narrowing and conflation of the full diversity of technological risk is effectively to exclude from consideration many classes of effect.”
[194] Rapporto ESTO, sempre al Punto 3: “The crucial point with regard to many of these dimensions is that, as with many of the different classes of impact, they are irreducibly qualitative in nature. Even where some effort at quantification under an individual dimension is felt possible, the resulting values will be incommensurable in the sense that they cannot readily or unambiguously be reduced to a single measure of performance” ed ancora al Punto 6: “Decisions over the framing and scope of appraisal, the relative priority to assign to different factors, the comparative likelihoods of many different possibilities and the weighting to place on ignorance and surprise are all matters on which the sciences of risk assessment are intrinsically unable to provide definitive answers. It is in these terms that it might be seen as a matter of ‘sound science’ (as well as ‘common sense’) that regulation cannot exclusively be based on science – hence the contradiction between the notions of ‘sound science’ and ‘science based regulation’ mentioned above. The conclusion is thus reinforced that science can only ever provide one (albeit crucial) element in the management of technological risk. There can be no ‘analytical fix’ for the complexities, ambiguities and contradictions encountered in the social appraisal of risk.”
[195] Cfr. M. Weber, op. cit, in particolare p. 24 e 26.
[196] Rapporto ESTO, sempre al Punto 3: “The relative priority attached to the different dimensions of risk is intrinsically a matter of subjective value judgement. These properties of multidimensionality and incommensurability are crucial and intractable features of technological risk.”
[197] Rapporto ESTO – European Science and Technology Observatory, al Punto 3: “Different cultural groups, political constituencies or economic interests typically attach different degrees of importance to the different aspects of technological risk. Within the bounds defined by the domain of plural social discourse, no one set of values can definitively be ruled more ‘rational’ or ‘well informed’ than any other. Even were there to be complete certainty in the quantification of all the various classes and dimensions of risk, it is entirely reasonable that fundamentally different conclusions over technological risk might be drawn under different – but equally legitimate – perspectives. There can be no analytical fix for the problems encountered in the social appraisal of risk.”
[198] Rapporto ESTO, al Punto 3: “… For it remains the case that the disciplines of risk assessment, economics and decision analysis have developed no single definitive way of addressing the problems of multidimensionality and incommensurability discussed here. Even the most optimistic of proponents of rational choice theory acknowledge that there is no effective way to compare (or aggregate) utility across individuals or different groups in society. Indeed, even where social choices are addressed simply in ordinal (or relative) terms, the economist Arrow went a long way towards earning his Nobel Prize for demonstrating formally that it is impossible definitively to aggregate preferences in a plural society.”
[199] Rapporto ESTO, al Punto 4: “Closer examination of the literature to find the reasons for this kind of discrepancy reveals that the problem does not tend to be driven by any single factor in analysis, nor is it a simple matter of some studies being more ‘accurate’ or ‘reasonable’ than others in any definitive sense. The manifest variability in results and ambiguity in rankings is rather a simple reflection of the issue raised in the previous section – the adoption of different (but equally scientifically valid) assumptions and priorities concerning the multitude of different dimensions of risk.”
[200] Profili, questi ultimi, sulla cui determinazione la Commissione rivendica piena competenza – Punto 3 e 5 del Sommario della Comunicazione della Commissione sul Principio di Precauzione sopracitata: “La Commissione ritiene che la Comunità, come gli altri Membri dell’OMC, ha il diritto di stabilire il livello di protezione – in particolare per quanto riguarda l’ambiente e la salute degli esseri umani, degli animali e delle piante – che ritiene appropriato. … I responsabili debbono essere pienamente consapevoli del grado d’incertezza collegato ai risultati della valutazione delle informazioni scientifiche disponibili. Giudicare quale sia un livello di rischio “accettabile” per la società costituisce una responsabilità eminentemente politica ”
[201] Non sarebbero controllabili, infatti ne a priori, come si è visto, quanto ad ampiezza di legittimazione democratica, ne a posteriori in conformità ad un controllo giurisdizionale effettivo.
In tale ipotesi, invero, le determinazioni di AIC e di risk management dei singoli medicinali si fonderebbero su pseudo motivazioni scientifiche formulate ad hoc, redatte secondo criteri sostanziati in conformità a logiche emergenziali di mera coerenza intrinseca del singolo provvedimento di AIC o di rigetto.
Tali criteri, invero, non sarebbero controllabili poiché risulterebbero identificati, interpretati, incessantemente aggiornati e, quindi, modificati dalla medesima amministrazione tecnica consultiva della comunità scientifica chiamata ad applicarli caso per caso.
[202] M. S. Giannini, Istituzioni di diritto amministrativo, Milano, 2000, p. 267.
[203] Controllo di logicità-ragionevolezza, qui considerato individualmente, che, come visto, è tuttavia da effettuarsi assieme a quello circa il rispetto dei principi di precauzione (prudenza e precauzionalità) e di proporzionalità.
[204] Necessità logica da ricavarsi dal corpo motivazionale del provvedimento, ed in particolare dalla valutazione di bilanciamento rischi/benefici, che esponga il perché la determinazione di AIC o di rigetto non potrebbe essere che quella assunta.
[205] Il potere di controllo amministrativo, qui in considerazione, può essere esercitato sul presupposto dell’iniziativa del privato che intenda immettere sul mercato il prodotto medicinale, ovvero lo abbia già immesso. Il controllo è funzionale non solo a proteggere il bene salute, già esistente, ma anche ad incrementarlo con l’introduzione di nuovi prodotti più efficaci o, a parità di efficacia terapeutica, meno costosi.
L’effetto normativo, in questo caso, non si produce con l’esercizio automatico e meccanico del potere poiché quest’ultimo, come considerato, implica un margine di operatività nel riscontro dei fatti della realtà fenomenica.
[206] Cfr. F. Ledda, op. cit., p. 371 ss., in particolare a proposito il paragrafo 3.
[207] cfr. il sopra citato Punto 5.1 – I fattori che attivano il ricorso al principio di precauzione – della Comunicazione della Commissione sul Principio di Precauzione.
[208] Tale posizione propone la suddivisione riduzionistica dei fatti della realtà fenomenica in semplici e complessi.
Questa prospettiva deriva dalla duplicità dei modi per accertarli; come se esistesse la possibilità di rilevare gli eventi semplici in modo immediato ovvero, nel caso dei fatti complessi, secondo un’unica metodologia scientifica, senza possibilità di scelta tra le metodologie esistenti; cfr. E. Casetta, Manuale di diritto amministrativo, Milano, 2012, p. 396 e 484 e ss. secondo il quale, in particolare, sulla discrezionalità tecnica: “Questo tipo di discrezionalità, c.d. ‘pura’, va distinta dalla c.d. discrezionalità tecnica, che è la possibilità di scelta che spetta all’amministrazione allorché sia chiamata a qualificare fatti suscettibili di varia valutazione e si riduce ad un’attività di giudizio a contenuto scientifico. Molto spesso, infatti, tra i presupposti fissati dalla legge per l’esercizio del potere amministrativo vi sono fatti (complessi) che non possono essere giudicati semplicemente come esistenti o inesistenti e che, dunque, non sono suscettibili di mero accertamento che non lasci spazio a valutazioni. … in tali casi l’amministrazione dovrà operare una valutazione, la quale, tuttavia, a differenza delle ipotesi di discrezionalità pura, non viene effettuata alla luce di un interesse pubblico, bensì in base a parametri tecnici e non implica una manifestazione di volontà, ma soltanto di giudizio.”
