Immigrazione – significativi interventi delle sezioni civili della Corte di Cassazione nel 2015

A) GIURISDIZIONE E PROFILI PROCESSUALI
 
1.Cass., Sez. Un.,  luglio 2015
L’espulsione dello straniero durante il procedimento di emersione dal lavoro irregolare, se non adottata per motivi di ordine pubblico o sicurezza dello Stato, è impugnabile davanti al giudice ordinario, perché emessa in carenza di potere, ai sensi dell’art. 5 del d. lgs. 109/2012
 
2.Cass. luglio 2015
Nel giudizio di opposizione al provvedimento prefettizio di espulsione dello straniero, spetta al prefetto, quale autorità che ha emesso il provvedimento impugnato, la legittimazione esclusiva, personale e permanente a contraddire in giudizio anche in fase di legittimità. (Nella specie, la S.C. ha dichiarato inammissibile il ricorso proposto dal Ministero dell’interno avverso un decreto di annullamento del provvedimento di espulsione di un cittadino ghanese, emesso dal giudice di pace)
 
3.Cass. settembre 2015
In caso di opposizione avverso il decreto prefettizio di espulsione per mancanza di valido permesso di soggiorno, grava sullo straniero l’onere di provare le circostanze che hanno impedito la presentazione della istanza volta al relativo rilascio o rinnovo. (Nella specie, la S.C. ha confermato il decreto con cui il giudice di pace evidenziava che lo straniero detenuto e destinatario del provvedimento di espulsione non aveva ingiustificatamente richiesto, successivamente alla sua scarcerazione, un nuovo permesso di soggiorno)
 
4.Cass.  settembre 2015
La proposizione del ricorso al tribunale nella materia della protezione internazionale dello straniero non si sottrae all’applicazione del principio dispositivo, sicché il ricorrente ha l’onere di indicare i fatti costitutivi del diritto azionato, pena l’impossibilità per il giudice di introdurli d’ufficio nel giudizio
 
5.Cass. settembre 2015
In tema di immigrazione, è competente il tribunale, in composizione monocratica, ex art. 21, c. 2, d. lgs. 25/2008, e non il giudice di pace, a provvedere sulla proroga del trattenimento dello straniero in un centro di identificazione ed espulsione ove sia ancora pendente il termine per l’impugnazione del diniego di protezione internazionale reso dalla Commissione territoriale, dovendosi riconoscere anche a quest’ultimo la qualifica di richiedente asilo giusta le previsioni dell’art. 2, lett. c) e d), della direttiva 2005/85 CE sulle procedure per il riconoscimento e la revoca dello “status” di rifugiato
 
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B) ASILO, PROTEZIONE ET SIMILIA  
 
1.Cass.  gennaio 2015
In tema di protezione umanitaria, l’art. 5, c. 6, del T.U. Immigrazione, non definisce i seri motivi di carattere umanitario che limitano il potere di rifiutare o revocare il permesso di soggiorno allo straniero privo dei requisiti previsti da convenzioni o accordi internazionali. Al di là del generico rinvio alla disciplina del diritto internazionale umanitario (e cioè all’insieme dei trattati internazionali o delle regole consuetudinarie che, in caso di conflitti armati, di natura sia internazionale che interna, limitano il diritto delle parti in conflitto nella scelta dei mezzi o metodi di combattimento, proteggono le persone e i beni coinvolti o che rischiano di rimanere coinvolti nel conflitto), non sembra dubbio che i motivi di carattere umanitario debbano essere identificati facendo riferimento alle fattispecie previste dalle convenzioni universali o regionali che autorizzano o impongono al nostro Paese di adottare misure di protezione a garanzia dei diritti umani fondamentali e che trovano espressione e garanzia anche nella Costituzione, non solo per il valore del riconoscimento dei diritti inviolabili dell’uomo in forza dell’art. 2 Cost., ma anche perché, al di là della coincidenza dei cataloghi di tali diritti, le diverse formule che li esprimono si integrano, completandosi reciprocamente, nella loro interpretazione.
 
2.Cass. febbraio 2015
In tema di protezione internazionale, il cittadino straniero che è imputato di un delitto comune (nella specie, omicidio durante una rissa), punito nel Paese di origine con la pena di morte, non ha diritto al riconoscimento dello “status” di rifugiato politico poiché gli atti previsti dall’art. 7 del d. lgs. 251/2007, non sono collegati a motivi di persecuzione inerenti alla razza, alla religione, alla nazionalità, al particolare gruppo sociale o all’opinione politica, ma unicamente alla protezione sussidiaria riconosciuta dall’art. 2, lett. g), del citato d. lgs., qualora il giudice di merito – anche previo utilizzo dei poteri di accertamento ufficiosi di cui all’art. 8, c. 3, del d. lgs. 25/2008 – abbia fondati motivi di ritenere che, se ritornasse nel Paese d’origine, correrebbe un effettivo rischio di subire un grave danno
 
3.Cass. marzo 2015
La disposizione di cui all’art. 29, lett. b), del d. lgs. 25/2008 (“la Commissione territoriale dichiara inammissibile la domanda e non procede all’esame, nei seguenti casi:… b) il richiedente ha reiterato identica domanda dopo che sia stata presa una decisione da parte della Commissione stessa senza addurre nuovi elementi in merito alle sue condizioni personali o alla situazione del suo Paese di origine”) va interpretata nel senso di riconoscere l’ammissibilità della domanda quando vengono prospettati nuovi elementi, anche se esistenti già al momento della precedente richiesta, ma che il ricorrente non ha potuto prospettare perché non ha potuto, senza sua colpa, produrne le prove, in precedenza, innanzi alla commissione in sede amministrativa, né davanti al giudice, introducendo il procedimento giurisdizionale, (cfr. Cass. civ. sez. 6-1 ord. n. 5089 del 28 febbraio 2013). Ciò comporta anche che se il ricorrente non ha reiterato una identica domanda, come deve ritenersi sia avvenuto nel caso in esame, ma ha portato alla valutazione della Commissione, con la nuova istanza, nuovi presupposti per l’accoglimento della sua richiesta, si devono valutare le ragioni per cui una tale prospettazione non sia avvenuta contestualmente alla precedente e considerare la domanda ammissibile quando tali ragioni appaiono plausibili e non siano ascrivibili a colpa del richiedente
 
