Procedimento arbitrale: strategie operative e orientamenti giurisprudenziali
L’arbitrato rituale e quello irrituale o libero
L’arbitrato può avere due diverse nature: rituale ed irrituale o libero: l’arbitrato rituale è tradizionalmente regolato dal codice di procedura civile; quello irrituale, è stato, fino a poco tempo fa, una creazione della pratica e della giurisprudenza; attualmente esso è regolato in maniera esplicita, seppur sintetica, dall’articolo 808-ter c.p.c.: “Le parti possono, con disposizione espressa per iscritto, stabilire che, in deroga a quanto disposto dall’articolo 824-bis, la controversia sia definita dagli arbitri mediante de- terminazione contrattuale. Altrimenti si applicano le disposizioni del presente titolo.
Il lodo contrattuale è annullabile dal giudice competente secondo le disposizioni del libro I:
1) se la convenzione dell’arbitrato è invalida, o gli arbitri hanno pronunciato su conclusioni che esorbitano dai suoi limiti e la relativa eccezione è stata sollevata nel procedimento arbitrale;
2) se gli arbitri non sono stati nominati con le forme e nei modi stabiliti dalla convenzione arbitrale;
3) se il lodo è stato pronunciato da chi non poteva essere nominato arbitro a norma dell’articolo 812;
4) se gli arbitri non si sono attenuti alle regole imposte dalle parti come condizione di validità del lodo;
5) se non è stato osservato nel procedimento arbitrale il principio del contraddittorio. Al lodo contrattuale non si applica l’articolo 825”.
Circa la sostanziale differenza fra le due figure, si è molto dibattuto: si è così ritenuto che la prima si riferisse ad un procedimento assimilabile a quello giurisdizionale, mentre alla seconda veniva attribuita natura contrattuale, qualificandosi l’arbitro, o gli arbitri, come mandatari e rappresentanti delle parti, incaricati di risolvere la vertenza loro sottoposta con un atto avente natura di transazione o di negozio di accertamento.
L’atto introduttivo
L’atto introduttivo, definito anche domanda di arbitrato o atto di accesso, è l’atto con il quale una parte assume l’iniziativa di comunicare all’altra la propria intenzione di far decidere, in sede arbitrale, una controversia insorta tra le parti stesse.
La riforma ha abolito la previsione dell’ufficiale giudiziario come soggetto attraverso il quale si deve effettuare la comunicazione; si può quindi ritenere che sia comunque allargata la rosa dei soggetti che possono provvedere alla notifica (si veda ad es. Commentario alle riforme del processo civile, Cedam, 2009, pp. 588 e seguenti, anche per ulteriori approfondimenti dottrinali; in generale, si è posto il dubbio se si debba intendere “notifica” in senso tecnico, benché la prudenza suggerisca una lettura testuale: in questo senso, si veda giorgio Barbieri ed Enrico Bella, in Il nuovo diritto dell’arbitrato, Cedam, 2007, pp. 196 e segg., ove si rileva che la notifica in senso stretto va ritenuta essenziale per consentire la trascrizione della domanda e l’interruzione della prescrizione; nell’opera si espone anche la interessante considerazione che alcuni regolamenti di camere arbitrali prevedono la trasmissione dell’atto introduttivo con mezzi diversi dalla notifica).
Per quanto riguarda la prescrizione, ricordiamo un precedente: “In tema di interruzione della prescrizione, ai sensi dell’art. 2945 c.c., comma 4, nell’ipotesi in cui il giudizio arbitrale non abbia svolgimento e non si giunga ad alcuna pronuncia arbitrale idonea a definire il relativo giudizio, nessuna efficacia sospensiva può attribuirsi al solo atto di impulso, rappresentato dalla richiesta di arbitrato o dalla nomina dell’arbitro. L’operatività della norma di cui all’art. 2945 c.c., comma 4, infatti, presuppone la esistenza di un procedimento arbitrale sfociato in una decisione idonea a definire la fattispecie controversa, sicché la prescrizione resta, in forza di tale norma, sospesa ‘sino al momento in cui il lodo che definisce il giudizio non è più impugnabile o passa in giudicato la sentenza resa sull’impugnazione’” (Trib. Genova, 22 settembre 2005).
Domande riconvenzionali, domande nuove ed eccezione di compensazione
Altro importante aspetto di tale fase della procedura è quello relativo alla proposizione di domande nuove e riconvenzionali.
Le parti possono stabilire nella convenzione di arbitrato, o con atto scritto separato purché anteriore all’inizio del giudizio arbitrale, le norme che gli arbitri debbono osservare nel procedimento e la lingua dell’arbitrato. In mancanza di tali norme gli arbitri hanno la facoltà di regolare lo svolgimento del giudizio, ma sempre nel rispetto del principio del contraddittorio, concedendo alle parti ragionevoli ed equivalenti possibilità di difesa (art. 816-bis, comma 1 c.p.c.); gli arbitri potranno dunque esplicitamente consentire la proposizione di domande nuove e riconvenzionali (per le eccezioni riconvenzionali non sembra sussistere alcun dubbio di legittimità).