[209] Cfr. anche la Comunicazione della Commissione sul Principio di Precauzione – per la quale al Punto 6.3.3: “Le misure dovrebbero essere coerenti con quelle già adottate in situazioni analoghe o utilizzando approcci analoghi. Le valutazioni di rischio comportano una serie di elementi da prendere in considerazione per una valutazione quanto più completa possibile. Questi elementi si propongono d’identificare e di caratterizzare i pericoli, in particolare stabilendo un rapporto tra la dose e l’effetto, di apprezzare l’esposizione della popolazione colpita o dell’ambiente. Se la mancanza di alcuni dati scientifici non consente di caratterizzare il rischio, tenuto conto delle incertezze inerenti alla valutazione, le misure precauzionali adottate dovrebbero essere di portata e di natura comparabile con le misure già adottate in settori equivalenti, nei quali tutti i dati scientifici sono disponibili”.
[210] I modelli sperimentali ed i caratteri delle metodologie implementate nei clinical trials, come visto, non realizzano il fine conoscitivo con la medesima utilità. Cfr. S. Piantadosi, op.cit., p. 107 e ss. secondo il quale: “statistics is both a descriptive and an analytic science. Methods for data description do not strongly highlight different statistical perspectives. However, if we attempt to uncover relationships in the data, analytic tools become necessary, and these lead to foundational differences in perspective or philosophy of inference. This is a reflection of the fact that there is no single best way to connect the empirical findings of data with the truth of nature”; l’utilità di un modello conoscitivo si ricava dallo scopo conoscitivo che persegue, il quale plasma di sé le metodiche implementate. Esse, peraltro, devono essere giustificate dalle conoscenze pregresse. Cfr. sull’argomento, altresì, il Punto 2.2 della ICH Topic E 8
General Considerations for Clinical Trials, marzo 1998, ref. CPMP/ICH/291/95 ed in letteratura R. N. Giere, Scientific perspectivism, Chicago, 2006.
[211] Che la scelta metodologica dell’Amministrazione debba essere diretta all’acquisizione della maggiore conoscenza disponibile è richiesto, peraltro, anche da una irriducibile necessità ordinamentale.
Infatti, se è vero che è il rischio che giustifica l’ampiezza delle misure precauzionali, limitative del mercato ma necessarie a garantire l’elevato livello di tutela richiesto dal Trattato, bisogna che l’Amministrazione adotti la metodologia che riduca al massimo grado possibile la non-conoscenza scientifica in cui si sostanzia il rischio.
La prospettiva opposta, invero, oltre a munire l’Amministrazione di discrezionalità pressoché illimitata, si porrebbe in netto contrasto con le istanze di integrazione e promozione del mercato unico.
– Confermano il fatto che la determinazione debba sempre essere assunta sulla base della maggior conoscenza possibile, oltre la giurisprudenza europea sopra citata, tra i molti riferimenti normativi, ad esempio, il considerando 19 del Regolamento 726/2004/CE per il quale: “Il principale compito dell’agenzia dovrebbe essere quello di fornire alle istituzioni comunitarie e agli Stati membri pareri scientifici del più alto livello per consentire loro l’esercizio dei poteri loro conferiti dalla normativa comunitaria sui medicinali per l’autorizzazione e la sorveglianza dei medicinali. Solo quando l’agenzia avrà proceduto ad una valutazione scientifica unica del più alto livello della qualità, sicurezza ed efficacia dei medicinali ad alta tecnologia, la Comunità dovrebbe rilasciare un’autorizzazione all’immissione in commercio con una procedura rapida che assicuri una stretta cooperazione tra Commissione e Stati membri.”
Il Punto 2.2 della ICH Topic E 8
General Considerations for Clinical Trials, marzo 1998, ref. CPMP/ICH/291/95, secondo il quale:”..The cardinal logic behind serially conducted studies of a medicinal product is that the results of prior studies should influence the plan of later studies. Emerging data will frequently prompt a modification of the development strategy.”; i Considerando 7 e 54 della Direttiva 2001/83/CE; il considerando 60 della medesima Direttiva per il quale: “Alla Commissione deve essere conferita la competenza ad adottare le necessarie modificazioni dell’allegato I, al fine di adattarlo al progresso scientifico e tecnico”
; ancora il successivo art. 121: “La Commissione è assistita da un comitato permanente per i medicinali per uso umano ai fini dell’adeguamento al progresso scientifico e tecnico delle direttive volte all’eliminazione degli ostacoli tecnici agli scambi nel settore dei medicinali, in seguito denominato: «il comitato permanente»”. Ancora il successivo punto 3.2 (4) dell’Allegato I, relativo ai principi e requisiti fondamentali della documentazione in merito alla fabbricazione e controllo della sostanza attiva e del medicinale finito: “Tutte le procedure seguite per i test devono essere conformi agli sviluppi più recenti del progresso scientifico e devono essere convalidati”; ancora, ad esempio, tra le numerose disposizioni contenute nel citato Regolamento UE n. 536/2014, il settantatreesimo considerando: “Al fine di integrare o modificare taluni elementi non essenziali del presente regolamento dovrebbe essere delegato alla Commissione il potere di adottare atti conformemente all’articolo 290 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE) riguardo a:… la modifica dell’allegato VI al fine di garantire la sicurezza dei soggetti e l’affidabilità e la robustezza dei dati ottenuti in una sperimentazione clinica o per tener conto del progresso tecnico” ed ancora la stessa Comunicazione della Commissione sul Principio di Precauzione sopracitata per la quale al Punto 5 del Sommario: “I responsabili debbono essere pienamente consapevoli del grado d’incertezza collegato ai risultati della valutazione delle informazioni scientifiche disponibili”.
– In giurisprudenza ancora Pfizer Animal Health SA v Council, T-13/99, [2002] ECR II-3305 punto 151 e ss. “la valutazione scientifica dei rischi, effettuata dagli esperti scientifici, deve fornire all’autorità pubblica competente un’informazione sufficientemente affidabile e solida al fine di permettere a quest’ultima di cogliere l’intera portata della questione scientifica posta e di determinare la propria politica con cognizione di causa. Di conseguenza, salvo adottare misure arbitrarie che non possono in alcun caso essere legittimate dal principio di precauzione, l’autorità pubblica competente deve badare a che le misure che essa adotta, anche se si tratta di misure preventive, siano fondate su una valutazione scientifica dei rischi il più possibile esaustiva, tenuto conto delle circostanze peculiari del caso di specie… i pareri scientifici sulle questioni relative alla salute dei consumatori devono, nell’interesse dei consumatori e dell’industria, fondarsi sui principi dell’eccellenza, dell’indipendenza e della trasparenza.”
[212] In giurisprudenza rileva indirettamente la problematica, ad esempio, Pfizer Animal Health SA v Council, T-13/99, [2002] ECR II-3305 punto 160 per la quale: “è pacifico tra le parti che, nel contesto dell’applicazione del principio di precauzione, la realizzazione di una valutazione scientifica completa dei rischi, come definita sopra al punto 156, può rivelarsi impossibile a causa dell’insufficienza dei dati scientifici disponibili. Per portare a termine una tale valutazione scientifica completa può infatti essere necessario effettuare una ricerca scientifica molto approfondita e lunga. Orbene, come emerge dalla giurisprudenza citata supra al punto 139, e salvo privare il principio di precauzione del suo effetto utile, l’impossibilità di realizzare una valutazione scientifica completa dei rischi non può impedire all’autorità pubblica competente di adottare misure preventive, se necessario a scadenza molto breve, qualora tali misure appaiano indispensabili in considerazione del livello di rischio per la salute umana, reputato da tale autorità inaccettabile per la società.”
Ritenere che l’Amministrazione non debba compiere una propria scelta, ma semplicemente controllare la congruità intrinseca della metodologia prescelta dall’applicante, oltre a disattendere il disposto normativo che consente all’Amministrazione di compiere controlli sulla validità dei metodi dell’applicante, equivarrebbe peraltro a falsarne la vocazione istituzionale alla better regulation descritta nell’ottica dell’output legitimacy a garanzia dell’interesse generale della salute pubblica. (Cfr. sul punto Nycomed Danmark ApS v Agence européenne des médicaments (EMEA), T-52/09, punti 52, 56 e 63; a livello nazionale inglese, cfr. in questo senso R. v Medicines Control Agency, ex parte Pharma Nord [1998] 44 BMLR 41) In tale evenienza, infatti, essa incorrerebbe in un abuso di potere (tra le molte sul concetto di abuso di potere, in particolare, Uk v Council, C-84/94, [1996] ECR, I-5755, punto 69) poiché, come visto, applicante e Amministrazione per loro natura non tendono ai medesimi interessi secondo il medesimo ordine di priorità.