4.Cass. marzo 2015
Qualora vi siano indicazioni che cittadini stranieri o apolidi, presenti ai valichi di frontiera in ingresso nel territorio nazionale, desiderino presentare una domanda di protezione internazionale, le autorità competenti hanno il dovere – nella specie fondato non già sull’espressa previsione contenuta nell’art. 8 della Direttiva UE 26 giugno 2013, n. 32, non ancora recepita alla data del decreto di respingimento, quanto piuttosto sull’interpretazione conforme alle Direttive europee in corso di recepimento e costituzionalmente orientata al rispetto delle norme interposte della CEDU, come a loro volta interpretate dalla Corte sovranazionale – di fornire loro informazioni sulla possibilità di farlo, garantendo altresì i servizi di interpretariato necessari per agevolare l’accesso alla procedura di asilo, a pena di nullità dei conseguenti decreti di respingimento e trattenimento, dovendo, altresì, il giudice statuire sulla dedotta illegittimità del primo cagionata da siffatta omessa informazione
 
5.Cass. aprile 2015
In tema di protezione internazionale sussidiaria, l’art. 3 del d. lgs. 251/2007, oltre a sancire un dovere di cooperazione del richiedente consistente nell’allegare, produrre o dedurre tutti gli elementi e la documentazione necessari a motivare la domanda, pone a carco dell’autorità decidente un più incisivo obbligo di informarsi in modo adeguato e pertinente alla richiesta, soprattutto con riferimento alle condizioni generali del Paese d’origine, allorquando le informazioni fornite dal richiedente siano deficitarie o mancanti. In particolare, deve ritenersi necessario l’approfondimento istruttorio officioso allorquando il richiedente descriva una situazione di rischio per la vita o l’incolumità fisica che derivi da sistemi di regole non scritte sub statuali, imposte con la violenza e la sopraffazione verso un genere, un gruppo sociale o religioso o semplicemente verso un soggetto o un gruppo familiare nemico, in presenza di tolleranza, tacita approvazione o incapacità a contenere o fronteggiare il fenomeno da parte delle autorità statuali: ciò proprio al fine di verificare il grado di diffusione ed impunità dei comportamenti violenti descritti e la risposta delle autorità statuali
 
6.Cass. luglio 2015
In tema di protezione internazionale dello straniero, ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria, ai sensi dell’art. 14, lett. b) e c), del d. lgs. 251/2007, non è onere del richiedente fornire una precisa qualificazione giuridica della tipologia di misura di protezione invocata, ma è onere del giudice, avvalendosi dei poteri officiosi di indagine e di informazione di cui all’art. 8, c. 3, del d. lgs. 25/2008, verificare se la situazione di esposizione a pericolo per l’incolumità fisica indicata dal ricorrente e astrattamente sussumibile in entrambe le tipologie tipizzate di rischio, sia effettivamente sussistente nel Paese nel quale dovrebbe essere disposto il rientro al momento della decisione. (Nella specie, la S.C. ha cassato la decisione impugnata che aveva escluso il riconoscimento della protezione sussidiaria per non avere il richiedente specificamente dedotto l’esistenza del rischio effettivo di essere sottoposto a pena di morte, tortura o trattamenti inumani e degradanti, una volta rientrato in patria)
 
7.Cass. luglio 2015
Il diritto alla protezione sussidiaria non può essere escluso dalla circostanza che agenti del danno grave per il cittadino straniero siano soggetti privati qualora nel Paese d’origine non vi sia un’autorità statale in grado di fornirgli adeguata ed effettiva tutela, con conseguente dovere del giudice di effettuare una verifica officiosa sull’attuale situazione di quel Paese e, quindi, sull’eventuale inutilità di una richiesta di protezione alle autorità locali. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza di merito in quanto, a fronte di allegazioni e produzioni concernenti specifici episodi di violenza da parte di bande criminali private operanti in Nigeria, non ha proceduto ad ulteriori accertamenti istruttori, da compiersi in relazione ai motivi di pericolo dedotti e idonei ad escludere la sussistenza di rischi in caso di rientro in patria).
 
8.Cass. luglio 2015
Il diritto alla protezione sussidiaria, la cui sussistenza, in quanto condizione dell’azione, deve essere accertata alla data della decisione, non può essere concesso – ai sensi dell’art. 16, c. 1, lett.b), del d. lgs. 251/2007, come modificato dall’art. 1, c. 1, lett. l), n. 1, del d. lgs. 18/2014 – a chi abbia commesso, al di fuori del territorio nazionale, un reato grave, ma non assumono alcun rilievo i reati, ancorché gravi, che siano stati commessi dal richiedente in Italia
 
9.Cass. luglio 2015
Ai fini della domanda di protezione internazionale, l’art. 3, c 5, del d. lgs. 251/2007,  richiede che il giudice non debba prendere in considerazione puramente e semplicemente la maggiore o minore specificità del racconto del richiedente asilo, ma gli impone anche di valutare se questi abbia compiuto ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda (lett. a), se tutti gli elementi pertinenti in suo possesso siano stati prodotti e se sia stata fornita una idonea motivazione dell’eventuale mancanza di altri elementi significativi (lett. b). (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza con la quale il giudice di merito aveva respinto la domanda di protezione in virtù della semplice genericità della motivazione addotta dal richiedente). Ai fini della domanda di protezione internazionale, il fatto da dimostrare va identificato nella grave violazione dei diritti umani cui il richiedente asilo sarebbe esposto rientrando in patria, di cui costituisce indizio, secondo l’art. 3, c. 4, del citato d. lgs., la minaccia ricevuta in passato, che fa presumere la violazione futura in caso di rientro
 
10.Cass. luglio 2015
Ai fini della domanda di protezione internazionale, il fatto da dimostrare va identificato nella grave violazione dei diritti umani cui il richiedente asilo sarebbe esposto rientrando in patria, di cui costituisce indizio, secondo l’art. 3, c. 4, del d. lgs.251/2007, la minaccia ricevuta in passato, che fa presumere la violazione futura in caso di rientro. Ai fini della domanda di protezione internazionale, l’art. 3, c. 5, del citato d. lgs. richiede che il giudice non debba prendere in considerazione puramente e semplicemente la maggiore o minore specificità del racconto del richiedente asilo, ma gli impone anche di valutare se questi abbia compiuto ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda (lett. a), se tutti gli elementi pertinenti in suo possesso siano stati prodotti e se sia stata fornita una idonea motivazione dell’eventuale mancanza di altri elementi significativi (lett. b). (Nella specie,  il S.C. ha cassato la sentenza con la quale il giudice di merito aveva respinto la domanda di protezione in virtù della semplice genericità della motivazione addotta dal richiedente)
 