Ricordiamo che si ritiene che una domanda sia nuova quando essa si sostanzia in una pretesa obiettivamente differente da quella formulata inizialmente, fondata su un diverso presupposto, mentre domanda ricon- venzionale è quella con cui la parte convenuta chiede una condanna o altro provvedimento a proprio favore nei confronti della parte attrice (cioè del soggetto che ha dato inizio all’arbitrato); eccezione riconvenzionale è poi quella fondata su una causa petendi che consentirebbe un’azione autonoma, ma viene formulata dal convenuto solo per paralizzare l’azione dell’attore.
Così, al soggetto che richieda il pagamento di una somma si può opporre in compensazione un maggior credito, chiedendo la condanna dello stesso a saldare la differenza (domanda riconvenzionale), ovvero si può opporre in compensazione lo stesso credito, chiedendo solo la compensazione parziale e quindi la reiezione della richiesta avversaria (eccezione riconvenzionale).
Con riferimento all’eccezione di compensazione, l’art. 817-bis c.p.c., introdotto dal d.lgs. n. 40/2006, prevede espressamente che gli arbitri sono competenti a conoscere dell’eccezione di compensazione nei limiti del valore della domanda, anche se il controcredito non è compreso nell’ambito della convenzione di arbitrato.
In passato, in dottrina ed in giurisprudenza sono state espresse posizioni discordanti circa la possibilità di proporre nei procedimenti arbitrali le domande riconvenzionali; ora alcune sentenze si sono pronunciate a favore della possibilità di ampliare, nel corso dell’arbitrato, i quesiti originaria- mente proposti (Cass. 4 luglio 2000, n. 8937; Cass. 14 febbraio 2000, n. 1620; Cass. 17 dicembre 1993, n. 12517), ed anche a favore dell’ammissi- bilità di domande nuove (App. Napoli, 9 gennaio 1997, in Rass. avv. Stato, 1997, I, p. 184); contro la mutatio libelli, Coll. arbitr., 12 dicembre 1991, in Arch. giur. oo.pp., 1992, p. 1387; a favore, Coll. arbitr., 22 dicembre 1992, in Giur. it., 1993, I, 2, p. 487 (“nell’arbitrato rituale, improntato a maggiore elasticità rispetto alle cause ordinarie, sono ammissibili le domande nuove purché si sia rispettato il contraddittorio; è quindi lecito introdurre, nel corso dell’arbitrato, una domanda di condanna, sebbene si sia inizialmente richiesto solo un accertamento”).
In particolare, si veda App. Roma 4 luglio 2000, in G. Rom., 01, 265, citata in Commentario breve al diritto dell’arbitrato, Cedam, 2010, sub art. 816-bis, ove si sottolinea l’ammissibilità delle domande riconvenzionali in arbitrato, salvo solo il rispetto del principio del contraddittorio.
In definitiva, dunque, va condivisa la posizione favorevole all’ammis- sibilità di tale proposizione nei rapporti civilistici; nelle controversie in ambito pubblicistico, si dovrà controllare se vi siano norme specifiche contrastanti con il codice di procedura civile, come è avvenuto in passato; si veda in tal senso quanto segue: “Il d.m. 2 dicembre 2000 n. 398, recante le norme di procedura del giudizio arbitrale in materia di lavori pubblici ai sensi dell’art. 32, l. 11 febbraio 1994 n. 109, nelle parti in cui delimita inderogabilmente l’oggetto del giudizio alla domanda di arbitrato, all’atto di resistenza di controparte ed alle controdeduzioni dell’istante con esclusione delle possibili richieste ulteriori, ampliamenti e aggiornamenti, pone il divieto di proporre domande nuove che hanno titolo nella riconvenzionale del resistente, cristallizza l’oggetto del giudizio prima della composizione del collegio e fissa il contenuto della domanda arbitrale, da osservarsi a pena di nullità rilevabile d’ufficio, è legittimo ancorchè non conforme agli art. 164, 180, 183 e 189 c.p.c., poichè il cit. art. 32 della legge ha inteso introdurre una disciplina peculiare, con possibilità di discostarsi dal modello del codice di rito, fermi restando i relativi principi fondamentali costituenti limiti esterni al potere regolamentare; e con sif- fatti principi non collidono tali disposizioni, dal momento che, ai sensi degli art.
816 comma 2, e 829 n. 7, dello stesso codice di rito, le parti possono liberamente dettare la disciplina delle modalità di svolgimento del procedimento, compreso il regime delle nullità che intendano introdurre” (TAR Lazio, sez. III, 11 giugno 2002, n. 5437).
I presenti contributi sono tratti da
manuale pratico dell’arbitrato
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