Il primo, infatti, partendo dall’esigenza istituzionale della propria crescita economica, sviluppa l’indagine per ricavare argomenti sulla qualità, sicurezza ed efficacia del singolo farmaco, mentre la seconda compie la propria attività di governance e promozione del mercato farmaceutico, senza mai poter rinunciare consapevolmente a garantire l’elevato livello di tutela della salute pubblica.
[213] Cfr. M. Weber, op. cit, p. 24.
[214] La posizione qui sposata è quella ricavabile dalla concezione di verità proposta da A. Tarski, [Il concetto di verità nei linguaggi formalizzati, in F. Rivetti Barbò (a cura di), L’antinomia del mentitore nel pensiero contemporaneo, Milano, 1964, par. I, p. 401] come poi sviluppata da K. R. Popper, Scienza e filosofia. Problemi e scopi della scienza, Torino, 1969, p. 173 e ss.
[215] Come, ad esempio, quella che fa consistere la verità con la coerenza delle proposizioni o anche, e soprattutto per quanto qui d’interesse, con il consenso di tutti gli interlocutori o di tutti gli studiosi (secondo le concezioni di J. Habermas e Peirce per cui si rinvia per una succinta panoramica a R. Ferber, Concetti fondamentali di filosofia, Torino, 2009, Vol. I.).
[216] K. R. Popper, Scienza e filosofia. Problemi e scopi della scienza, cit., p. 191 per il quale: “Assumendo che il contenuto di verità e il contenuto di falsità di due teorie, t1 e t2 siano confrontabili, possiamo dire che t2 è più simile alla verità, o corrisponde meglio ai fatti, di t1, se e solo se, o: a) il contenuto di verità, ma non il contenuto di falsità di t2 supera quello di t1, o b) il contenuto di falsità, ma non il contenuto di verità, di t1 supera quello di t2”.
[217] Cfr. a questo proposito K. R. Popper, The Logic of Scientific Discovery, cit., p. 268 e ss.
– Occorre evidenziare, in ogni caso, che l’Autore a proposito del contenuto informativo delle teorie ha dimostrato come, in verità, i due obbiettivi dell’accrescimento della conoscenza e dell’alta probabilità matematica o logica di una teoria, o di una asserzione qualsiasi, sono essenzialmente incompatibili.
Infatti, posto che il contenuto informativo della congiunzione di due asserzioni è necessariamente maggiore di quello che si ha considerando le asserzioni singolarmente e che la probabilità dell’asserzione diminuisce con il crescere del suo contenuto, si ha anche che la probabilità logica o matematica di una asserzione aumenta con l’aumentare della sua imprecisione e viceversa.
– Cfr. a proposito anche K. R. Popper, Scienza e filosofia. Problemi e scopi della scienza, cit., p. 165: “Scrivendo Ct(a) per <<contenuto dell’asserzione a>> e Ct(ab) per il contenuto della congiunzione di a e di b abbiamo
1) Ct(a) £ Ct(ab) ³ Ct(b)
che contrasta con la legge corrispondente del calcolo delle probabilità:
2) p(a) ³ p(ab) £ p(b).
dove i segni di disuguaglianza della prima sono invertiti. Prese insieme, queste due leggi, la 1) e la 2), asseriscono che, col crescere del contenuto, decresce la probabilità e viceversa; o, in altre parole, il contenuto cresce col crescere dell’improbabilità. (Naturalmente quest’analisi concorda pienamente con l’idea generale del contenuto logico di un’asserzione, definito come “classe di tutte quelle asserzioni logicamente implicate da essa”….). … “Questo fatto, in sé banale, ha le seguenti inevitabili conseguenze: se accrescersi della conoscenza significa che operiamo con teorie che posseggono un contenuto sempre in aumento, allora deve necessariamente significare che operiamo con teorie la cui probabilità diventa sempre più piccola (<<probabilità>> nel senso che a questo termine dà il calcolo delle probabilità). Dunque, se ci proponiamo come scopo il progresso o l’accrescersi della conoscenza, non possiamo proporci egualmente di ottenere un’alta probabilità (nel senso del calcolo delle probabilità): questi due scopi sono incompatibili.”
[218] K. R. Popper, The Logic of Scientific Discovery, cit., p. 268 e ss.: “The degree of corroboration of a theory which has a higher degree of universality can thus be greater than that of a theory which has a lower degree of universality (and therefore a lower degree of falsifiability). In a similar way, theories of a higher degree of precision can be better corroborated than less precise ones. … According to my view, the corroborability of a theory – and also the degree of corroboration of a theory which has in fact passed severe tests, stand both, as it were, in inverse ratio to its logical probability; for they increase with its degree of testability and simplicity”.
Lo stesso Autore, nella medesima opera, a p. 128, a proposito della semplicità delle asserzioni e del loro grado di falsificabilità afferma: “Above all, our theory explains why simplicity is so highly desirable. … Simple statements, if knowledge is our object, are to be prized more highly than less simple ones because they tell us more; because their empirical content is greater; and because they are better testable.”
E ancora a p. 402 in merito al grado di corroborabilità di una teoria: “By ‘the problem of degree of corroboration’ I mean the problem (i) of showing that there exists a measure (to be called degree of corroboration) of the severity of the tests to which a theory has been subjected, and of the manner in which it has passed these tests, or failed them; and (ii) of showing that this measure cannot be a probability, or more precisely, that it does not satisfy the formal laws of the probability calculus.”
[219] Così K. R. Popper, Scienza e filosofia. Problemi e scopi della scienza, cit., p. 189. L’autore qui sottolinea che in tale criterio di selezione svolgono un ruolo fondamentale i contenuti delle teorie: “Si ricorderà che il contenuto logico di una asserzione o di una teoria ‘a’ è la classe di tutte le asserzioni che seguono logicamente da ‘a’, mentre ho definito il contenuto empirico di ‘a’ come la classe di tutte le asserzioni-base che contraddicono ‘a’. Questa definizione è giustificata logicamente dal teorema che, per quanto riguarda la ‘parte empirica’ del contenuto logico, il confronto tra contenuti logici e contenuti empirici produce sempre i medesimi risultati, ed è giustificato intuitivamente dalla considerazione che un’asserzione ‘a’ dice tanto più attorno al mondo dell’esperienza, quante più esperienze possibili esclude (o vieta).”
[220] M. W. Wartofsky, Scientific judgment: creativity and discovery in scientific thought, in T. Nickles (a cura di), Scientific Discovery Case Studies, Dordrecht, 1980, p. 12 e ss. per il quale: “Judgment is therefore essentially a category of what I would call practical imagination – the capacity to invent alternative modes of action in terms of present possibilities and conditions; or the capacity to invent new conditions beyond present limits.”
Tale prospettiva è peraltro confermata anche nello Studio ESTO sopra citato per il quale a p. 23: “… it is by means of inclusive reflective discourse that the regulatory process may elicit creative ideas concerning new technological or policy options, unconstrained by institutional or disciplinary blinkers or preconceptions. Likewise, it is only by means of the unbounded garnering of the insights and possibilities which emerge under different perspectives, that the formal condition of ignorance defined in an earlier section of this Report can progressively be reduced to the more tractable state of uncertainty. These and other means to the ‘reduction of intractability’ represent an important part of the open-ended social learning…”
[221] H. Putnam, Che cosa è la logica, Milano 2014, p. 19 e ss.