11.Cass. luglio 2015
In tema di protezione internazionale sussidiaria, il requisito della individualità della minaccia grave alla vita o alla persona di cui all’art. 14, lett. c), del d. lgs.251/2007 non è subordinato, in conformità alle indicazioni della Corte di Giustizia UE (sentenza 17 febbraio 2009, in C-465/07), vincolante per il giudice di merito, alla condizione che il richiedente «fornisca la prova che egli è interessato in modo specifico a motivo di elementi peculiari della sua situazione personale», in quanto la sua esistenza può desumersi anche dal grado di violenza indiscriminata che caratterizza il conflitto armato in corso, da cui dedurre che il rientro nel Paese d’origine determinerebbe un rischio concreto per la vita del richiedente. (Nella specie, il S.C. ha cassato la decisione impugnata, secondo cui il requisito della individualità della minaccia doveva essere ritenuto recessivo soltanto in presenza di una situazione generalizzata e conclamata di violenza indiscriminata e di conflitto armato)
 
12.Cass. settembre 2015
In tema di tempestività del ricorso per cassazione avverso i provvedimenti in materia di protezione internazionale, a seguito dell’abrogazione dell’art. 35, c. 14, del d. lgs. 25/2008, deve applicarsi il termine ordinario di cui all’art. 327 c.p.c. e non già il termine di trenta giorni di cui all’art. 702 quater c.p.c., relativo al rito sommario di cognizione, applicabile ai giudizi di merito in virtù dell’art. 19 del d.lgs. 150/2011. Invero, il comma 10 di tale disposizione deve essere interpretato nel suo reale significato di attribuire priorità nella trattazione delle controversie in materia di protezione internazionale, non anche nel senso di rendere applicabili al giudizio di legittimità disposizioni abrogate o riguardanti i giudizi di merito, con interpretazione, peraltro, palesemente in contrasto con il diritto delle parti ad un giusto processo ed all’effettività del diritto di difesa.
 
13.Cass. settembre 2015
In tema di protezione internazionale dello straniero, le misure previste dal d.P.C.M. 5 aprile 2011 e, in particolare, il rilascio del permesso di soggiorno per ragioni umanitarie ex art. 20 del T.U. Immigrazione si applicano soltanto agli stranieri affluiti in Italia dal 1° gennaio al 5 aprile 2011
 
14.Cass. settembre 2015
La proposizione del ricorso al tribunale nella materia della protezione internazionale dello straniero non si sottrae all’applicazione del principio dispositivo, sicché il ricorrente ha l’onere di indicare i fatti costitutivi del diritto azionato, pena l’impossibilità per il giudice di introdurli d’ufficio nel giudizio
 
15.Cass. settembre 2015
In tema di immigrazione, è competente il tribunale, in composizione monocratica, ex art. 21, c. 2, d. lgs. 25/2008, e non il giudice di pace, a provvedere sulla proroga del trattenimento dello straniero in un centro di identificazione ed espulsione ove sia ancora pendente il termine per l’impugnazione del diniego di protezione internazionale reso dalla Commissione territoriale, dovendosi riconoscere anche a quest’ultimo la qualifica di richiedente asilo giusta le previsioni dell’art. 2, lett. c) e d), della direttiva 2005/85 CE sulle procedure per il riconoscimento e la revoca dello “status” di rifugiato.
 
16.Cass. ottobre 2015
La possibilità, per il cittadino straniero, di evitare il pregiudizio temuto spostandosi in una differente zona del Paese d’origine non è ragione per respingere la domanda di protezione umanitaria
 
17.Cass. novembre 2015
Con le sentenze 172/2009, Elgafaji e  285/2012, Diakitè), la Corte di giustizia non ha negato in assoluto la necessità del requisito della personalizzazione della minaccia con riferimento alla fattispecie di protezione sussidiaria di cui all’art. 15, lett. c), della direttiva 2004/83/CE (corrispondente all’art. 14, lett. c), del d. lgs. 251/2007, ma ha affermato che l’esistenza di una siffatta minaccia può essere considerata, in via eccezionale, provata qualora il grado di violenza indiscriminata che caratterizza il conflitto armato in corso, valutato dalle autorità nazionali competenti impegnate con una domanda di protezione sussidiaria o dai giudici di uno Stato membro ai quali viene deferita una decisione di rigetto di una tale domanda, raggiunga un livello così elevato che sussistono fondati motivi di ritenere che un civile rientrato nel paese in questione o, se del caso, nella regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio di questi ultimi, un rischio effettivo di subire la detta minaccia
 
18.Cass. novembre 2015
L’art. 19, c. 4, del d.lgs. 150/2011 dispone che la semplice proposizione del ricorso del richiedente asilo avverso il provvedimento negativo della commissione per la protezione internazionale sospende l’efficacia esecutiva di tale provvedimento, con la conseguenza che il richiedente non è tenuto a lasciare il territorio nazionale, permanendo una situazione inespellibilità fino alla decisione della commissione territoriale
 
 
C)INGRESSO E/O PERMANENZA IN ITALIA PER ASSISTENZA AL MINORE (art. 31, c. 3, TU Immigrazione)
 
1.Cass. luglio 2015
La temporanea autorizzazione alla permanenza in Italia del familiare del minore, prevista dall’art. 31 del T.U. Immigrazione, in presenza di gravi motivi connessi allo sviluppo psico-fisico, non richiede necessariamente l’esistenza di situazioni di emergenza o di circostanze contingenti ed eccezionali strettamente collegate alla sua salute, potendo comprendere qualsiasi danno effettivo, concreto, percepibile ed obiettivamente grave che, in considerazione dell’età e delle condizioni di salute ricollegabili al complessivo equilibrio psico-fisico, deriva o deriverà certamente al minore dall’allontanamento del familiare o dal suo definitivo sradicamento dall’ambiente in cui è cresciuto. Deve trattarsi tuttavia di situazioni non di lunga o indeterminabile durata e non caratterizzate da tendenziale stabilità che, pur non prestandosi ad essere catalogate o standardizzate, si concretino in eventi traumatici e non prevedibili, che trascendano il normale disagio dovuto al proprio rimpatrio o a quello di un familiare. (Nella specie, la S.C. ha cassato il provvedimento impugnato con cui si era omesso di tenere conto dell’età ancora prescolare del minore)
 
2.Cass. settembre 2015
La temporanea autorizzazione alla permanenza in Italia del familiare del minore, prevista dall’art. 31 del T.U. Immigrazione, in presenza di gravi motivi connessi al suo sviluppo psico-fisico, non richiede necessariamente l’esistenza di situazioni di emergenza o di circostanze contingenti ed eccezionali strettamente collegate alla sua salute, ma può comprendere qualsiasi danno effettivo, concreto, percepibile ed obiettivamente grave che, in considerazione dell’età o delle condizioni di salute ricollegabili al complessivo equilibrio psico-fisico, deriva o deriverà certamente al minore dall’allontanamento del familiare o dal suo definitivo sradicamento dall’ambiente in cui è cresciuto. Devono trattarsi, peraltro, di situazioni di non lunga o indeterminabile durata e non caratterizzate da tendenziale stabilità che, pur non prestandosi ad essere catalogate o standardizzate, si concretino in eventi traumatici e non prevedibili che trascendano il normale disagio dovuto al proprio rimpatrio o a quello di un familiare. (In applicazione dell’anzidetto principio, il S.C. ha cassato il decreto che aveva negato l’autorizzazione invocata dai genitori nigeriani di una minore privi di attuale permesso di soggiorno, senza, però, valutare la possibilità per gli istanti di regolarizzare la propria posizione lavorativa, nonché la situazione di grave criminalità e instabilità in cui versa la Nigeria e le conseguenze di un rientro forzato per la loro figlia)
 
3.Cass. settembre 2015
E’ ammissibile il ricorso per Cassazione avverso il decreto con il quale la Corte d’Appello, sezione minori, decide in ordine alla domanda di autorizzazione ad entrare o a permanere temporaneamente sul territorio nazionale proposta, in deroga alle disposizioni generali sull’immigrazione, dal cittadino extracomunitario per gravi motivi connessi con lo sviluppo psico- fisico di un familiare minorenne. Si tratta infatti di un provvedi memento decisorio e definitivo
 
4.Cass. settembre 2015
In tema di immigrazione, il diritto all’unità familiare di cui agli artt. 28 del T.U. Immigrazione, 8 della CEDU e 3, 7, 9 e 10 della Convenzione di New York, ratificata con l. 176/1991, nel nostro ordinamento non ha carattere assoluto atteso che il legislatore, nel contemperamento dell’interesse dello straniero al mantenimento del nucleo familiare con gli altri valori costituzionali sottesi dalle norme in tema di ingresso e soggiorno degli stranieri, può prevedere delle limitazioni, sicché è legittimo il mancato accoglimento dell’istanza di autorizzazione alla permanenza sul territorio italiano di un genitore straniero per la ritenuta insussistenza dei gravi motivi di cui all’art. 31, c. 3, del citato T.U., costituendo il relativo giudizio di bilanciamento valutazione di merito, non censurabile in cassazione ove legittimamente operato
 
5.Cass. settembre 2015
In sede di convalida del decreto del questore di accompagnamento alla frontiera dello straniero raggiunto da un provvedimento di espulsione, il giudice ha il potere di rilevare, incidentalmente, la manifesta illegittimità di tale ultimo provvedimento secondo i parametri ricavabili dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, fermo restando che la mera presentazione della richiesta di autorizzazione a trattenersi nel territorio nazionale, ai sensi dell’art. 31 del T.U. Immigrazione, non incide sulla validità del decreto di espulsione, né è idonea a sospenderne l’efficacia, trattandosi di effetto che resta riconnesso al rilascio della menzionata autorizzazione
 
6.Cass. settembre 2015
Le scarse capacità educative e di accudimento dei figli,  la mancata integrazione della famiglia nel territorio e la condanna (dei genitori) per accattonaggio, costituiscono elementi sufficienti per escludere l’autorizzazione ex art. 31 T.U. Immigrazione
 
7.Cass.  dicembre 2015
La ratio dell’istituto previsto dall’art. 31, c. 3, T.U. Immigrazione è la tutela del minore globalmente considerata, comprensiva tanto della salute fisica quanto di quella psichica. Ora, nel caso di specie, risulta evidente la sussistenza di specifici e gravi motivi corroboranti la domanda della ricorrente ex art. 31, comma 3: sua figlia, infatti, di soli due anni, è già stata abbandonata dal padre, e la madre, che in Italia è inserita in una famiglia i cui membri possono sostenerla anche economicamente, qualora rientrasse in (OMISSIS) sarebbe esposta al rischio di indigenza e comunque di incertezza assoluta circa il suo futuro. Risponde, quindi, al superiore interesse del minore, nel caso di specie, autorizzare la madre a permanere in Italia ex art. 31, comma 3, T.U.I. In questa prospettiva, mette conto ricordare che questa Suprema Corte ha più volte sostenuto a necessità di interpretare la norma in questione in senso estensivo, quando un’interpretazione di tal fatta, beninteso, risulti necessaria al fine di tutelare il minore (vedasi, inter alia, Cass. 25508 del 2014, ove si è affermato, aderendo all’interpretazione estensiva della norma di cui s’è poc’anzi fatto menzione: “Costituisce un pregiudizio ed un rischio grave per lo sviluppo psico-fisico del minore l’allontanamento dallo Stato del genitore, straniero e privo di permesso di soggiorno, che si occupa in prevalenza della cura del bambino a causa dell’impedimento dell’altro genitore; ne consegue che il genitore disponibile a prendersi cura continuativamente del minore ha diritto, nell’interesse di quest’ultimo, ad ottenere la temporanea autorizzazione al soggiorno di cui al D.Lgs. 27 luglio 7998, n. 286, art. 31, comma 3”)
 
8.Cass. dicembre 2015
La temporanea autorizzazione alla permanenza in Italia del familiare del minore, prevista dall’art. 31 del T.U. Immigrazione in presenza di gravi motivi connessi al suo sviluppo psico-fisico, non richiede necessariamente l’esistenza di situazioni di emergenza o di circostanze contingenti ed eccezionali strettamente collegate alla sua salute, ma può comprendere qualsiasi danno effettivo, concreto, percepibile ed obiettivamente grave che, in considerazione dell’età o delle condizioni di salute ricollegabili al complessivo equilibrio psico-fisico, deriva o deriverà certamente al minore dall’allontanamento del familiare o dal suo definitivo sradicamento dall’ambiente in cui è cresciuto. Deve trattarsi, peraltro, di situazioni di non lunga o indeterminabile durata e non caratterizzate da tendenziale stabilità che, pur non prestandosi ad essere catalogate o standardizzate, si concretino in eventi traumatici e non prevedibili che trascendano il normale disagio dovuto al proprio rimpatrio o a quello di un familiare. (Così statuendo, il S,.C. ha cassato il decreto che, escludendo la inevitabilità della separazione dai loro figli minorenni, nati in Italia ed in età prescolare, aveva negato l’autorizzazione a due genitori senegalesi, privi di permesso di soggiorno, senza valutare lo sforzo da essi compiuto di inserirsi in Italia, né il pregiudizio che quei minori avrebbero potuto subire, per effetto dell’allontanamento dal luogo natio, per l’insufficiente grado di sviluppo della loro personalità che ne avrebbe reso problematico l’adattamento a condizioni di vita e ad usanze profondamente diverse).
 