[222] Cfr. la teoria della conoscenza oggettiva di K. R. Popper, Conoscenza oggettiva. Un punto di vista evoluzionistico, Roma, 2015, p. 103 e ss. per il quale, a pagina 108: “… Così non vi è nulla come la certezza assoluta nell’intero campo della nostra conoscenza. Ma la dottrina (b) ( “Affinché un tipo di credenza o uno stato della mente ammonti a più che una ‘mera” credenza, e sia capace di sostenere la pretesa che ammonti a un elemento di conoscenza, abbiamo bisogno che il credente sia in possesso di ragioni sufficienti per stabilire che l’elemento di conoscenza sia vero con certezza”) identifica la ricerca della conoscenza con la ricerca della certezza. Questa è un’altra ragione per cui essa è la parte più debole della teoria della conoscenza propria del senso comune. Ciò che dobbiamo fare è partire dal fatto che la conoscenza scientifica oggettiva è congetturale, e poi cercare il suo analogo nel campo della conoscenza soggettiva. Quest’analogo può essere facilmente identificato. La mia tesi è che la conoscenza soggettiva è parte di un sistema di adattamento altamente complesso e intricato ma (negli organismi sani) sorprendentemente accurato, e che essa procede in complesso come la conoscenza oggettiva congetturale: col metodo di prova ed eliminazione dell’errore, o per congettura, confutazione e autocorrezione”.
[223] K. R. Popper, Conoscenza oggettiva, cit., p.112.
[224] K. R. Popper, Conoscenza oggettiva, cit., p.112 e 113.
[225] Cfr. P. Craig, op. cit., p. 403 e ss. il quale richiama, per il suo emblematico rilievo in merito, Philip Morris Holland BV v Commission, C – 730/79, [1980] ECR 2671; sulla tematica della discrezionalità cfr., oltre alla bibliografia richiamata innanzi, in particolare nella letteratura italiana D. De Pretis, op. cit., e L. Benvenuti, Interpretazione e dogmatica nel diritto amministrativo, Milano, 2002.
[226] P. Craig, op. cit., p. 408.
[227] Cfr. M. P. Chiti, La tutela giurisdizionale, in M. P. Chiti (a cura di), Diritto amministrativo europeo, Milano, 2013, p. 516 e ss.; ma anche S. Cognetti, op. cit., p. 173 e ss. in merito al sindacato di eccesso di potere in seguito all’applicazione nel nostro ordinamento del principio di proporzionalità e degli altri principi dell’ordinamento europeo.
[228] Cfr. rispettivamente gli articoli 47 della Carta EDU e 19 del Trattato UE.
[229] Secondo questi principi, la diversità del diritto processuale nazionale degli Stati membri è compatibile con il diritto comunitario in quanto non esistano disposizioni europee nella specifica materia. Tuttavia, anche in questo caso, le norme nazionali sono conformi al diritto europeo solo in quanto i) le regole processuali degli Stati membri non dispongano discipline meno favorevoli di quelle a tutela di posizioni di diritto nazionale e, in ogni caso, ii) tali norme processuali non rendano impossibile o troppo difficile la tutela giurisdizionale delle posizioni giuridiche di derivazione europea (cfr. Peterbroeck v Stato Belga, C-312/93, [1995] ECR I-4599; Upjohn v Licensing Authority, C-120/97, [1999] ECR I-223; Trasportes Urbanos y Servicios Generales, C-118/08, [2010] ECR I-635).
[230] – È qui impossibile, ne è ricompreso negli obbiettivi di questo studio, ripercorrere tutte le fasi dell’evoluzione italiana ed inglese circa l’incisività del sindacato giurisdizionale sulla discrezionalità c.d. tecnica esercitata dalla PA. Tuttavia, nell’ambito italiano si evidenziano come particolarmente significative in questo ultimo sviluppo verso una standardizzazione integrata europea del controllo giurisdizionale Cons. Stato, Sez. IV, 9 aprile 1999, n. 601 secondo la quale: “Il sindacato giurisdizionale sugli apprezzamenti tecnici può svolgersi, allora, in base non al mero controllo formale ed estrinseco dell’iter logico seguito dall’autorità amministrativa, bensì invece alla verifica diretta dell’attendibilità delle operazioni tecniche sotto il profilo della loro correttezza quanto a criterio tecnico ed a procedimento applicativo. Non è, quindi, l’opinabilità degli apprezzamenti tecnici dell’amministrazione che ne determina la sostituzione con quelli del giudice, ma la loro inattendibilità per l’insufficienza del criterio o per il vizio del procedimento applicativo”; ma anche Cons. Stato, Sez. VI, 20 febbraio 2008, n. 595 secondo la quale: “la Sezione ha inteso abbandonare la terminologia, utilizzata in precedenza, “sindacato forte o debole”, per porre l’attenzione unicamente sulla ricerca di un sindacato, certamente non debole, tendente ad un modello comune a livello comunitario, in cui il principio di effettività della tutela giurisdizionale sia coniugato con la specificità di controversie”; e ancora più recentemente Cons. Stato, Sez. III, 2 aprile 2013, n. 1856 ove è statuito che: “questo Consiglio, dopo un’iniziale autolimitazione del proprio scrutinio al solo profilo estrinseco dell’iter logico seguito dalla p.a. nella motivazione del provvedimento, ha riconosciuto successivamente la possibilità di un sindacato intrinseco sulla c.d. discrezionalità tecnica, al fine di vagliare la correttezza del criterio tecnico e del procedimento applicativo prescelto dall’amministrazione.
A questo approdo ermeneutico la giurisprudenza è giunta sulla base del dato obiettivo, difficilmente contestabile, che la p.a., anche nell’accertamento di fatti complessi alla stregua di “concetti giuridici indeterminati” (cd. unbestimmte Rechtsbegriffe) o di “regole tecnico-scientifiche opinabili”, debba ispirarsi ad un rigore metodologico e ad una coerenza applicativa che non possono non essere suscettibili di verifica e di controllo da parte del giudice amministrativo, nel loro intrinseco svolgimento, al fine di evitare che la discrezionalità tecnica trasmodi in arbitrio specialistico.
Anche materie o discipline connotate da un forte tecnicismo settoriale, infatti, sono rette da regole e principi che, per quanto “elastiche” o “opinabili”, sono pur sempre improntate ad una intrinseca logicità e ad un’intima coerenza, alla quale anche la p.a., al pari e, anzi, più di ogni altro soggetto dell’ordinamento in ragione dell’interesse pubblico affidato alla sua cura, non può sottrarsi senza sconfinare nell’errore e, per il vizio che ne consegue, nell’eccesso di potere.”
– Per quanto riguarda, invece, l’ordinamento inglese occorre menzionare che il sindacato giurisdizionale sul provvedimento amministrativo discrezionale, secondo tradizione, si è rigidamente esteso soltanto sui profili estrinseci e formali dell’atto, ossia quelli che non incidono né sulla scelta di gestione compiuta dall’Amministrazione né sulle tecniche di registrazione circa i fatti complessi cfr., tra le diverse, R. v Secretary of State for Trade and Industry ex p. Lonrho Plc [1989] 1 WLR 525; Council of Civil Service Unions v Minister for Civil Service [1985] AC 374; Secretary of State for Education and Science v Tameside Metropolitan Borough Council [1977] AC 1014; in particolare, addirittura, secondo una prospettiva elaborata in tale contesto ordinamentale, è necessario che il giudice si astenga dall’applicare standard che si traducano in una limitazione dell’intero complesso di scelte possibili che si possa presumere il potere legislativo abbia inteso attribuire all’Amministrazione cfr. R. v Boundary Commission ex p. Foot [1983] QB 600; sulla necessità del carattere ragionevole (Wednesbury unreasonabless) della determinazione ammnistrativa, nel senso che questa venga assunta considerando le questioni rilevanti e tralasciando quelle che non lo sono cfr. la ben nota pronuncia Associated Provincial Picture Houses Ltd. v Wednesbury Corporation [1948] 1 KB 223; ma anche successivamente R (Association for British Civilian Internees Far Eastern Region) v Secretary of State for Defence [2003] EWCA Civ 473; R (on the application of Daly) v Secretary of State for the Home Department [2001] 2 AC 532; R v Department of Education and Employment [1999] EWCA Civ 2100.