 
D) RICONGIUNGIMENTO FAMILIARE
 
1.Cass.  febbraio 2015
La “kalafah” convenzionale, istituto di affidamento familiare proprio di alcuni ordinamenti giuridici che si ispirano all’insegnamento del Corano, non ha quale presupposto una situazione di abbandono del minore bensì di semplice difficoltà o inadeguatezza dell’ambiente familiare originario, sicché non cancella il rapporto di filiazione, ma si propone di assicurare al minore l’opportunità di vivere in una situazione più favorevole alla sua crescita. Pertanto, la valutazione circa la possibilità di consentire al minore l’ingresso in Italia ed il ricongiungimento con l’affidatario, anche se cittadino italiano, che non può essere esclusa in considerazione della natura e della finalità dell’istituto della “kafalah” negoziale, deve essere effettuata caso per caso in considerazione del superiore interesse del minore
 
2.Cass. febbraio 2015
Il requisito dell’effettiva convivenza è del tutto estraneo alla disciplina normativa del d. lgs. 30/2007, mentre permane vigente, anche perché espressamente previsto dall’art. 35, della Direttiva 2004/38/CE, il divieto di abuso del diritto e di frode, realizzabile mediante matrimoni fittizi contratti all’esclusivo fine di aggirare la normativa pubblicistica in tema d’immigrazione; né rileva la circostanza che la domanda per la carta di soggiorno sia stata presentata prima della scadenza dei tre mesi dall’ingresso in Italia, perché, da un lato, ciò non comporta che detta domanda debba interpretarsi proposta per una diversa ipotesi normativa (id est: permesso di soggiorno per coesione familiare), dall’altro, dall’anticipata presentazione della domanda, rispetto al termine iniziale, non possono farsi discendere conseguenze di rigetto o inammissibilità della stessa essendo sufficiente che il termine sia maturato al momento in cui la stessa viene decisa dall’Autorità amministrativa [il S.C. aggiunge che, nel caso deciso, “ è ben vero che il provvedimento del Questore ipotizzava che l’immediato abbandono del tetto coniugale … potesse fare ipotizzare che il matrimonio avesse avuto il solo fine di consentire allo straniero di soggiornare nel territorio dello Stato, ma tale circostanza non è stata oggetto di specifica deduzione in primo grado nè di impugnazione in appello da parte del Ministero e neppure con il presente ricorso è stata prospettata questa fattispecie onde la stessa non è suscettibile di valutazione da parte di questa Corte”]
 
 
E) INESPELLIBILITA’
 
1.Cass. settembre 2015
In tema di espulsione dei cittadini stranieri, l’insorgenza di cause appartenenti all’ambito della protezione internazionale, integranti il divieto di espulsione ex art. 19, c.2, lett. b), T.U. Immigrazione, non può essere valutata ove si sia verificata dopo il rimpatrio coattivo, ma solo quando sia coeva all’applicazione della misura espulsiva. (Nella specie, il S.C. ha confermato il provvedimento di rigetto dell’opposizione all’espulsione proposta da un cittadino ucraino, già rimpatriato da lungo tempo, che aveva invocato il pericolo per la sua incolumità in caso di rientro nel proprio Paese d’origine)
 
2.Cass. settembre 2015
Il padre straniero di un minore di sei mesi, che abbia provveduto al riconoscimento del figlio, ha diritto ad ottenere il permesso di soggiorno temporaneo ai sensi dell’art. 19, c.2, lett. D), T.U. Immigrazione, trattandosi di disposizione finalizzata alla tutela del rapporto genitoriale nell’ottica di una crescita armoniosa del bambino nei mesi immediatamente successivi alla sua nascita
 
F) ESPULSIONE
 
1.Cass.  gennaio 2015
Ad eccezione dei casi in cui la lingua dello straniero sia rara e non facilmente conoscibile sul territorio nazionale (com’è, nel caso deciso, la lingua gergiana), l’amministrazione dell’Interno deve predisporre testi informatizzati dei provvedimenti di espulsione nelle lingue straniere più comunemente parlate dagli immigranti stranieri (arabo, cinese, albanese, russo etc) in modo tale che, pur garantendosi le esigenze dell’amministrazione di governare con celerità fenomeni complessi , si assicuri tuttavia una informazione effettiva ed immediata allo straniero a garanzia dei suoi diritti
 
2.Cass. gennaio 2015
Posto che lo straniero che abbia tempestivamente presentato la richiesta di rinnovo del permesso di soggiorno scaduto ha diritto alla permanenza nello Stato sino alla decisione sull’istanza medesima, munito del titolo complesso costituito dal permesso scaduto e dalla copia della richiesta, è illegittimo il decreto di espulsione, emesso per rifiuto della richiesta di rinnovo del permesso di soggiorno, ai sensi dell’art. 13, c. 2, lett. b), T.U. Immigrazione, prima della comunicazione allo straniero del rifiuto medesimo
 
3.Cass. gennaio 2015
E’ nullo il provvedimento di espulsione tradotto in lingua veicolare per l’affermata irreperibilità immediata di traduttore nella lingua conosciuta dallo straniero, salvo che l’amministrazione non affermi ed il giudice ritenga plausibile, l’impossibilità di predisporre un testo nella lingua conosciuta dallo straniero per la sua rarità ovvero l’inidoneità di tale testo alla comunicazione della decisione in concreto assunta. Nella specie la destinataria del provvedimento appartiene a una nazionalità largamente presente in Italia da molti anni
 