[231] Cfr. P. Craig, op. cit., p. 409 – 410 e ss., in riferimento a tale posizione, promossa specialmente in passato, l’Autore afferma: “The ECJ applied the test for review of fact and discretion especially that of manifest error with a very light touch, such that it was difficult for the applicant to succeed. The ECJ would characteristically deal with the allegation of manifest error within a few brief paragraphs and dismiss the claim unless there was some flagrant or egregious error on the face of the decision.”
[232] Upjohn v Licensing Authority cit. ed anche la giurisprudenza ivi richiamata in particolare al punto 32 secondo la quale: “Va ricordato che, per giurisprudenza costante, in mancanza di disciplina comunitaria in materia, spetta all’ordinamento giuridico interno di ciascuno Stato membro designare i giudici competenti e stabilire le modalità procedurali dei ricorsi giurisdizionali intesi a garantire la tutela dei diritti spettanti ai singoli in forza delle norme comunitarie, sempreché tali modalità non siano meno favorevoli di quelle che riguardano ricorsi analoghi di natura interna (principio dell’equivalenza), né rendano praticamente impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico comunitario (principio di effettività)”.
[233] Upjohn v Licensing Authority, cit., punto 34 secondo la quale: “Invero, risulta dalla giurisprudenza della Corte che un’autorità comunitaria, allorché è chiamata, nell’esercizio delle sue attribuzioni, a compiere valutazioni complesse, dispone per tale motivo di un ampio potere discrezionale il cui esercizio è assoggettato ad un controllo giurisdizionale limitato, il quale non implica che il giudice comunitario sostituisca la sua valutazione degli elementi di fatto a quella della detta autorità. Talché il giudice comunitario si limita, in casi del genere, ad esaminare l’esattezza sostanziale dei fatti e le qualificazioni giuridiche che questa autorità ne ha desunto e, in particolare, se l’operato di quest’ultima non sia inficiato da errore manifesto o sviamento di potere, o se tale autorità non abbia manifestamente oltrepassato i limiti del proprio potere discrezionale .”
[234] Upjohn v Licensing Authority, cit., punto 37.
[235] Upjohn v Licensing Authority, cit., punto 35 secondo la quale: “il diritto comunitario non impone che gli Stati membri istituiscano un rimedio giurisdizionale contro le decisioni nazionali di revoca delle autorizzazioni all’immissione in commercio, adottate a norma della direttiva 65/65 e nell’esercizio di valutazioni complesse, comportante un controllo più ampio di quello esercitato dalla Corte in casi analoghi.”
[236] Sentenza in data 11 settembre 2002 sul caso Pfizer Animal Health SA v Council T-13/99, [2002] ECR II-3033 per un’analisi critica della pronuncia cfr. P. Craig, op. cit., p. 416.
[237] Pfizer Animal Health SA v Council, cit., punto 168 e 169: “… per giurisprudenza consolidata, allorché un’autorità comunitaria è chiamata, nell’esercizio delle sue attribuzioni, a compiere valutazioni complesse, il potere discrezionale di cui gode si applica parimenti, in una determinata misura, alla constatazione degli elementi di fatto alla base della sua azione. Ne deriva, relativamente al caso di specie — nell’ambito del quale spettava alle istituzioni comunitarie procedere ad una valutazione scientifica dei rischi e stimare elementi fattuali di ordine scientifico e tecnico altamente complessi —, che il controllo giurisdizionale relativo all’assolvimento di tale compito da parte delle istituzioni comunitarie deve essere limitato. In tali circostanze il giudice comunitario non può, infatti, sostituire il suo apprezzamento degli elementi di fatto a quello delle istituzioni, alle quali il Trattato ha conferito tale compito in via esclusiva. Egli deve, invece, limitarsi a verificare se l’esercizio da parte delle istituzioni comunitarie del loro potere discrezionale in tale ambito non sia inficiato da errore manifesto o da sviamento di potere, o ancora se le istituzioni comunitarie non abbiano manifestamente oltrepassato i limiti del proprio potere discrezionale”.
[238] Nel giustificare la determinazione del Consiglio e della Commissione di discostarsi dalle conclusioni dello SCAN (Scientific Committee for Animal Nutrition) il Tribunale europeo si riferiva alla responsabilità politica ed alla legittimazione democratica della medesima Commissione, peraltro soggetta al controllo del Parlamento europeo – cfr. Pfizer Animal Health SA v Council, cit., punto 199 e ss.: “Nei limiti in cui l’istituzione comunitaria preferisce discostarsi dal parere, essa è tenuta a motivare specificamente la sua diversa valutazione rispetto a quella espressa nel parere, esponendo i motivi sulla base dei quali non vi si conforma. Tale motivazione dovrà essere di un livello scientifico almeno equivalente a quello del parere in questione. In tal caso, l’istituzione può fondarsi vuoi su un parere integrativo del medesimo comitato di esperti, vuoi su altri elementi aventi forza probatoria almeno equivalente a quella del parere di cui trattasi. Nel caso in cui l’istituzione si discosti solo parzialmente dal parere, essa può anche basarsi sulle parti del ragionamento scientifico in esso contenuto che condivide. Ne consegue che la Commissione — e il Consiglio, se, come nel caso di specie, l’atto è adottato da quest’ultimo su proposta della Commissione — può discostarsi dalle conclusioni espresse nel parere scientifico dello SCAN, eventualmente anche basandosi su taluni elementi dell’analisi scientifica contenuta nel parere stesso.
Tale conclusione si giustifica anche in forza di considerazioni di principio relative alla responsabilità politica e alla legittimazione democratica della Commissione. Mentre l’esercizio di pubblici poteri da parte della Commissione è legittimato, in forza dell’art. 155 del Trattato CE (divenuto art. 211 CE), dal controllo politico del Parlamento europeo, i membri dello SCAN, benché dispongano di una legittimazione scientifica, non hanno una legittimazione democratica né una responsabilità politica. Orbene, la legittimazione scientifica non è sufficiente a giustificare l’esercizio di pubblici poteri.”
[239] Pfizer Animal Health SA v Council, cit., punti 168 e 169 sopra riportati.
[240] E con ciò, come si è visto, il dominio di eventi oggetto d’indagine scientifica.
[241] Commission v Tetra Laval, C-12/03, [2005] ECR I-987.
[242] Tetra Laval BV v Commission, T-5/02, [2002] ECR II-4381.
[243] Cfr. in questo senso tra le varie Artegodan GmbH v Commission, T-74, 76, 83-85, 132, 137, e 141/00, [2002] ECR II-4945 punto 173 e la giurisprudenza ivi richiamata.
[244] Commission v Tetra Laval, cit., punto 37 e ss.
[245] Commission v Tetra Laval, cit., punto 39.
[246] Cfr. Commission v Tetra Laval, cit., in particolare il punto 39, secondo la quale la presenza di discrezionalità “non implica che il giudice comunitario debba astenersi dal controllare l’interpretazione, da parte della Commissione, di dati di natura economica. Infatti, detto giudice è tenuto in particolare a verificare non solo l’esattezza materiale degli elementi di prova addotti, la loro attendibilità e la loro coerenza, ma altresì ad accertare se tali elementi costituiscano l’insieme dei dati rilevanti che devono essere presi in considerazione per valutare una situazione complessa e se siano di natura tale da corroborare le conclusioni che se ne traggono. Tale controllo è ancor più necessario in quanto si tratti di una analisi prospettica imposta dall’esame di un progetto di concentrazione atto a produrre un effetto di conglomerato”.
[247] Cfr. Commission v Tetra Laval, cit., punto 41.
Presupposti epistemologici, quindi, da identificarsi con quelli che sostanziano le ipotesi poste a fondamento del provvedimento adottato.
Invero, la Corte EU sottolinea che il Tribunale di primo grado non ha inteso imporre un livello o grado di prova minimo/necessario per fondare l’azione intrapresa, ma si è limitato ad evidenziare la funzione persuasiva degli elementi probatori i quali, pertanto, devono essere di qualità tale da sostanziare razionalmente le conclusioni cui l’Amministrazione è giunta con la sua istruttoria.
[248] Commission v Tetra Laval, cit., punto 42 e 43: “Un’analisi prospettica, come quelle indispensabili in materia di controllo delle concentrazioni, deve essere effettuata con notevole attenzione dal momento che non si tratta di analizzare eventi del passato, relativamente ai quali spesso si dispone di numerosi elementi che consentono di comprenderne le cause, e neppure eventi del presente, ma piuttosto di prevedere quelli che si verificheranno in futuro, in base a una più o meno forte probabilità, qualora non sia adottata alcuna decisione volta a vietare o a precisare i presupposti della concentrazione prevista.
Quindi, l’analisi prospettica consiste nel verificare in che termini un’operazione di concentrazione potrebbe modificare i fattori che determinano lo stato della concorrenza in un determinato mercato onde accertare se ne conseguirebbe un significativo ostacolo a un’effettiva concorrenza. Tale analisi impone di ipotizzare le varie concatenazioni causa-effetto, al fine di accogliere quelle maggiormente probabili.”
[249] – Tra le varie successive conformi, sempre in materia di governance della concorrenza, cfr. Sun Chemical Group BV, Siegwerk Druckfarben AG and Flint Group Germany GmbH v Commission T-281/06, [2007] ECR II-2149, al punto 60; AstraZeneca AB and AstraZeneca plc v European Commission T-321/05, [2010] ECR II-2805, al punto 33; Bertelsmann AG and Sony Corporation of America v Independent Music Publishers and Labels Association (Impala) C-413/06, [2008] ECR I-4951 ai punti 144 e 145.
– Tra quelle, invece, che appaiono promuovere un giudizio sulla sola coerenza intrinseca della motivazione, anche in considerazione delle posizioni scientifiche contrarie, si segnala in particolare Artegodan GmbH v Commission, cit., ai punti 199 e 200 secondo la quale: “in tale contesto… il giudice comunitario può essere chiamato a esercitare il suo controllo, da una parte, sulla legittimità estrinseca del parere scientifico del CPMP [ora CHMP – Committee for Medicinal Products for Human Use] e, dall’altra, sull’esercizio, da parte della Commissione, del suo potere discrezionale.
Per quanto concerne il parere del CPMP, il Tribunale non può sostituire la propria valutazione a quella del comitato. Infatti, il controllo giudiziario si esercita solamente sulla regolarità dei lavori del CPMP, nonché sulla coerenza interna e sulla motivazione del suo parere. A proposito di quest’ultimo aspetto, il giudice è unicamente legittimato a verificare se il parere contenga una motivazione che consente di valutare le considerazioni sulle quali esso si basa e se esso stabilisca un nesso comprensibile fra gli accertamenti medici e/o scientifici e le conclusioni cui perviene. A tale proposito, occorre sottolineare che il CPMP è tenuto a indicare, nel suo parere, le principali relazioni e perizie scientifiche sulle quali si fonda, e a precisare, in caso di notevoli divergenze, i motivi per i quali esso si discosta dalle conclusioni delle relazioni o delle perizie delle aziende interessate. Tale obbligo si impone in particolar modo in caso di incertezze di ordine scientifico. Assicurando che la consultazione del CPMP avvenga in contraddittorio e in modo trasparente, tale obbligo garantisce che la sostanza di cui trattasi è stata oggetto di una valutazione scientifica approfondita e oggettiva, basata su un confronto tra le tesi scientifiche più rappresentative e le posizioni scientifiche avanzate dai laboratori farmaceutici interessati.”
Per le ragioni sopra esposte, tuttavia, non si vede come un controllo di tal fatta, che si limiti al profilo della mera coerenza intrinseca della motivazione provvedimentale, possa garantire l’oggettività dell’indagine scientifica e assicurarne la non circolarità, in particolare in ragione della descritta asimmetria informativa tra impresa ed Amministrazione.
Più recentemente sulla stessa linea, in materia di ritiro di AIC farmaceutiche per violazioni delle pratiche di buona produzione, cfr. Acino AG v Commissione Europea C-269/13, EU:C:2014:225.
[250] Cfr. Commission v Tetra Laval, cit., in particolare il punto 39 sopracitato: “…ma altresì ad accertare se tali elementi costituiscano l’insieme dei dati rilevanti che devono essere presi in considerazione per valutare una situazione complessa…”.
[251] F. Carnelutti, La prova civile, Milano, 1947, p. 50 – 51 secondo il quale: “A rigore, pertanto, la prova si deve distinguere dal procedimento impiegato per il controllo della proposizione (affermata); la distinzione emerge chiarissima dall’esempio dell’operazione aritmetica: la prova (del risultato) di una operazione si fa mediante un’altra operazione che è la operazione di prova. Così la prova della affermazione intorno alla esistenza di un fatto si fa mediante la conoscenza del medesimo; la conoscenza non è la prova ma dà la prova della affermazione. Da questo lato è giusto riconoscere che oggetto della prova non sono i fatti ma le affermazioni; le affermazioni non si conoscono ma si controllano, i fatti non si controllano ma si conoscono. Avviene però già nel linguaggio comune una trasposizione (traslato) nel significato del vocabolo, per cui prova non designa più soltanto il controllo, ma il procedimento o la attività usata per il controllo; la prova non è più la dimostrazione della esattezza della operazione aritmetica ottenuta mediante un’altra operazione, ma questa operazione medesima; prova non è più il controllo della verità di una affermazione mediante la conoscenza del fatto affermato, ma questa conoscenza stessa quando si ottiene per il controllo della affermazione. Vi è così uno scambio tra risultato e procedimento o attività che risponde, in sostanza, a una funzione intransitiva o transitiva del vocabolo. In questo senso è giusto dire che oggetto della prova sono i fatti non le affermazioni; i fatti si provano in quanto si conoscono per controllare le affermazioni.”
[252] Come considerato, tali argomenti si rivelano cruciali, in particolar modo, per le indagini tese alla rilevazione dei profili di rischio i quali, peraltro, non necessitano della piena dimostrazione per poter fondare legittimamente i provvedimenti di ordine precauzionale; cfr. tra le varie a proposito Artegodan GmbH v Commission, cit., al punto 185 e 192, per la quale: “Secondo una giurisprudenza consolidata, in materia sanitaria, il principio di precauzione implica che, nel caso sussistano incertezze quanto all’esistenza o alla portata dei rischi per la salute delle persone, le istituzioni possono prendere provvedimenti di tutela senza dover attendere che la realtà e la gravità di tali rischi siano pienamente dimostrate” … “Il principio di precauzione impone infatti di sospendere o di revocare un’AIC in presenza di nuovi dati che suscitano seri dubbi circa la sicurezza o l’efficacia del medicinale di cui trattasi, quando tali dubbi portino a un giudizio sfavorevole del rapporto rischi/benefici di tale medicinale. In tale contesto, l’autorità competente può limitarsi a fornire, conformemente al regime comune di prova, indizi seri e concludenti i quali, senza eliminare l’incertezza scientifica, consentano ragionevolmente di dubitare dell’innocuità e/o dell’efficacia del medicinale.”
– Alternativamente al criterio delle gerarchie evidenziarie (c.d. best evidence – in termini di cogenza argomentativa, fondamentalmente riconducibile al modello ipotetico-deduttivo dei RCTs), avanzato dal movimento della Evidence based medicine, occorre allora promuovere, in particolare per la scoperta dei profili di rischio, una prospettiva di indagine, piuttosto, di stampo induttivo bayesiano, che consenta la rappresentazione di un panorama scientifico più ricco e, quindi, tendenzialmente più completo (evidence amalgamation), ancorché criticabile in ragione di una tendenziale minor cogenza argomentativa.