4.Cass. febbraio 2015
Il provvedimento di espulsione dello straniero è provvedimento obbligatorio a carattere vincolato, sicché il giudice ordinario dinanzi al quale esso venga impugnato è tenuto unicamente a controllare l’esistenza, al momento dell’espulsione, dei requisiti di legge che ne impongono l’emanazione, i quali consistono nella mancata richiesta, in assenza di cause di giustificazione, del permesso di soggiorno, ovvero nella sua revoca od annullamento ovvero nella mancata tempestiva richiesta di rinnovo che ne abbia comportato il diniego; al giudice investito dell’impugnazione del provvedimento di espulsione non è invece consentita alcuna valutazione sulla legittimità del provvedimento del questore che abbia rifiutato, revocato o annullato il permesso di soggiorno ovvero ne abbia negato il rinnovo, poichè tale sindacato spetta unicamente al giudice amministrativo, la cui decisione non costituisce in alcun modo un antecedente logico della decisione sul decreto di espulsione; ne consegue, per un verso, che la pendenza del giudizio promosso dinanzi al giudice amministrativo per l’impugnazione dei predetti provvedimenti del questore non giustifica la sospensione del processo instaurato dinanzi al giudice ordinario con l’impugnazione del decreto di espulsione del prefetto (o del questore nelle province di Trento e Bolzano: n.d.r.), attesa la carenza di pregiudizialità giuridica necessaria tra il processo amministrativo e quello civile; e, per l’altro verso, che il giudice ordinario, dinanzi al quale sia stato impugnato il provvedimento di espulsione, non può disapplicare l’atto amministrativo presupposto emesso dal questore (rifiuto, revoca o annullamento del permesso di soggiorno o diniego di rinnovo)
 
5.Cass., Sez. Un., luglio 2015
L’espulsione dello straniero durante il procedimento di emersione dal lavoro irregolare, se non adottata per motivi di ordine pubblico o sicurezza dello Stato, è impugnabile davanti al giudice ordinario, perché emessa in carenza di potere, ai sensi dell’art. 5 del d. lgs. 109/2012
 
6.Cass. luglio 2015
In tema di immigrazione, al giudice investito dell’impugnazione del provvedimento di espulsione dello straniero non è consentita alcuna valutazione sulla legittimità del provvedimento del questore che abbia rifiutato, revocato o annullato il permesso di soggiorno, ovvero abbia negato il rinnovo, poiché tale sindacato spetta unicamente al giudice amministrativo, la cui decisione non costituisce in alcun modo un antecedente logico della decisione sul decreto di espulsione. Ne consegue che la pendenza di tale ultimo giudizio non giustifica la sospensione del processo instaurato dinanzi al giudice ordinario con l’impugnazione del decreto di espulsione del prefetto, attesa la carenza di pregiudizialità giuridica necessaria tra i due procedimenti
 
7.Cass. luglio 2015
È nullo il provvedimento di espulsione tradotto in lingua veicolare per l’affermata irreperibilità immediata di traduttore nella lingua conosciuta dallo straniero, salvo che l’amministrazione non affermi, ed il giudice ritenga plausibile, l’impossibilità di predisporre un testo nella lingua conosciuta dallo straniero per la sua rarità ovvero l’inidoneità di tale testo alla comunicazione della decisione in concreto assunta
 
8.Cass. luglio 2015
In tema di espulsione del cittadino straniero, l’art. 13, c. 2 bis, del T.U. Immigrazione, secondo il quale è necessario tener conto, nei confronti dello straniero che ha esercitato il diritto al ricongiungimento familiare, della natura e dell’effettività dei vincoli familiari, della durata del soggiorno, nonché dell’esistenza di legami con il paese d’origine, si applica – con valutazione caso per caso, in coerenza con la direttiva comunitaria 2008/115/CE – anche al cittadino straniero che abbia legami familiari nel nostro Paese, ancorché non nella posizione di richiedente formalmente il ricongiungimento familiare, in linea con la nozione di diritto all’unità familiare delineata dalla giurisprudenza della Corte EDU con riferimento all’art. 8 CEDU e fatta propria dalla sentenza n. 202 del 2013 della Corte cost., senza distinguere tra vita privata e familiare, trattandosi di estrinsecazioni del medesimo diritto fondamentale tutelato dall’art. 8 cit., che non prevede gradazioni o gerarchie. (Nella specie, la S.C. ha cassato il provvedimento impugnato che, nel considerare esclusivamente le condizioni di vita delle ricorrenti straniere in Italia, aveva omesso di prendere in esame il rapporto con il paese d’origine e l’esistenza di un legame familiare e di un nucleo, composto dalle medesime ricorrenti, sorto e radicatosi nel territorio dello Stato).
 
9.Cass.  luglio 2015
In pendenza del procedimento di emersione del lavoro irregolare, per espressa previsione normativa, di regola manca temporaneamente all’autorità amministrativa il potere di adottare il provvedimento di espulsione, con la conseguente piena attrazione della relativa contestazione, in mancanza di norma derogatrice al criterio generale di riparto, nell’ambito della giurisdizione dei diritti soggettivi. Questo potere di espulsione sussiste, pur nelle more della definizione dei procedimento, quando ricorrono i casi tassativamente previsti dall’art. 5, c. 13, del d.l. 109/2012, ma anche in tale evenienza la posizione giuridica soggettiva dello straniero destinatario del provvedimento di espulsione è e resta di diritto soggettivo allorché l’atto dell’amministrazione è correlato all’accertamento positivo di circostanze o di presupposti esaustivamente individuati dalla legge, senza ulteriori spazi di discrezionalità valutativa. Diverso è il caso in cui il provvedimento di espulsione sia stato adottato per motivi di prevenzione del terrorismo o, più in generale, a causa della pericolosità dello straniero per l’ordine pubblico o la sicurezza dello Stato: in tal caso la posizione giuridica dell’interessato è di interesse legittimo e la giurisdizione nella relativa controversia spetta al giudice amministrativo, essendo rimessa all’amministrazione, non una mera discrezionalità tecnica e ricognitiva al cospetto di ipotesi già individuate e definite dal legislatore nel loro perimetro applicativo, ma una ponderazione valutativa degli interessi in gioco.
 