Quest’ultimo modello conoscitivo, infatti, diversamente da quello ipotetico deduttivo, utilizzabile piuttosto per il controllo delle ipotesi ricavate dall’indagine induttiva, apre maggiormente alla possibilità di rilevare nuovi rapporti ed interconnessioni tra problemi scientifici esistenti, ovvero non ancora riscontrati e contribuire così a formulare congetture di contenuto maggiore (cfr. a questo proposito le considerazioni svolte, anche in nota, nel 4’ paragrafo del presente capitolo).
[253] Intesa come conoscenza congetturale secondo la teoria della conoscenza oggettiva di K. R. Popper, op. cit., p. 104 e ss.
[254] Kingdom of Sweden v Commission, T-229/04, [2007] ECR II-2437.
[255] Ed in particolare gli aspetti relativi alla violazione del principio di integrazione, del principio dell’alto livello di protezione della salute umana e del principio di precauzione.
[256] Kingdom of Sweden v Commission, cit, punto 57.
[257] Kingdom of Sweden v Commission, cit., punti 129 e ss.
[258] Kingdom of Sweden v Commission, cit., punti 69 – 80 e 144; ma cfr. a questo riguardo anche l’impostazione dell’indice della pronuncia, ECR II-2519 e ss., il quale dopo l’introduzione nel quadro normativo, descrive lo stato delle conoscenze scientifiche attorno al Paraquat in un paragrafo appositamente dedicato che comprende ed arricchisce l’ambito d’indagine considerato nella propria istruttoria dall’Amministrazione europea.
[259] Kingdom of Sweden v Commission, cit., punto 139.
[260] AOEL – Acceptable operator exposure level. Cfr. Kingdom of Sweden v Commission, cit., punti 69 – 70 e ss.
[261] Kingdom of Sweden v Commission, cit., punto 144.
[262] Kingdom of Sweden v Commission, cit., punti 145, 150 e 151. Cfr. a proposito delle problematicità di questa prospettiva ‘giusitificativa’ si rimanda al paragrafo 5 di questo capitolo.
[263] Kingdom of Sweden v Commission, cit., punto 150.
[264] Cfr. Kingdom of Sweden v Commission, cit., punti 180 e ss. “Quanto all’affermazione del comitato scientifico, secondo cui solo gli individui che non hanno seguito la procedura di lavoro raccomandata hanno mostrato valori di esposizione prossimi alla soglia, si deve osservare, per quanto concerne lo studio guatemalteco, che tale affermazione non è supportata da alcun elemento del fascicolo. Al contrario, come rilevato al precedente punto 176, l’addendum al rapporto preliminare precisa che gli operatori partecipanti allo studio guatemalteco hanno, in generale, osservato le raccomandazioni e gli standard igienici. Si deve pertanto rilevare che tale studio riferisce di un caso di esposizione problematica al paraquat finanche nel rispetto delle procedure di lavoro raccomandate.
Alla luce di quanto precede, lo studio guatemalteco risulta essere un serio indizio che consente di dubitare ragionevolmente dell’innocuità del paraquat per gli operatori incaricati della sua applicazione.
Poiché lo studio guatemalteco attesta un livello di esposizione superiore all’AOEL derivante da un impiego del paraquat alle condizioni proposte, non risulta soddisfatto il requisito stabilito al punto C 2.4.1.1 dell’allegato VI, che vieta qualsiasi superamento dell’AOEL.”
E ancora di seguito ai punti 183 e ss.: “Per quanto riguarda, in secondo luogo, lo studio francese, occorre sottolineare, innanzitutto, che quando la Commissione ha prodotto tale studio nell’ambito delle misure di organizzazione del procedimento è risultato che tale documento non rappresenta tanto uno studio sul campo, quanto una valutazione, ad opera della Commissione francese di studio della tossicità (in prosieguo: la «CST»), sull’esposizione degli operatori al paraquat, come risultante da vari studi. Così, la CST ha valutato l’esposizione degli operatori nel caso di un trattamento con paraquat effettuato con un trattore. Tale valutazione ha preso in considerazione i calcoli di esposizione realizzati in base ad un modello matematico, nonché uno studio sul campo realizzato negli Stati Uniti. La CST ha parimenti valutato l’esposizione degli operatori nel caso di un trattamento con paraquat effettuato mediante un’attrezzatura di polverizzazione a spalla. Tale valutazione ha preso in considerazione i calcoli di esposizione realizzati in base ad un modello matematico nonché gli studi cingalese, guatemalteco e spagnolo. A conclusione dello studio francese, la CST ha emesso un parere nel quale precisa di «mantenere un parere sfavorevole quanto all’autorizzazione dei preparati a base di paraquat per tutti gli usi che richiedono il ricorso ad un trattamento mediante attrezzatura di polverizzazione a spalla». Essa aggiunge che «prospetta un parere favorevole quanto all’autorizzazione dei preparati a base di paraquat per gli usi che richiedono esclusivamente il trattamento delle colture mediante un trattore».
Orbene, deve osservarsi che la direttiva impugnata vieta le applicazioni con attrezzatura a spalla e a mano esclusivamente nel «giardinaggio domestico», cosicché sono consentite le applicazioni con attrezzatura a spalla al di fuori del «giardinaggio domestico», e ciò ancorché queste siano oggetto di un parere sfavorevole della CST nell’ambito dello studio francese.
Poiché la Commissione ha affermato che lo studio francese aveva rivestito un ruolo importante nella sua decisione di iscrivere il paraquat nell’allegato I della direttiva 91/414, ai fini del presente procedimento occorre rilevare che la conclusione di tale studio di dare parere sfavorevole agli impieghi che richiedono l’utilizzo di un trattamento con polverizzatore a spalla, rappresenta un serio indizio per dubitare ragionevolmente dell’innocuità del paraquat quando viene impiegato in siffatta maniera.
Alla luce di quanto precede, devono essere accolte le censure basate, rispettivamente, su un’esposizione superiore all’AOEL e sull’insufficiente valore probatorio del dossier per ammettere l’iscrizione del paraquat nell’allegato I della direttiva 91/414.”
[265] Kingdom of Sweden v Commission, cit., punti 160 e ss., in particolare 169 e 170: “L’art. 5, n. 4, della direttiva 91/414, secondo il quale l’iscrizione di una sostanza attiva nell’allegato I può essere subordinata a talune restrizioni d’impiego, fa sì che sia consentita l’iscrizione di sostanze che non rispondono ai requisiti di cui all’art. 5, n. 1, di questa stessa direttiva, purché siano imposte talune restrizioni atte ad escludere gli impieghi problematici della sostanza di cui trattasi.
Poiché tale disposizione risulta essere un temperamento dell’art. 5, n. 1, della direttiva 91/414, occorre interpretarla alla luce del principio di precauzione. Di conseguenza, prima dell’iscrizione di una sostanza nell’allegato I della direttiva 91/414 dev’essere dimostrato, al di là di ogni ragionevole dubbio, che le restrizioni all’impiego della sostanza di cui trattasi consentono di garantire un impiego della stessa che sia conforme ai requisiti stabiliti dall’art. 5, n. 1, della direttiva 91/414.”
[266] Cfr. il più volte richiamato Considerando 7 della Direttiva 2001/83/CE per il quale: “I concetti di nocività e di effetto terapeutico possono essere esaminati solo in relazione reciproca e hanno soltanto un significato relativo, da valutare in base al grado di sviluppo della scienza e tenendo conto della destinazione del medicinale”
[267] Questo non nel senso per cui si intende promuovere anche per tale contesto di governace il criterio decisionale dell’oltre ogni ragionevole dubbio, che risulta espressamente escluso dal tenore della normativa più volte richiamata, quanto piuttosto per evidenziare la necessità che la valutazione, per poter sostanziare il provvedimento adottato secondo la razionalità della funzione di tutela, sia fondata su un’investigazione scientifica la più esaustiva possibile.