10.Cass. luglio 2015
La indicazione di una lingua veicolare da parte del soggetto destinatario del decreto di espulsione non supplisce automaticamente alla traduzione del provvedimento nella lingua madre del destinatario in assenza della prova della conoscenza di tale lingua veicolare. E, a fronte della contestazione in sede di impugnazione del decreto di espulsione, tale conoscenza deve essere verificata dal giudice
 
11.Cass.  luglio 2015
Nel giudizio di opposizione al provvedimento prefettizio di espulsione dello straniero, spetta al prefetto, quale autorità che ha emesso il provvedimento impugnato, la legittimazione esclusiva, personale e permanente a contraddire in giudizio anche in fase di legittimità. (Nella specie, la S.C. ha dichiarato inammissibile il ricorso proposto dal Ministero dell’interno avverso un decreto di annullamento del provvedimento di espulsione di un cittadino ghanese, emesso dal giudice di pace)
 
12.Cass. agosto 2015
Il controllo giurisdizionale sul ricorso avverso il provvedimento di espulsione disposto ai sensi dell’art. 13, c. 2, lett. c), T.U. Immigrazione deve avere ad oggetto il riscontro dell’esistenza dei presupposti di appartenenza dello straniero ad una delle categorie di persone pericolose indicate nell’art. 1 della l. 1423/1956 e s.m.,  riscontro che va condotto sulla base dei seguenti criteri: a) necessità di un accertamento oggettivo e non meramente soggettivo degli elementi che giustificano sospetti e presunzioni; b) attualità della pericolosità; c) necessità di esaminare globalmente l’intera personalità del soggetto quale risulta da tutte le manifestazioni sociali della sua vita. Nella verifica della concreta sussistenza dei presupposti della pericolosità sociale, inoltre, il giudice di pace ha poteri di accertamento pieni e non limitati da una insussistente discrezionalità dell’amministrazione
 
13.Cass. agosto 2015
E’ nullo il decreto di espulsione che sia stato tradotto in lingua veicolare, pur quando sia stata addotta l’irreperibilità immediata di traduttore nella lingua conosciuta dallo straniero, salvo che l’amministrazione non affermi ed il giudice ritenga plausibile l’impossibilità di predisporre un testo in tale lingua per la rarità di questa ovvero per l’inidoneità di un testo predisposto alla comunicazione della decisione in concreto assunta.  Il Giudice di pace ha dunque errato nel ritenere superabile la necessità della traduzione del decreto prefettizio in lingua ucraina, certamente non qualificabile come lingua rara nel nostro paese, senza che fosse neppure dedotta l’inidoneità del contenuto del decreto di espulsione ad essere comunicato mediante un formulario già predisposto
 
14.Cass. settembre 2015
In tema di immigrazione, il giudice di pace, investito dell’impugnazione del decreto di espulsione emesso dal Prefetto, può sindacare solo la legittimità del provvedimento e, se non conforme a legge, disporne l’annullamento, ma non anche sostituire od integrare la motivazione dell’atto, trattandosi di attività preclusa alla giurisdizione ordinaria. (Nella specie, il giudice di pace aveva corretto, e confermato nel dispositivo, il decreto di espulsione, sostituendo l’indicazione dell’ingresso clandestino in Italia con quella, diversa, che il ricorrente si trovava comunque indebitamente nel territorio dello Stato)
 
15.Cass. settembre 2015
Il provvedimento di reiezione dell’istanza di revoca di precedente ordine di espulsione è assimilabile, per natura, funzione ed incidenza sui diritti dello straniero, al provvedimento di espulsione, ed inoltre, al pari di quest’ultimo, non integra esercizio di discrezionalità amministrativa, dato che, nella disciplina dell’art. 13 de T.U. Immigrazione, l’espulsione mediante atto del prefetto, a differenza di quella disposta dal Ministro dell’interno per motivi di ordine pubblico o di sicurezza dello Stato, è specificamente regolata, e configura, in presenza delle condizioni all’uopo stabilite, atto dovuto, con la conseguenza che anche il diniego della revoca dell’espulsione è sindacabile dinanzi al giudice ordinario, nella sede e nei modi contemplati, per l’impugnazione del provvedimento prefettizio di espulsione, dall’ottavo comma del predetto art. 13 e dal successivo art. 13-bis
 
16.Cass. settembre 2015
E’ illegittimo prevedere un divieto di (re)ingresso in Italia superiore a cinque anni ed è pure illegittimo che gli effetti di tale divieto possano permanere all’infinito ove il Ministero dell’Interno lo ritenga opportuno
 
17.Cass. settembre 2015
In caso di opposizione avverso il decreto prefettizio di espulsione per mancanza di valido permesso di soggiorno, grava sullo straniero l’onere di provare le circostanze che hanno impedito la presentazione della istanza volta al relativo rilascio o rinnovo. (Nella specie, la S.C. ha confermato il decreto con cui il giudice di pace evidenziava che lo straniero detenuto e destinatario del provvedimento di espulsione non aveva ingiustificatamente richiesto, successivamente alla sua scarcerazione, un nuovo permesso di soggiorno)
 
18.Cass. settembre 2015
In sede di convalida del decreto del questore di accompagnamento alla frontiera dello straniero raggiunto da un provvedimento di espulsione, il giudice ha il potere di rilevare, incidentalmente, la manifesta illegittimità di tale ultimo provvedimento secondo i parametri ricavabili dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, fermo restando che la mera presentazione della richiesta di autorizzazione a trattenersi nel territorio nazionale, ai sensi dell’art. 31 del T.U. Immigrazione, non incide sulla validità del decreto di espulsione, né è idonea a sospenderne l’efficacia, trattandosi di effetto che resta riconnesso al rilascio della menzionata autorizzazione
 
19.Cass.  novembre 2015
E’ da ritenersi ai fini di legge “impossibile” la traduzione del decreto espulsivo nella lingua conosciuta dall’espellendo, e si può procedere all’uso della lingua “veicolare”, le volte in cui sia dall’Amministrazione affermata e dal giudice ritenuta plausibile la indisponibilità di un testo predisposto nella stessa lingua o la inidoneità di tal testo alla comunicazione della decisione in concreto assunta e venga quindi attestato che non sia reperibile nell’immediato un traduttore. La mera attestazione d’indisponibilità di traduttore non risulta, pertanto, conforme al citato principio di diritto, dovendo l’Amministrazione addurre e il giudice ritenere verosimili le ragioni a sostegno della indisponibilità di un testo predisposto in lingua albanese da sottoporre all’espellendo ovvero dell’inidoneità nel concreto di tal testo. La nullità del decreto di espulsione per mancata traduzione del provvedimento non può dirsi esclusa, invocandosi il raggiungimento dello scopo come attestato – secondo il provvedimento impugnato – dalla tempestiva opposizione, non applicandosi al requisito di validità del decreto espulsivo il predetto principio di sanatoria, propria del diritto processuale civile ed in considerazione del fatto che la nullità del provvedimento per mancata traduzione può essere fatta valere soltanto mediante ricorso in opposizione, trattandosi di una tipologia d’invalidità dell’atto amministrativo
 
20.Cass.  novembre 2015
Laddove il provvedimento prefettizio di espulsione dello straniero, comunicato all’interessato, sia sprovvisto di sottoscrizione dell’autorità preposta ovvero dell’attestazione della conformità all’originale accertata da altro pubblico ufficiale esso è, se non inesistente, illegittimo, ed insuscettibile di sanatoria, attraverso la produzione di una copia conforme all’originale, nel corso del procedimento giurisdizionale per la sua impugnazione (ipotesi in cui il decreto, specificamente impugnato sul punto, recava, in luogo della sottoscrizione, semplicemente la dicitura “Il Prefetto”, senza neppure l’indicazione di conformità all’originale da parte di un funzionario della Prefettura; in applicazione del suindicato principio la S.C. ha cassato il provvedi mento del Tribunale di rigetto dell’impugnazione e, decidendo nel merito, ha annullato il provvedimento di espulsione)
 
 
G) MISCELLANEA
 
1.Cass. marzo 2015
Come per l’ipotesi di permesso di soggiorno per ricongiungimento familiare, anche in caso di richiesta di conversione in permesso di soggiorno per motivi familiari del permesso rilasciato per ragioni di giustizia, è necessario formulare un giudizio di pericolosità sociale effettuato in concreto, il quale induca a concludere che lo straniero rappresenti una minaccia concreta ed attuale per l’ordine pubblico e la sicurezza, tale da rendere recessiva la valutazione degli ulteriori elementi di valutazione contenuti nel novellato art. 5, c. 5, T.U. Immigrazione, quali la natura e la durata dei vincoli familiari, l’esistenza di legami familiari e sociali con il paese d’origine e, per lo straniero già presente nel territorio nazionale, la durata del soggiorno pregresso
 
2.Cass. maggio 2015
Il cittadino straniero, anche se titolare del solo permesso di soggiorno, ha il diritto di vedersi attribuire l’indennità di accompagnamento, a pensione d’inabilità e l’assegno d’invalidità, ove ne ricorrano le condizioni previste dalla legge, essendo stata espunta, per effetto delle pronunce della Corte costituzionale n. 306 del 2008, n. 11 del 2009 e n. 187 del 2010, l’ulteriore condizione costituita dalla necessità della carta di soggiorno. Tale espunzione trae fondamento da fatto che, se è consentito al legislatore nazionale subordinare l’erogazione di prestazioni assistenziali alla circostanza che il titolo di legittimazione dello straniero al soggiorno nello Stato ne dimostri il carattere non episodico e di non breve durata, quando tali requisiti non siano in discussione, sono costituzionalmente illegittime, perchè ingiustificatamente discriminatorie, le norme che impongono nei soli confronti dei cittadini extraeuropei particolari limitazioni al godimento di diritti fondamentali della persona, riconosciuti ai cittadini italiani
 
3.Cass. giugno 2015
La l.r. umbra 37/1997, contenente norme dirette a favorire i cittadini di origine umbra, per nascita, per discendenza o per residenza emigrati all’estero per ragioni lavorative e rientrati in Umbria, pur riguardando una provvidenza non legata intrinsecamente ai bisogni primari della persona, ma al sostegno dei membri della comunità regionale, non costituisce un elemento di distinzione irrazionale o arbitrario rispetto agli altri cittadini che, pur se occasionalmente residenti in Umbria, non si trovino nella medesima condizione di coloro che siano emigrati da e rientrati in quella stessa Regione. La provvidenza di cui si discute, infatti, è riconosciuta in favore di coloro che hanno apportato un contributo al progresso della comunità operandovi (direttamente o la loro famiglia) per un non indifferente lasso di tempo, ragione questa che non può giudicarsi arbitraria e neppure irragionevole
 
4.Cass. settembre 2015
In materia di immigrazione, non può essere disposta dal giudice di pace la proroga del trattenimento di un cittadino straniero presso un centro d’identificazione ed espulsione, quando il provvedimento espulsivo che ne costituisce il presupposto sia stato, ancorchè indebitamente, sospeso, dal momento che il sindacato giurisdizionale, pur non potendo avere ad oggetto la validità dell’espulsione amministrativa, deve rivolgersi alla verifica dell’esistenza ed efficacia della predetta misura coercitiva
 
5.Cass. settembre 2015
Il trattenimento dello straniero, che non possa essere allontanato coattivamente contestualmente all’espulsione, costituisce una misura di privazione della libertà personale legittimamente realizzabile soltanto in presenza delle condizioni giustificative previste dalla legge e secondo una modulazione dei tempi rigidamente predeterminata. Ne consegue che, in virtù del rango costituzionale e della natura inviolabile del diritto inciso, la cui conformazione e concreta limitazione è garantita dalla riserva assoluta di legge prevista dall’art. 13 Costituzione, l’autorità amministrativa è priva di qualsiasi potere discrezionale e negli stessi limiti opera anche il controllo giurisdizionale non potendo essere autorizzate proroghe non rigidamente ancorate a limiti temporali e condizioni legislativamente imposte, con l’ulteriore corollario che la motivazione del provvedimento giudiziale di convalida della proroga del trattenimento deve accertare la specificità dei motivi addotti a sostegno della richiesta, nonché la loro congruenza rispetto alla finalità di rendere possibile il rimpatrio. (Nella specie, il S.C. ha cassato il decreto di convalida della proroga del trattenimento, non avendo il giudice di pace identificato alcuna situazione transitoria specifica ostativa della preparazione del rimpatrio o dell’effettuazione dell’allontanamento, né l’esistenza di un effettivo rischio di fuga dello straniero, né la necessità di acquisire documenti e mezzi di trasporto necessari al rimpatrio)
 
6.Cass. ottobre 2015
La detenzione non impedisce la presentazione della domanda di rinnovo del permesso di soggiorno,  tramite gli uffici dell’Istituto di pena
 
7.Cass.  ottobre 2015
In tema di corresponsione dell’assegno sociale di cui all’art. 3, c. 6, della l. 335/1995, non è irragionevole la previsione di cui all’art. 80, c. 19, l. 388/2000, applicabile ratione temporis, che subordina il godimento per gli stranieri legalmente residenti in Italia alla titolarità della carta di soggiorno, indicativa del radicamento sul territorio, trattandosi di emolumento che prescinde dallo stato di invalidità e, pertanto, non investe la tutela di condizioni minime di salute o gravi situazioni di urgenza.
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