Cfr. sul c.d. livello di prova richiesta per l’adozione di provvedimenti precauzionali in materia farmaceutica di recente Acino AG v Commissione Europea, C-269/13, EU:C:2014:225, pur non soddisfacente nell’impianto motivazionale.
[268] Nycomed Danmark ApS v Agenzia Europea per i medicinali (EMA) T-52/09, [2009] ECR II-43.
[269] A tenore del quale, ai fini dell’ottenimento dell’AIC di medicinali a norma dell’art. 6 della Direttiva 2001/83/CE, “una deroga alla presentazione delle informazioni di cui all’articolo 7, paragrafo 1, lettera a) (ossia ‘i risultati di tutti gli studi eseguiti e i dettagli di tutte le informazioni raccolte conformemente al piano d’indagine pediatrica approvato’) può essere concessa per medicinali specifici o classi di medicinali se esistono dati che dimostrano una delle situazioni seguenti: … b) la malattia o l’affezione a cui è destinato il medicinale specifico o la classe di medicinali si verifica solo nelle popolazioni adulte; …”
[270] Nycomed Danmark ApS v Agenzia Europea per i medicinali (EMA), cit., ove nella parte in fatto al punto 5 è specificato che la Nycomed “a sostegno della sua domanda, … ha indicato che tale agente di visualizzazione tramite ultrasuoni era finalizzato a diagnosticare malattie delle arterie coronarie che si verificano soltanto nella popolazione adulta. Pur ammettendo che i processi fisiopatologici che conducono allo sviluppo di malattie delle arterie coronarie iniziano fin dalla prima infanzia, essa deduce che nei bambini tali malattie hanno solamente il carattere di affezioni cliniche nascenti e riguardano, essenzialmente, soltanto i soggetti affetti da ipercolesterolemia familiare o da diabete «mellito» del tipo 1. Peraltro, essa ha sottolineato che, persino presso queste due popolazioni di pazienti pediatrici ad alto rischio, i segni e sintomi clinici, quali dolori pettorali, respiro affannoso o ancora l’angina pectoris e l’infarto miocardiaco, non si manifestano prima dell’inizio dell’età adulta.”
[271] Nycomed Danmark ApS v Agenzia Europea per i medicinali (EMA), cit., punto 8.
[272] Nycomed Danmark ApS v Agenzia Europea per i medicinali (EMA), cit., punto 9.
[273] Nycomed Danmark ApS v Agenzia Europea per i medicinali (EMA), cit., punto 56, che riporta il tenore letterale di tale rapporto “[L]’ecocardiografia realizzata con [l’agente Imagify] viene proposta dal richiedente come metodo destinato a rivelare anomalie/difetti di perfusione miocardiaca. Le possibili cause di tali anomalie possono risiedere in diverse patologie cardiache che si verificano tanto nei bambini quanto negli adulti. Tra queste anomalie non si rinviene soltanto l’arteriosclerosi coronaria, ma anche difetti cardiaci congeniti, anomalie coronarie, cardiomiopatie, problemi coronari consecutivi ad un intervento chirurgico per difetti cardiaci congeniti e problemi cardiaci avuti in seguito ad una vasculite, quale la sindrome di Kawasaki. È evidente che il fine strategico del richiedente è di ottenere un’autorizzazione all’immissione in commercio per l’indicazione specifica della diagnosi delle malattie delle arterie coronarie unicamente nell’adulto, indubbiamente in quanto si tratta della causa più frequente delle anomalie della perfusione miocardiaca nell’adulto. Poiché le anomalie della perfusione miocardiaca esistono effettivamente nella popolazione pediatrica, il regolamento non consente di concedere una deroga, con la motivazione che una delle affezioni sottese, ossia le malattie delle arterie coronarie, non si verifica nei bambini”
[274] Nycomed Danmark ApS v Agenzia Europea per i medicinali (EMA), cit., punto 39 e ss.
[275] Cfr. l’art. 2, n. 2 del Regolamento n. 1901/2006/CE per il quale: “«piano d’indagine pediatrica»: programma di ricerca e sviluppo che mira a garantire che siano generati i dati necessari per determinare le condizioni in cui un medicinale può essere autorizzato per uso pediatrico”
A questo proposito, tuttavia, occorre riportare ciò che dispone il Considerando 4 del medesimo Regolamento per il quale: “Il presente regolamento mira ad agevolare lo sviluppo e l’accessibilità di medicinali per uso pediatrico, a garantire che i medicinali utilizzati nella popolazione pediatrica siano oggetto di una ricerca etica di qualità elevata, e di un’autorizzazione specifica per l’uso pediatrico, nonchè a migliorare le informazioni disponibili sull’uso dei medicinali nelle diverse popolazioni pediatriche. Tali obiettivi dovrebbero essere realizzati senza sottoporre la popolazione pediatrica a sperimentazioni cliniche non necessarie e senza ritardare l’autorizzazione di medicinali destinati a popolazioni diverse da quella pediatrica.”
[276] Nycomed Danmark ApS v Agenzia Europea per i medicinali (EMA), cit., punto 52
[277] Nycomed Danmark ApS v Agenzia Europea per i medicinali (EMA), cit., punti 91 e 92.
[278] Inoltre, nell’accogliere la posizione a favore dell’oggettività della valutazione in esame il Giudice europeo statuiva che “nell’ambito di un approccio teleologico, … la tesi della ricorrente, ove venisse accolta, darebbe alle imprese farmaceutiche la possibilità di aggirare facilmente gli obblighi ad esse imposti dal regolamento n. 1901/2006. Infatti, per beneficiare di una deroga a tali obblighi, sarebbe sufficiente restringere adeguatamente l’ambito dell’indicazione dei medicinali da esse elaborati. In particolare all’impresa che abbia ideato un medicinale idoneo ad individuare un segno evocatore di malattie che colpiscono sia la popolazione adulta che quella pediatrica basterebbe soltanto proporre un’indicazione dal cui ambito sia esclusa la popolazione pediatrica per beneficiare, in modo certo, di una deroga. Orbene, in una siffatta eventualità, non si sarebbe posto fine alla mancanza di medicinali, perlomeno ad uso diagnostico, adatti alla popolazione pediatrica, mentre questo è uno degli obiettivi perseguiti dal regolamento n. 1901/2006”.
[279] Nycomed Danmark ApS v Agenzia Europea per i medicinali (EMA), cit., punto 65.
[280] Nycomed Danmark ApS v Agenzia Europea per i medicinali (EMA), cit., punto 67: “… a differenza dell’interpretazione della disposizione pertinente, proposta dalla ricorrente, l’interpretazione adottata nella decisione impugnata consente al comitato pediatrico di dichiarare, mediante un parere motivato e fondato su dati oggettivi scientificamente giustificati, che il medicinale ad uso diagnostico di cui trattasi consente di individuare un segno che può essere associato, non soltanto alle malattie o affezioni menzionate nell’indicazione proposta dal suo promotore, ma anche a una o più malattie o affezioni diverse che si verificano, segnatamente, nella popolazione pediatrica. In un caso del genere, l’EMA è tenuta a respingere la domanda di deroga, a meno che il richiedente non riesca, nell’ambito del procedimento amministrativo istituito dal regolamento n. 1901/2006, a confutare tale tesi dimostrando dinanzi al comitato pediatrico, in base a dati oggettivi, che il medicinale di cui trattasi consente unicamente di individuare segni imputabili a malattie o affezioni che si verificano soltanto nella popolazione adulta.”
[281] Nycomed Danmark ApS v Agenzia Europea per i medicinali (EMA), cit., punti 97 e ss. e 101 – 105.
[282] Cfr. il combinato disposto dall’articolo 11 e dall’articolo 25 del Regolamento n. 1901/2006/CE, relativi alla deroga dell’obbligo di presentazione del piano d’indagine pediatrica.
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